Scagli la prima pietra chi condanna, senza capirne le ragioni, gli elettori che nelle trascorse tornate del voto hanno scelto l’astensione. Senza alcun dubbio, la degenerazione della politica fornisce solide motivazioni di disaffezione che in tempi di normale amministrazione si sostanziano con la puntuale informazione h24 dei media. Non passa giorno senza titoli cubitali per un nuovo scandalo e la cronaca del malcostume, della corruzione non risparmia da qualche tempo nessuno dei partiti. La cartina di tornasole della sfiducia è l’agonia delle strutture organizzate che progressivamente hanno allontanato gli iscritti, finanziatori che per decenni hanno contributo a tenerle in piedi. Non è la sola motivazione. Sul deficit di consenso ai partiti contribuisce la protervia che sovrintende alla continuità di privilegi a cui il Parlamento è aggrappato, indifferente all’indignazione dell’opinione pubblica.
C’è anche altro: in un Paese che stenta a liberarsi dei lacci della recessione, responsabile dell’aumento esponenziale delle povertà, deputati e senatori difendono con i denti e le unghie il vitalizio, anche per i condannati per reati gravi e molti altri vantaggi, disertano l’aula se le sedute non mettono in discussione gli interessi di parte e trasformano le rispettive aule in luoghi di rissa e di un turpiloquio da trivio, ben visibili, perché riprese dai media televisivi, con conseguenze inevitabili sul credito dell’opinione pubblica.
Ha ragione Renzi a forzare il Parlamento con il ricorso al voto di fiducia, in nome di una dichiarata necessità del fare, o il corposo contesto delle opposizioni che spaziano da sinistra a destra, con l’inserimento pirotecnico di Cinquestelle? Risposta ardua, mentre è facile intuire che insulti, urla da facinorosi, minacce e comportamenti scomposti dei deputati, alimentino l’insofferenza degli italiani per la rozza interpretazione della politica manifestata nella violata dignità di Montecitorio. Oltre tutto, gli spettatori più avveduti della bagarre, sono perfettamente consapevoli della falsa contrapposizione tra maggioranza e anomala alleanza delle minoranze, che formalmente litigano sulla legge elettorale ma che giocano duro sul terreno molto più di parte della propria sopravvivenza, minacciata da potenziali scissioni e giochi di potere. Sullo sfondo, lo spreco di “fascisti, squadristi” diretti, per esempio da Brunetta a Renzi e compagni e dal ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, ai docenti precari che l’hanno contestata durante il suo intervento alla Festa dell’Unità.
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