E’ finita la latitanza record, 31 anni, del camorrista più ricercato, il braccio destro di Raffaele Cutolo, l’uomo di tutti i segreti e soprattutto l’uomo dei contatti con il Potere. Pasquale Scotti fu protagonista, alla vigilia di Natale ’84, della più incredibile delle fughe da quell’ospedale di Caserta – guarda caso poche settimane fa “sciolto” per mafia, primo caso in Italia – dove era ricoverato: uscì tranquillamente, visto che l’addetto alla sua sorveglianza forse si era distratto un momento.
Meglio così. Non potè mai confermare in un’aula giudiziaria quei verbali di fuoco che aveva riempito per settimane alla procura di Santa Maria Capua Vetere, pm Vincenzo Scolastico che dopo alcuni mesi “stranamente” si trasferì al nord (ora è procuratore aggiunto di Genova). Parlò di tutto: del caso Cirillo (e, chissà, del mister x dc che incontrò Cutolo nel carcere di Ascoli), della trattativa Dc-camorra-Br, dei patti sanciti, dei grandi appalti di opere pubbliche e di subappalti post terremoto alle imprese di camorra; e di politici, servizi segreti, istituzioni. Forse del suo grande amico Francesco Pazienza, degli altri camorristi al servizio dei Servizi e con tanto di tesserino. E forse di due morti eccellenti: quella del banchiere Roberto Calvi, “impiccato” sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, e quella del piduista ed ex capo dei Servizi Giuseppe Santovito, misteriosamente morto in una clinica romana.
Ora è venuto il momento di uno “Scotti bis”: è l’occasione, dopo una vita, di riprendere quelle carte, quei documenti. Di mettere un punto fermo ai tanti interrogativi rimasti. Di inchiodare, una volta per tutte, alle loro responsabilità protagonisti di stagioni scellerate, di scempi del territorio, di collusioni istituzionali che hanno consentito alla camorra di espandersi senza alcun freno.
La Voce delle Campania (poi diventata “la Voce delle Voci”) a partire dalla fine del 1984 realizzò grosse inchieste sulle rampanti imprese di camorra. E pubblicò ampi stralci di alcuni bollenti verbali d’interrogatorio (non solo di Pasquale Scotti, ma anche di altri pentiti). Così sintetizzavamo nell’editoriale di gennaio 1985: “La camorra è entrata nelle istituzioni: è diventata una vera e propria azienda in grado di muovere e gestire miliardi, di ricevere appalti pubblici e privati, di avere conti in banca e far eleggere anche propri adepti. Come stupirsi dei suoi successi quando la pratica del clientelismo imperversa? Quando la clientela viene istituzionalizzata? Quando lo Stato non funziona, non è presente o lo è, quando lo è, in modo poco chiaro e pulito?”. “Comincia a delinearsi il profilo economico della Holding Camorra, s’inizia a capire in che modo, attraverso quali canali i clan stanno cercando di spartirsi i miliardi di opere colossali come lo scalo merci di Maddaloni o la realizzazione della Pozzuoli bis, cioè Monteruscello”. Queste cose le scrivevamo esattamente trenta anni fa, 1985 (nella foto la copertina della Voce di gennaio ’85).
Guarda caso, una mega inchiesta su Monteruscello venne archiviata in istruttoria, a Napoli, per volere dell’allora procuratore capo Alfredo Sant’Elia e preciso imput politico di un potente dc dell’epoca, Vincenzo Scotti (il cui nome, guarda caso, verrà tirato in ballo dal “falso” scoop dell’Unità sulle visite “eccellenti” al carcere di Ascoli Piceno per la trattativa Cirillo). L’altra maxi inchiesta, sul dopo terremoto ’80, dopo anni e anni di inutili indagini, morirà per la solita prescrizione, e neanche una parola sulla presenza della camorra – come ad esempio le verbalizzazioni di Pasquale Scotti già ampiamente dimostravano – nella ricostruzione. Inchiesta sui Regi Lagni, altro flop. Per lo scalo di Maddaloni non si hanno notizie, né su altri appalti: quando invece le connection affaristico malavitose erano palesemente sotto gli occhi. Ma lorsignori, i potenti dei Palazzi, i manovratori, i colletti bianchi non potevano essere certo toccati.
Vediamo alcune tra le dichiarazioni più significative di allora, firmate da Pasquale Scotti, nella cover story della Voce di gennaio ’85, “Camorra su il sipario”, dove campeggia la foto della primula rossa. A proposito di una rampante impresa dell’epoca, la Sorrentino Costruzioni Generali, che puntava agli appalti di Monteruscello e di Maddaloni, così verbalizzò a fine ’84: “Bruno Sorrentino da anni finanzia la Nco, facendo versare alle ditte alle quali cedeva in subappalto i lavori da lui acquisiti, tangenti per un ammontare oscillante tra il 5 e il 10 per cento del valore delle opere. Lui, poi, che conosceva le imprese più importanti che operavano nelle nostre zone, ci faceva da intermediario percependo le tangenti e versandole ad Enzo Casillo e poi, dopo la sua morte, a Carmine Esposito e talvolta a Mario De Sena e Oreste Lettieri. Inoltre Sorrentino ci indicava i nomi degli imprenditori suoi amici, ovvero di sua conoscenza, che comunque avrebbe potuto contattare dopo le usuali telefonate e richieste estorsive effettuate da nostri inviati. Quando si interveniva su di un affare al quale erano interessati anche altri clan, per non creare problemi, lo incaricavamo di mediare tra noi e loro, visto che era in buoni rapporti con gli esponenti dei su citati clan”.
I Sorrentino nell’83 si aggiudicheranno alcuni lotti dei lavori di Monteruscello. Dello stesso periodo il passaggio di un appartamento di via Petrarca, a Napoli, dai Sorrentino a Paolo Cirino Pomicino: “non li conoscevo prima – dichiarerà poi ‘O ministro – mia moglie ha trovato l’annuncio sul Mattino”, smentito clamorosamente da una sua missiva inviata su carta ministeriale ad uno dei fratelli, Alessandro, che mesi dopo finirà crivellato di colpi in un agguato di camorra.
Eccoci ad un’altra verbalizzazione, relativa ad un altro vip del mattone, il cavaliere del lavoro Giovanni Maggiò, allora al vertice dell’Unione industriali e della Camera di commercio di Caserta. “Maggiò ci versò, prima del mio arresto, una rata di circa 70 milioni su un importo pattuito di 300 milioni, per un cantiere aperto ad Afragola. Anche per la costruzione del tribunale di Napoli Maggiò ha pagato prima a Vincenzo Casillo, poi a me, 20 milioni ogni due o tre mesi, oltre ad una grossa somma pagata inizialmente a Casillo, e ad una somma mensile pagata sempre a Casillo e calcolata sulla cubatura del calcestruzzo utilizzata”.
PARLA IL PENTITO AURIEMMA
Di grosso interesse, poi, vedere cosa racconta di Pasquale Scotti un altro pentito di camorra, Giovanni Auriemma, che la Voce sentì a luglio ’86. Autore dell’intervista Silvestro Montanaro, che poi passerà nell’equipe di Michele Santoro alle prese con la prima Samarcanda.
Auriemma esordì con un botto: “Il generale Santovito, il capo dei servizi segreti italiani, è stato avvelenato. Francesco Pazienza ne sa qualcosa!”. Il racconto proseguì come un fiume in piena: “E’ proprio in galera che sono stato messo al corrente di questo delitto. Anch’io rimasi sbalordito apprendendo i retroscena della morte del generale. Ma non avevo motivo di dubitare. A raccontarmi quella storia fu Pasquale Scotti, divenuto, dopo la morte di Francesco Casillo, l’uomo più importante della camorra cutoliana. E Pasquale Scotti di servizi segreti se ne intendeva. Era grande amico di Francesco Pazienza. Lui e gli altri capi della Nuova Camorra Organizzata si incontravano con il faccendiere in continuazione a Roma, ma anche a Napoli, ad Avellino ed Acerra, quando lui veniva giù per affari. Una volta andarono persino a fare una gita sullo yacht, con Alvaro Giardili, il socio di Pazienza e alcune bellissime ragazza. Pasquale Scotti mi disse che il generale Santovito ormai dava fastidio, che molti, in alto, erano preoccupati… era divenuto un testimone scomodo. Se avesse parlato ci sarebbe stato un terremoto. Quando fu ricoverato per cirrosi epatica in una clinica romana, si decise che era l’occasione migliore per farlo sparire senza destare sospetti. Un colonnello medico gli iniettò una dose di veleno, di quel veleno che usa il capo della Loggia P2, il venerabile Licio Gelli. E’ una sostanza particolare, capace di non lasciare traccia di sé a poche ore dal suo effetto. A procurare quella fiala ci pensò proprio Francesco Pazienza. Anche lui aveva da temere dall’anziano capo dei servizi segreti”.
“Una storia incredibile – scriveva Silvestro Montanaro – sulla cui veridicità spetta alla magistratura far luce. Che Pasquale Scotti fosse depositario di ‘scottanti’ segreti lo dimostrano la sua posizione all’interno della Nuova Camorra Organizzata, le sue dichiarazioni a verbale, ma soprattutto la semplicità con la quale ha potuto organizzare, mantenenedo ottimi rapporti all’esterno del carcere, la più rocambolesca delle fughe nel dicembre del 1984. Da allora di lui si sono perse le tracce. Su quella fuga in molti hanno ipotizzato complicità ad altissimo livello”.
Auriemma proseguiva dettagliando una serie di connection criminali e di patti d’affari. “Quando venne sequestrano Ciro Cirillo, i servizi segreti sembrarono impazzire. Pazienza e i suoi uomini ci contattarono in più riprese. Volevano che noi ci adoperassimo per la liberazione e ci proposero un accordo vantaggioso: la camorra cutoliana, oltre ad alcuni favori processuali e ad una parte del riscatto, avrebbe avuto la strada spianata dei grandi appalti della ricostruzione delle aree colpite dal terremoto”. “L’accordo venne perfezionato. Tramite Pazienza e i suoi amici dei servizi, venivamo informati degli stanziamenti per i più importanti appalti della regione. Ci fornivano l’elenco delle ditte che li avrebbero vinti. Ci facevano da consulenti nella scelta delle nostre ditte che avrebbero dovuto rilevare in subappalto dalle aggiudicatarie – cui sarebbe spettato unicamente un ruolo fittizio, di presenza, finanziario – in modo da poter salvare la forma in quanto a capacità progettuali e tecniche. Il ricavato di questi affari doveva essere diviso tra noi della camorra e l’ala dei servizi legata al faccendiere. In più, alcuni dei nostri capi ricevettero tesserini dei servizi. Corrado Iacolare una volta mi mostrò il suo, era di color blu chiaro con la scritta ‘Ministero degli Interni”.
E ancora, parole che – lette oggi – pesano come pietre. Così raccontava alla Voce il pentito Auriemma: “Dopo che Pazienza ci aveva fornito quelle informazioni, da molto in alto, da Roma, ci veniva segnalato quale sindaco o assessore avvicinare per assicurarci gli appalti. Ma queste verità nessuno le vuole. Nessuno vuole sconfiggere veramente la camorra nell’unico modo possibile. Nessuno vuole recidere, dare un colpo mortale alle organizzazioni criminali bloccando loro l’accesso agli enti pubblici, ai luoghi in cui l’onorata società ha la possibilità di espandersi riciclando i proventi delle sue attività criminali”.
E qualche mese prima, febbraio ’86 (vedi copertina qui accanto), la Voce aveva realizzato un’altra cover story dal titolo “Caso Calvi – Delitto di Camorra”. Nell’inchiesta si parlava, in particolare, della figura di Vincenzo Casillo, molto legato a Francesco Pazienza, e della sua strana presenza a Londra proprio nei giorni in cui Calvi si “impiccava” sotto il ponte lungo il Tamigi. Ecco alcune dichiarazione dei pentiti di allora: “Vi ricordate quel volantinaggio a favore del banchiere Roberto Calvi a Milano, quando era detenuto? A distribuire quei volantini eravamo noi cutoliani. Eravamo stati mandati lì da Pazienza. In Inghilterra la Nco dispone di numerose basi e di forti amicizie per i suoi traffici in armi e droga. Certamente Casillo, ‘o nirone, a Londra non era andato per godersi una vacanza…. e Calvi, questo è sicuro, è stato ammazzato”.
Sul “suicidio” di Calvi, all’indomani della cattura di Pasquale Scotti, anche l’allora giudice istruttore del caso Cirillo, Carlo Alemi, fino a pochi mesi fa presidente del tribunale di Napoli, ricorda che “i cutoliani in quegli anni ebbero un ruolo anche nell’omicidio di Roberto Calvi”. Potrà far nuova luce, anche su quel buco nero, il redivivo Scotti? Ma occorre andare per gradi: estradizione, trasferimento, approdo e sistemazione “sicura” nel nostro Paese. Evitando “incidenti” di percorso: come capitò, tanti anni fa, a Carmine Mensorio in arrivo per verbalizzare sui rapporti “camorra-politica” e volato giù (suicidio, hanno subito sentenziato gli inquirenti) dal traghetto proveniente dalla Grecia. Aiutato da una manina dei Servizi, ha dichiarato, mesi fa, Carmine Schiavone: che poi, a sua volta, è volato giù da un albero…
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