Ricordate i dossier e le spiate di vip e star, da Vieri a Moggi, fino alla sua stessa compagna Afef? Bene, oggi Marco Tronchetti Provera è un uomo felice, assolto dalla Corte d’Appello di Milano nel filone d’inchiesta “Kroll”. Annullata la sentenza di primo grado di due anni fa, estate 2013, che lo aveva condannato a un anno e otto mesi per ricettazione. Cin cin. Ma per capirci qualcosa – e soprattutto capire come la giustizia funziona nel Belpaese – occorre riavvolgere il nastro. Forse le migliaia di nastri, intercettazioni illegali, che ora – per incanto – scopriamo non sono più un reato. Come del resto insegna la incredibile vicenda dei maxi dossieraggi su magistrati e giornalisti messa su dal 2001 al 2005 dall’allora capo dei servizi Nicolò Pollari e dal fido Pio Pompa, raccontata dalla Voce nelle ultime settimane.
Ma torniamo al vicepresidente dell’Inter Tronchetti Provera e ai tanti filoni d’inchiesta sulle attività di dossieraggio. Tutto comincia con l’acquisto di Telecom e quella squadra di 007 messa in piedi per difendere i destini aziendali ma non solo. Il braccio destro, il fedelissimo, è Giuliano Tavaroli che – scrive Wikipedia – “dall’aprile 1996 entra in Pirelli, dove diventa top manager del settore sicurezza di Telecom-Pirelli, con agli ordini 500 uomini e riportando direttamente al suo presidente. Cura inoltre la sicurezza personale sia di Tronchetti Provera che di Afef”. Una data strategica, quel ’96, perchè secondo le ricostruzioni degli inquirenti (alcuni tra i tanti nella giungla Telecom-dossier) tra il 1997 e il 2004 Pirelli e Telecom hanno messo in campo “una potenza di fuoco”, spendendo la bellezza di 21 milioni di euro per “operazioni di investigazioni commissionate” da Tavaroli allo 007 fiorentino Emanuele Cipriani e alla sua “Polis d’Istinto”. Nel “Tiger Team” di Tavaroli pezzi da novanta dei Servizi, in prima linea Marco Mancini, l’ex numero due del Sismi (ovvero di Pollari), l’uomo del caso Abu Omar e di tanti misteri di casa nostra; poi l’ex agente Sisde Marco Bernardini. Ancora, alcuni manager in vista del gruppo telefonico, come l’allora capo della sicurezza informatica Fabio Ghioni (che ha patteggiato 3 anni e 4 mesi), l’ex agente Cia in Italia Gian Paolo Spinelli (3 anni), l’ex responsabile della security in casa Pirelli Guido Iezzi (2 anni e otto mesi). 3 anni e 4 mesi il patteggiamento di Tavaroli, che era accusato di “aver gestito un sistema illegale allo scopo di realizzare numerosissimi dossier, si parla di svariate migliaia, forse diecimila – scrive ancora Wikipedia – su personalità politiche, dell’economia, dello sport, dello spettacolo”. Non pochi diessini, tra i politici; e allora spuntavano le carte su quel misterioso “Oak Fund”, fondo quercia.
Un mega attività di dossieraggio, svolta per conto di Pirelli-Telecom, per interesse del suo dominus Tronchetti Provera, ma – a quanto pare – a sua insaputa! Come è successo per la casa di Claudio Scajola vis a vis col Colosseo ricevuta dagli amici mattonari in regalo “a sua insaputa”. Tronchetti – rarissimo caso giudiziario – poteva tranquillamente non sapere: attività da milioni (una ventina) di euro riuscivano a transitare sotto il suo inconsapevole naso. Decine di uomini e mezzi lavoravano in una sorta di mega azienda parallela, con un Tronchetti forse troppo preso tra gli affari pallonari targati Inter e le esuberanze della bella Afef.
Ma vediamo cosa hanno dichiarato, anni fa, Tavaroli e Cipriani sulla totale ignoranza del patròn circa le attività illegali di casa Telecom. Cominciamo dal primo. “Tronchetti sa bene che mentre lavoravo per lui ho fatto decine di conferenze alla Nato, e anche in decine di università, perchè la nostra Security aziendale era un modello. Una Security che viveva dentro l’azienda e per l’azienda. Quando entrai in Pirelli, il primo aprile 1996, Cipriani era già lì, lavorava sotto il manager Sola. Io, Cipriani e Marco Mancini non siamo ‘tre amici al bar’ che cercano di creare una combriccola a danno di Pirelli. Ma siamo seri, cosa vuole che me ne importasse di indagare sui familiari di Afef? Tronchetti è un codardo, non ha avuto il coraggio di prendersi la responsabilità sui report che ci chiedeva”.
Passiamo a Cipriani. “Il lavoro che facevo era tutto fatturato. E ad ogni fattura corrispondeva un codice numerico che rimandava ad una pratica, ovvero ad una attività che poteva essere: lecita, illecita o parzialmente lecita. Un lavoro di cui, oltretutto, i vertici dell’azienda e Tronchetti, che adesso fa finta di non sapere chi sono, erano perfettamente a conoscenza. I miei committenti erano Pirelli e Telecom. Tra i miei clienti ci sono stati lo stesso Tronchetti Provera e alcuni suoi avvocati: è tutto riscontrabile”.
E ora fanno salti di gioia, i legali di Tronchetti, per la fresca assoluzione nel filone d’inchiesta Kroll, l’unico che però aveva portato ad un risultato pesante per il super manager, la condanna ad 1 anno e otto mesi. Anche stavolta, ha fatto tutto – di sua spontanea iniziativa – la Tavaroli band. In breve il fatto. Al centro Telecom Brasile, uno dei “piatti” storicamente più ghiotti, fin dai tempi della presidenza Colaninno, targata D’Alema. Tronchetti viene magicamente in possesso di un cd contenente le prove di uno spionaggio stavolta contro di lui, ironia della sorte: compiuto dal big delle investigazioni internazionali Kroll su imput dei rivali brasiliani di Tronchetti, Carla Cico e Daniel Dantas (che in primo grado si erano visti riconoscere un indennizzo milionario). Ma cosa è successo? Il solito, infedele Tavaroli non aveva rivelato la provenienza illecita del cd. Come una viola mammola, Tronchetti, caduto nel trappolone. Nel manager, osservano oggi i giudici, “manca l’elemento psicologico del dolo specifico di voler trarre profitto”, “ignorava la provenienza illecita del cd”, “consentì all’acquisizione delle informazioni, che Tavaroli diceva di potersi procurare, al solo fine di denunciare all’autorità giudiziaria le attività delittuose ai suoi danni”. Secondo il pm del primo grado, Alfredo Robledo, invece Tronchetti era perfettamente consapevole della provenienza illecita di quei dati…
Sottolineano adesso i legali del patròn: “l’acquisizione dei nuovi elementi probatori da parte dei giudici dimostra le lacune del dibattimento di primo grado” e – vera excusatio non petita – “la diversa vicenda dei dossier illegali, in cui Tronchetti non è mai stato processualmente coinvolto, era invece già stata chiusa con la sentenza del giudice Gamacchio che aveva individuato i veri responsabili”. Ossia Tavaroli & C.: la band che lavora per il capo a sua insaputa!
Nessun coinvolgimento processuale per il capo né per alcun dipendente, fedele o infedele, neanche in due gialli da brividi, ovviamente irrisolti (fino ad oggi): ossia i “suicidi” di due uomini che contavano, nello scacchiere Telecom, e soprattutto in delicate vicende di security: Adamo Bove e Emanuele Insinna.
Estate 2006. Uno dei più rocamboleschi “suicidi” che Napoli ricordi. Un’auto si ferma lungo la Tangenziale di Napoli – arteria a scorrimento velocissimo – un passeggero scende, scavalca il parapetto e si lancia nel vuoto. E’ Adamo Bove. Presto archiviato il caso. Era depresso. Il padre di Adamo, però, non ci sta: “era molto preoccupato per le vicende Telecom, si sentiva minacciato, lo avevano già seguito alcuni personaggi misteriosi. Ma lui non era un tipo da ammazzarsi. Mai”. Era appena scoppiato il caso dei dossier illegali, e lui era il braccio destro di Tavaroli. Cosa avrebbe potuto dire ai pm che indagavano a Milano? Non lo sapremo mai. Forse avrebbe potuto spiegare meglio le dinamiche di quei dossier, il suo stesso ruolo al fianco di Tavaroli, che proprio grazie a lui – come hanno ricostruito, ma senza andar oltre, i pm – “acquisiva informazioni sul traffico storico di utenze e le utilizzava per integrare i dossier”. Ma c’è un altro tassello che avrebbe potuto far luce su non poche circostanze: quei reati – secondo gli inquirenti – furono commessi “sia nell’interesse della società”, ossia di Pirelli-Telecom, che per acquisire informazioni poi “trasmesse a personale dei Servizi di sicurezza per finalità non istituzionali”. Un incredibile, tragico mix. Dopo pochi mesi, a ottobre 2006 la Voce ha realizzato una cover story sul caso Bove, dettagliando tutti i misteri e i buchi neri. Ma sul versante giudiziario nessuna notizia: un silenzio tombale. (vedi inchiesta allegata in pdf)
E stessa sorte, con ogni probabilità, per la tragica morte (anche stavolta suicidio da depressione) di un altro uomo della security Telecom, che nel tempo si è trasformata in un vero cimitero: poco più di un anno fa, aprile 2014, si “toglie la vita” Emanuele Insinna, il quale – secondo Tavaroli – “viveva un disagio personale da circa un anno. Una persona buona e leale che non merita di essere tirata dentro una vicenda con la quale non aveva nulla a che fare”. Ossia i dossier illegali. Ma, forse, avrebbe potuto dire qualcosa proprio sul “suicidio” del collega Bove…
Ecco che Tavaroli, dopo la tragica scomparsa di Insinna, aggiunge inquietanti dettagli. Vediamo cosa dichiara all’Adnkronos il 18 aprile 2014: “Insinna non è mai stato stato coinvolto in quel caso, è completamente estraneo, tanto è vero che era ancora incaricato per la Sicurezza e aveva le abilitazioni previste per trattare con l’Autorità nazionale per la sicurezza”. E un altro passaggio suscita dubbi ancora maggiori. E’ quando Tavaroli spiega perchè si trovava in possesso di “atti riservati dei Servizi segreti”, circostanza, aggiunge, già spiegata al gip e che carica di “significati” il ruolo ricoperto da Insinna all’interno della security targata Telecom: “Si tratta di documenti redatti da Insinna, mio collaboratore nell’ufficio Telecom che si occupa del segreto di stato”. E precisa: “Essendo mio collaboratore incaricato per la sicurezza, mi dava documenti attinenti al ruolo visto che io ero il responsabile della Sicurezza Telecom. Documenti aziendali, niente di che”. Un niente di che da non poco…
Ma non è finita. Perchè un anno fa Tavaroli cerca di chiarire meglio il senso di quanto verbalizzato davanti al gip: e lo fa attraverso un enigmatico giro di parole che varrebbe qualche investigazione in più. Le mie parole – dice – “erano una spiegazione del fatto che fossero state trovate nella mia disponibilità carte che attenevano alla sicurezza nazionale, ma visto che ero responsabile della sicurezza, faceva parte del ruolo anche quello, e ricevevo corrispondenza da persone che gestivano quella materia per conto dell’azienda e che dipendevano da me”. Non sarebbe il caso di capirci qualcosa in più?
Sicurezza aziendale, sicurezza nazionale, segreti di stato. Tanti elementi in comune con due storie parallele, quella del rapimento Abu Omar (con un Mancini protagonista) e quella dei dossieraggi operati dai Servizi segreti a carico di magistrati e giornalisti accusati di essere nemici del premier Berlusconi e “attenzionati” nel quinquennio 2001-2005. E’ ancora viva – su questo secondo fronte – un’inchiesta, a Perugia, che sta per “morire”: proprio per il Segreto di Stato invocato dall’allora capo dei Servizi Nicolò Pollari e dal fido Pio Pompa. Un segreto di Stato sempre avallato da tutti i governi e ora – a quanto pare – anche dall’esecutivo Renzi. Che vuol far luce e trasparenza su tutti i grandi misteri di stato: ma su quegli strani Servizi sembra proprio di no.
Nella foto Marco Tronchetti Provera e, a sinistra, Giuliano Tavaroli
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