“Il governo è accusato di aver spiato cittadini ‘scomodi’, tra oppositori, giornalisti e magistrati. La corruzione si dice sia sistematica”.
Così Repubblica di lunedì 18 maggio per il reportage “Macedonia nel caos, migliaia in piazza, via il premier spia”. Un paese che ha ancora il coraggio e la forza di ribellarsi, di scendere in piazza, di chiedere le dimissioni dei vertici spioni e corrotti.
Da noi no. Corrotti più in sella che mai, alla faccia dei proclami, delle autorità, delle (sic) inchieste. E spioni addirittura protetti dallo Stato, come succede, in modo clamoroso, nella vicenda dei dossieraggi di magistrati e giornalisti tra il 2001 e il 2006, Berlusconi premier e Nicolò Pollari al vertice dei Servizi.
Vediamo i due scenari, che fotografano la situazione di un Paese allo stremo – la Macedonia – ma con la voglia di voltar pagina. E di un Paese un po’ meno allo stremo (per ora) ma privo di ogni forza reattiva – il nostro – forse vittima della sindrome di Stoccolma: grazie, carnefici, se potete decapitatemi senza farmi troppo male.
Maggio bollente in Macedonia, raccontano le cronache, dove opposizione e società civile scendono in piazza contro il governo Gruevski. Il leader dell’opposizione Zoran Zaev incita le folle di Skopje e assicura: “Restiamo qui davanti ai palazzi del potere, questo governo corrotto e che ci spia deve dimettersi”. Ricostruisce Repubblica: “Le accuse a Gruevski sono molteplici e gravissime e ostacolano i negoziati per una prospettiva di associazione e poi di adesione all’Unione europea. Il governo è accusato di frode elettorale alle elezioni dell’aprile 2014, di aver spiato almeno ventimila cittadini ‘scomodi’, tra oppositori, giornalisti e magistrati. La corruzione si dice sia sistematica e al massimo livello, tra malversazione, indagini di diritto penale infondate contro gli oppositori, e persino insabbiamento di omicidi politici”. Ma – nel deserto di diritti calpestati e voci zittite – c’è almeno un segnale: “pochi giorni fa due ministri e il capo della polizia segreta Mijalkov si sono dimessi”. Ma c’è anche un secondo segnale positivo: la gente si ribella.
Veniamo a casa nostra. Dopo le batoste dell’Unione europea per i tragici fatti di Genova, il superpoliziotto Gianni De Gennaro è più forte e potente che pria: e continua ad occupare tranquillamente la poltrona di presidente di Finmeccanica. Tutto ok per governo e “opposizioni” (sic). Nessun ministro di allora ha subito conseguenza alcuna: e l’allora capo del Viminale Gianfranco Fini – in cabina di regia, a Genova, per coordinare i pestaggi – torna sulla scena politica a dettare i passi della futura Destra europea: una destra liberal capace di elaborare un Grande Progetto Culturale e Politico.
E soprattutto c’è un processo, ancora in vita (ma con quasi zero speranze di approdare a una sentenza) al tribunale di Perugia per le attività di dossieraggio a carico di “magistrati, giornalisti e cittadini” – guarda caso anche nel mirino delle autorità macedoni – per scovare tutti gli “oppositori” del governo Berlusconi 2001. Protrattosi per i cinque anni dell’esecutivo, il dossieraggio venne ordinato ai Servizi allora diretti da Nicolò Pollari, che potè contare sulla fattiva collaborazione del fido Pio Pompa. Per alcuni servizi particolari, il tandem pensò bene di affidarsi alla penna di Renato Farina, il giornalista-agente Betulla. Abbiamo già raccontato la storia dei dossieraggi e del processo di Perugia: nel più totale silenzio mediatico, rotto solo dagli articoli del Fatto on line.
Balza agli occhi una circostanza: gli imputati, Pollari e Pompa – difesi da un prestigioso tandem di avvocati, Titta e Nicola Madia – hanno costantemente invocato il segreto di Stato per non rispondere di tutte le accuse rivolte dai pm e dalle parti civili (ci siamo anche noi della Voce, accusati di aver creato una sorta di “cupola” disinformativa anti Berlusconi). Accuse che si basavano sostanzialmente su un fatto: sono stati utilizzati ingenti fondi pubblici per svolgere un’attività di controllo, spionaggio e dossieraggio di magistrati, giornalisti e cittadini, violandone palesemente i diritti, calpestandone ogni privacy e con ogni probabilità cagionando danni alle attività professionali svolte. E’ possibile mai invocare il “Segreto di Stato” – cosa che si fa solo in caso di guerre, conflitti o clamorose vicende internazionali – per coprire tali losche, illegali e sporche attività?
E’ cominciato l’incredibile balletto. Che va avanti da anni. Fra tribunale di Perugia (pm e gup), Corte Costituzionale e Cassazione. Tanti pareri, incredibilmente, differenti.
Un solo interlocutore si è espresso invariabilmente nello stesso modo: il Governo. Ne sono passati cinque, ma sempre il medesimo atteggiamento: omertà. Per la serie: alziamo il muro di gomma. L’ha ovviamente eretto Berlusconi – che quei dossieraggi aveva ordinato – ma l’hanno tranquillamente seguito su quella strada, in perfetto modo tripartizan, i successivi esecutivi Prodi, Monti, Letta. E a quanto pare sulla stessa scia è incamminato il governo Renzi che aveva giurato al mondo, a fine anno scorso, di voler alzare il velo sui Misteri e i Segreti di Stato, facendo Trasparenza su tutti i documenti bollenti per decenni secretati. Ma ora la messianica Trasparenza s’inceppa su un ostacolicchio: quei dossier di via Nazionale, a Roma, su magistrati e giornalisti messi in fila dal tandem Pollari-Pompa, scoperti per caso dai magistrati milanesi che indagavano sul rapimento di Abu Omar.
Il capo del Dis, ossia il Dipartimento informazioni per la sicurezza, Giampiero Massolo, ha infatti messo neo su bianco che il governo è intenzionato a invocare ancora una volta il Segreto di Stato. Anticipando, forse stoppando, addirittura, la pronuncia ufficiale di Renzi su alcuni quesiti circa l’attività di dossieraggio (e soprattutto sul fronte dei fondi utilizzati), così come richiesto dal gip del tribunale di Perugia Andrea Claudiani nell’ultima udienza dello scorso 29 aprile. Udienza nel corso della quale i legali di Pollari hanno potuto mostrare, ben orgogliosi, la missiva inviata personalmente da Massolo a Pollari per rassicurarlo che il governo avrebbe ancora una volta “apposto” il suo sigillo: Segreto di Stato.
Ma siamo sicuri che la Macedonia sia poi così tanto lontana? A proposito, dimenticavamo il capitolo corruzione. E forse, anche su questo terreno, il Belpaese può dare lezioni ai cugini macedoni. Se siamo infatti praticamente appaiati nelle black list stilate da “Transparency” (quella vera), possiamo vantare di certo “fatturati da attività corruttive” ben più pingui: altre che bazzecole macedoni…
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