CAVALIERI SICILIANI, IL GIUDICE BUSSA DOPO 30 ANNI

Maxi sequestro in Sicilia. Bottino da 17 milioni di euro individuati dal Ros sia in conti svizzeri che catanesi. Al centro della vicenda uno dei più noti imprenditori, Mario Ciancio Sanfilippo (nella foto), storico editore e direttore de “La Sicilia”. In un istituto di credito elvetico – secondo le indagini coordinate dalla procura di Catania – sono stati trovati titoli e depositi azionari per 12 milioni di euro, mentre sul conto corrente di una banca etnea i restanti 5 milioni di euro. Le operazioni svizzere, a quanto pare, venivano “schermate” attraverso alcune fiduciarie riconducibili ai paradisi fiscali.

Così scrive, in una nota, la procura: “Nella richiesta di sequestro sono stati ricostruiti numerosi affari del Ciancio che risultano infiltrati da Cosa nostra sin dall’epoca in cui l’economia catanese era sostanzialmente imperniata sulle attività delle imprese dei cosiddetti cavalieri del lavoro, tra i quali Graci e Costanzo”.

“Tutto alla luce del sole – ribatte attraverso i suoi legali Ciancio – si tratta di capitali versati sui conti svizzeri fin dagli anni ’60-’70 e non più movimentati”. E aggiunge: “quanto alla provenienza di quei capitali e al mio stato patrimoniale, è stata ed è la stessa procura a ricordare nei suoi atti che le attività imprenditoriali che ho svolto durante tutta la mia esistenza hanno fatto di me una persona ricca”. Frase non poco sibillina.

“L’editore è indagato – scrive il Corriere della Sera – per concorso esterno, l’udienza preliminare è fissata per oggi”, ossia il 19 giugno.

Sorgono spontanei alcuni interrogativi. Se le “origini” di tali ricchezze e attività sono di trent’anni e passa fa, come mai le indagini arrivano solo oggi ad una svolta che fa pensare quasi ad un blitz? Cosa è stato fatto, o meglio non fatto, in questi trent’anni? Chi ha coperto, insabbiato, depistato, nascosto?

E forse, oggi, quelle indagini sono belle e “prescritte”, quelle fortune ampiamente ripulite, stralavate dal tempo, dalle generazioni e, appunto, dai vuoti investigativi, dalle non-indagini. I buoi sono abbondantemente usciti dalle stalle, hanno pascolato e razzolato liberi per decenni: perchè ora? E’ successo qualcosa? S’è inceppato qualche meccanismo nei Palazzi del potere?

Una cover story di oltre trent’anni fa, giugno 1985, titolata “I Cavalieri della Ricostruzione” dettagliava tutti i rapporti d’affari tra la Sicilia e la Campania del dopo terremoto ’80, individuando le connection tra i “Cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, come li aveva etichettati Giuseppe Fava, il direttore dei Siciliani ammazzato dalla mafia, e i mattonari partenopei, con tanto di politici e camorristi al seguito. Un ampio reportage di Michi Gambino, firma di punta proprio dei Siciliani, passava ai raggi x imprese e legami a rischio dei Costanzo, dei Graci, dei Cassina, dei Rendo, partendo dalle indagini di un giudice istruttore del calibro di Carlo Palermo che stava “seguendo passo dopo passo, appalto dopo appalto, l’infiltrazione delle holding degli imprenditori catanesi in odore di mafia in Sicilia e nelle altre regioni italiane”. Forse per questo Palermo subì un attentato dal quale uscì salvo per miracolo. Gambino ricostruiva poi le trame piduiste che ruotavano intorno a quegli affari che partivano da Catania.

E tra i vip, anche il nome di Mario Ciancio. Così scriveva la Voce in quell’inchiesta di giugno ’85: “Per i cavalieri del lavoro la carta stampata è un hobby. Carmelo Costanzo punta decisamente in alto, con il suo 18 per cento nientemeno che del gruppo Repubblica/Espresso. Costanzo è azionista con un altro big siciliano, Mario Ciancio, al ‘Giornale di Sicilia’ e alla ‘Sicilia’ di Catania. Nella tipografia di quest’ultima vengono stampate anche le edizioni teletrasmesse di Repubblica e del Corriere dello Sport. Sempre in tema di edizione teletrasmesse – veniva aggiunto – quelle del Corriere della Sera, della Stampa, del Giornale di Montanelli e della Gazzetta dello Sport, vengono impresse nella tipografia di un altro cavaliere, Mario Rendo, in società con Umberto Seregni (titolare dell’azienda dove si stampa a Milano il Giornale) nella STS, Società tipografica siciliana”.

Ora, la “giustizia” bussa alla porta di Ciancio. Meglio tardi che mai, secondo alcuni. Ma chi ci spiega questo immenso buco nero durato la bellezza (o l’orrore) di trent’anni?


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