L’approfondimento / Navi da crociera – L’allarme degli 007

Sui tavoli dei servizi segreti e antiterrorismo delle cancellerie occidentali, da diverse settimane c’è il dossier navi, mercantili ma soprattutto da crociera. L’attacco di Tunisi, avvenuto il 18 marzo in un museo (quello del Bardo) ma nel quale sono stati coinvolti turisti stranieri arrivati quel giorno nella capitale nordafricana a bordo di due navi da crociera italiane, fa temere alle autorità statunitensi che queste città galleggianti possano diventare un obiettivo della nuova multinazionale del terrore che aderisce all’organizzazione ombrello ribattezzata Stato Islamico.

Era già successo all’indomani degli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Stesso discorso per i mercantili. Gli 007 temono possano diventare bersaglio dei terroristi, dopo essere state a lungo prese di mira, ottenendo riscatti miliardari, dai pirati somali con il record raggiunto nel 2009 di ben 163 navi attaccate nel Golfo di Aden, dove ora è scoppiata la guerra anche nel vicino Yemen. In queste due nazioni sono attivi gruppi jihadisti quali Al-Qaeda nella Penisola Arabica e al-Shabaab. Infine le petroliere, attualmente a rischio sulla sponda opposta dell’Africa, quella occidentale, nel Golfo di Guinea, sulla costa occidentale dell’Africa. Anche a quelle latitudini sarebbero scese in campo Al-Qaeda e Boko Haram che rubano il petrolio dalle navi cisterna per poi rivenderlo sul mercato nero, ottenendo profitti considerevoli coi quali finazierebbero la propria “guerra santa”.

Il cablogramma preparato ora dagli 007 americani riporta la classificazione “C” (confidenziale), anche se è stato inviato dal Dipartimento di Stato agli alleati, compresa la nostra Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Si concentra soprattutto sul Mediterraneo, dove negli ultimi mesi motovedette della nostra Guardia Costiera, rimorchiatori e mercantili che stavano soccorrendo barche cariche di migranti sono state attaccate dalle organizzazioni criminali attive nel traffico di esseri umani, anche loro sospettati di finanziare il terrorismo di matrice islamica. A dimostrazione del fatto che la minaccia sia considerata reale dal nostro governo, il lancio dell’operazione “Mare Sicuro”. All’indomani dell’attentato al museo del Bardo, nelle acque di fronte alla Tunisia, è stato deciso l’impiego di un migliaio di militari italiani, schierati su quattro navi, dotate di attrezzature sanitarie, elicotteri e droni Predator. Si parla anche dell’invio di una nave da sbarco, fregate e cacciatorpedinieri. Obiettivo della missione, già intervenuta un paio di volte per salvare imbarcazioni italiane minacciate con le armi da unità con a bordo libici, proteggere le navi commerciali e sorvegliare l’attività in mare e sulla costa delle formazioni jiahdiste. Una missione simile a quelle messe in campo nell’Oceano Indiano da 25 Paesi, tra i quali Stati Uniti, Corea del Sud, Singapore, Turchia e Nuova Zelanda, e dalla Nato, a partire dal 2008, che hanno avuto i loro effetti portando a una significativa riduzione degli attacchi nel Corno d’Africa. Tanto che ora la missione navale si sta occupando principalmente di assicurare il regolare flusso in Somalia degli aiuti umanitari del World Food Programme (Wfp), il programma alimentare delle Nazioni Unite diretto a oltre mezzo milione di rifugiati, scortando i mercantili noleggiati dall’Onu. Anche se proprio secondo un rapporto del Palazzo di Vetro, i pirati somali avrebbero semplicemente cambiato business, offrendo protezione alle navi di passaggio in quel Golfo, uno dei crocevia marittimi più trafficati al mondo essendo allo sbocco del Canale di Suez che collega direttamente il Mediterraneo all’Asia senza dover circumnavigare l’Africa.

 

Tornando al documento d’intelligence, gli 007 statunitensi ricordano agli alleati diversi casi avvenuti in passato e tornati ora di prepotente attualità. Il primo è quello della nave greca City of Poros, attaccata l’11 luglio del 1988 da membri palestinesi dell’organizzazione di Abu Nidal, mentre conduceva la propria crociera giornaliera per le isole Cicladi (Hydra, Egina e Poros), con 471 persone a bordo, per lo più turisti stranieri, tra i quali molti americani. Tre uomini erano riusciti a portare sulla nave armi automatiche e bombe a mano. Entrati in azioni in mare aperto, a ora di cena, avevano ucciso nove persone (quattro francesi, due greci e uno ciascuno da Danimarca, Svezia e Ungheria), ferendone 98, molti dei quali in modo grave, riuscendo poi a fuggire a bordo di un’altra imbarcazione. Sempre quel giorno, il molo Trokadero al quale la nave attraccava abitualmente al porto del Pireo era stato scosso dall’esposione di una autobomba, che si era fortunatamente azionata quando la City of Poros era già in navigazione, senza che ci fossero turisti o operatori nei paraggi (trattandosi di un punto isolato dello scalo), uccidendo così soltanto i due attentatori palestinesi. La deflagrazione era tuttavia stata talmente potente da frantumare i vetri di alcune abitazioni del sobborgo residenziale di Paleo Faliro che affacciavano sul Trokadero.

 

Due anni e mezzo prima, il 7 ottobre del 1985, era stata la volta della nave da crociera italiana Achille Lauro, dirottata mentre navigava al largo delle coste egiziane da un commando del Fronte per la Liberazione della Palestina (Flp). A bordo c’erano 201 passeggeri, molti dei quali americani, e 344 uomini dell’equipaggio. Dopo giorni di lunghe e difficili trattative diplomatiche, i terroristi si arresero in cambio della promessa dell’immunità. Più tardi venne però scoperto che il commando aveva ucciso un cittadino americano, Leon Klinghoffer, ebreo e paralitico a causa di un ictus. Episodio che provocò la dura reazione degli Stati Uniti che tentarono di catturare i terroristi. Il volo sul quale viaggiavano dall’Egitto, Paese mediatore nella trattativa che consentì alla nave di attraccare a Porto Said, alla Tunisia, nazione nella quale il leader palestinese dell’Olp, Yasser Arafat, aveva trasferito il suo quartier generale intercettati, venne intercettato da caccia statunitensi e costretto ad atterrare alla base aerea americana di Sigonella. Ne venne fuori la più grave crisi diplomatica del dopoguerra tra Italia e Usa, in quanto l’allora premier italiano, Bettino Craxi, si oppose all’intervento americano, chiedendo il rispetto del diritto internazionale. Il commando venne così preso in consegna dai nostri carabinieri, per essere detenuto e processato in Italia. A seguito di quel dirottamento, i Paesi aderenti all’Organizzazione Marittima Internazionale (Imo), adottarono la cosidetta “Convenzione di Roma”, per prevenire e punire atti di terrorismo in mare, entrata in vigore il primo marzo del 1992. Citate anche le crociere sul Nilo, in Egitto, prese di mira a cavallo tra il 1993 e il 1995 dall’organizzazione integralista egiziana Jamaa Islamiya nelle zone di Abu Tig e Assiut (oltre 400 chilometri a sud de Il Cairo), in risposta alle guerra israelo-palestinese e come sfida all’allora rais Hosni Mubarak. In uno di questi attacchi, avvenuto il 4 marzo del 1994 ai danni della nave Regency, rimase gravemente ferita Edith Gorgab, una turista tedesca di 54 anni colpita al collo da un proiettile mentre era seduta nei pressi di un finestrino. La donna morirà 13 giorni dopo in un’ospedale della capitale egiziana per un edema celebrale.

 

È tuttavia nel Corno d’Africa che si è registrato il maggior numero di attacchi. Il primo risale all’inizio del 2005, quando viene presa di mira la Seabourn Spirit battente bandiera delle Bahamas, nave da 10mila tonnellate di stazza della compagnia specializzata in crociere di lusso Seabourn Cruise Line, di proprietà della Carnival Corporation di Miami (Florida), il più grande operatore al mondo di questo comparto che detiene numerosi marchi, tra cui l’italiana Costa Crociere. Il 5 gennaio, mentre è in navigazione verso il porto kenyano di Mombasa, la Spirit viene attaccata da uomini armati giunti sul posto a bordo di due lance. A bordo c’erano 151 passeggeri, di cui 48 americani, 21 canadesi, 19 australiani, 6 sudafricani, il resto per lo più europei. Gli assalitori cercano di salire a bordo, dopo aver sparato razzi e colpi di armi automatiche contro la Spirit. Ma le attuali navi da crociera, fa notare l’intelligence, a differenza dei transatlantici del passato come l’Achille Lauro, sono alte quasi 100 metri. In altre parole, come la Torre Velasca di Milano, il grattacielo situato nell’omonima piazza del capoluogo meneghino, a due passi dal Duomo. Maggiore è l’altezza del bordo dal mare, più difficoltoso è ovviamente l’arrembaggio. Grazie alla prontezza dell’equipaggio, composto da altre 161 persone, la Spirit subisce pochi danni nell’attacco, solo qualche vetro rotto, nessuno ferito. I passeggeri erano del resto stati velocemente radunati in una zona ritenuta sicura, senza finestre che dessero sull’esterno. Non per niente sul terrazzino di una cabina passeggeri verrà in seguito rinvenuta una granata Rpg inesplosa. Tre anni dopo, i pirati somali ci riprovano, mirando sempre in alto. Con la stessa tecnica, due lance con una decina di pirati, nel novembre 2008 attaccano una della 4 navi della maggiore compagnia al mondo specializzata in crociere di lusso. Si tratta della della Nautica della Oceania Cruises, anche questa con sede a Miami, con a bordo 400 passeggeri, quasi tutti americani, e 200 uomini di equipaggio. Un attacco sventato soltanto grazie alla presenza nell’area di due navi militari, una francese, la seconda danese, che hanno fatto immediatamente alzare in volo elicotteri da guerra. Nemmeno un mese dopo è la volta della MS Astor della compagnia tedesca Transocean Tours, attaccata sempre da due lance, mentre era in viaggio dall’Egitto a Dubai con 600 passeggeri a bordo. Mentre la Costa Europa, sempre nel dicembre 2008, fece scattare l’allarme antipirateria dopo aver avvistato nella propria zona tre imbarcazioni veloci: i passeggeri furono fatti rientrare tutti nelle zone interne e una fregata turca si avvicinò, mettendo in fuga le lance sospette. Infine, in cerca del colpo grosso, l’attacco alla Melody della Msc, l’unica grande compagnia di navigazione dedita al mercato delle crociere rimasta a capitale interamente italiano, con sede a Napoli e a Ginevra (Svizzera), nata dalle ceneri della flotta Lauro e da una costola della Mediterranean Shipping Company sa, dell’armatore Gianluigi Aponte, seconda al mondo per il trasporto di container. I pirati tentano l’arrembaggio di questo bestione dei mari (35 tonnellate di stazza e 204 metri di lunghezza) con ben 1.500 passeggeri a bordo, a fine aprile 2009, sperando nel favore dell’oscurità. L’attacco non riesce, anche perché la nave risponde al fuoco.

 

Le navi da crociera hanno cominciato ad imbarcare personale della security dopo il già citato episodio dell’Achille Lauro, sequestrata da terroristi palestinesi. Il compito degli agenti di sicurezza, cresciuto con il boom del traffico crocieristico dell’ultimo decennio, si concentrava però sinora nel controllare che a bordo non salissero terroristi camuffati da turisti e non venissero introdotte armi. Tutte le navi delle maggiori compagnie mondiali, dalla statunitense Carnival (quattro compagnie negli Stati Uniti, due nel Regno Unito e una a testa in Germania, Italia, Spagna e Australia) fino all’italiana Msc, sono dotate di scanner come quelli degli aeroporti per rilevare la presenza di metalli. L’ingresso e l’uscita dei passeggeri sono inoltre rilevati elettronicamente con apposite carte magnetiche. In seguito ai primi attacchi al largo della Somalia, ora che il pericolo giunge in alto mare e dall’esterno, ogni compagnia ha aggiornato la proprie contromisure in modo diverso. Del resto le alternative erano due: cambiare le proprie rotte, perdendo così parecchi soldi (il Corno d’Africa si trova dopo il tanto apprezzato Mar Rosso), oppure adottando delle contromisure. Costa Crociere (gruppo Carnival), come fanno anche le navi mercantili, ha montato dei cannoni ”sonori” che lanciano forti impulsi in grado di disorientare e quindi tenere lontani gli attaccanti. Inoltre, prima di affrontare tratti infidi, come l’ingresso nel mar Rosso, informa i gruppi navali internazionali impegnati nella tutela dei traffici marittimi, in modo tale che la propria nave possa venire sorvegliata discretamente. Altre compagnie hanno invece ingaggiato agenti della sicurezza armati e pronti a rispondere al fuoco dei pirati, come accaduto sulla Melody, provenienti anche da blasonati servizi segreti come il Mossad israeliano. Su tutte le navi della Msc sono imbarcati agenti israeliani che si occupano della security, armati e pronti a entrare in azioni in caso di necessità. Altri armatori hanno infine chiesto aiuto al nostro ministero della Difesa, come nel caso dei marò italiani: due fucilieri della nostra marina militare dei sei imbarcati sulla petroliera italiana Enrica Lexie come nuclei militari di protezione, accusati di aver ucciso il 15 febbraio 2012 due pescatori indiani scambiati per pirati al largo della costa del Kerala, stato dell’India sud occidentale.

 

L’unico sequestro di una nave da crociera messo a segno dai somali è stato quello del veliero francese Le Ponant, avvenuto all’inizio di aprile del 2008. A bordo c’erano 30 francesi, liberati a sette giorni di distanza, dopo il pagamento di un riscatto di 2 milioni di dollari. Ma quel sequestro, ricorda l’intelligence, è stato possibile soltanto perché si trattava di una mega yacht di lusso a vela. Un tre alberi lungo 88 metri dotato di 32 cabine alto, quindi, quanto un cargo o una petroliera e, di conseguenza, molto più facile da arrembare. Proprio quell’anno, nel 2008, come già accennato, nel Corno d’Africa prende il via la Task Force 150. Una coalizione antipirateria, formata dalle marine militari di diverse nazioni, per proteggere le navi in transito tra il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano. D’altronde l’anno prima, la situazione era notevolmente peggiorata con una media di un attacco al giorno e diverse imbarcazioni nelle mani dei pirati con carico ed equipaggio in attesa del pagamento di un riscatto quintuplicato. Poiché passato da un un milione di dollari ai 5 milioni attuali, divisi poi tra decine di intermediari, capi clan, militari, pirati e funzionari locali corrotti. Proprio in quel periodo, secondo l’intelligence, viene siglato un patto di ferro tra pirateria e fondamentalismo islamico somalo, guidato oggi come allora dal gruppo al Shaabab (gioventù in arabo), braccio armato di al-Qaeda in Somalia prima e dello Stato Islamico ora, che proprio in quel periodo, anche grazie a milioni di dollari pagati dagli armatori, diventa sempre più potente e forte sul territorio. Un’intesa strategica che garantisce un flusso continuo di soldi per la jihad, la loro guerra santa. Gli obiettivi dei pirati cambiano anche per questo. Sequestrano ad esempio la superpetroliera saudita Sirius Star con due milioni di barili di greggio a bordo, oppure un cargo ucraino con a bordo con a bordo 33 blindati T-72, moltissime armi pesanti e centinaia di casse di munizioni. Ma soprattutto puntano alle navi da crociera. La loro presa sarebbe stata, almeno virtualmente, non solo una cattura da cui si sarebbe potuto ricavare un’enorme riscatto, guadagno col contrabbando di greggio o armi, ma attorno alla quale, sempre stando a fonti di intelligence, avrebbero anche giocato un’importante partita terroristica: avendo in mano diverse centinaia di occidentali, tra cui molti americani e chissà quanti ebrei, con rischi potenziali ben superiori al semplice pagamento per il loro rilascio, investendo scenari completamente diversi, fra cui richieste di scambi di prigionieri jihadisti.

 

L’incubo degli 007 occidentali è però un altro. Si chiama rischio Uss Cole. La mattina del 12 ottobre 2000 proprio nel porto yemenita di Aden è ormeggiato un cacciatorpediniere della marina statunitense. Sta facendo rifornimento dopo una navigazione nel Golfo Persico, quando una piccola imbarcazione imbottita di esplosivo con due kamikaze a bordo le si scaglia contro la fiancata a tutta velocità. L’esplosione, di grande violenza, provoca una falla di ben 12 metri di altezza e 18 di lunghezza e fa inclinare la nave di 4 gradi. Nell’attacco muoiono 17 marinai e altri 39 restano feriti. Anche i danni sono ingenti. Stimati in quasi 200 milioni di dollari, la nave non affonda per poco e perché la chiglia non è stata compromessa, in quanto l’esplosione avviene a pelo d’acqua, dissipando così molta dell’energia prodotta. In caso contrario, si sarebbe dovuta demolire. Quello alla Uss Cole è stato il terzo attentato su larga scala, messo a segno da al-Qaeda. Nell’estate del 1998, l’organizzazione guidata allora da Osama bin Laden aveva colpito le sedi diplomatiche degli Stati Uniti in Kenya e Tanzania. Il cablogramma dell’intelligence Usa denuncia questo rischio per le navi da crociera: la drammatica possibilità di un barchino imbottito di esplosivo, lanciato a tutta velocità sulla fiancata di una di queste città galleggianti, proprio dove si trovano le cabine. Un pericolo che non fa dormire sonni tranquilli alle agenzie internazionali di sicurezza da diversi anni. Proprio nel 2008, mentre i pirati somali in seguito all’accordo il gruppo jihadista al Shaabab cercano in tutti i modi di conquistare un grande nave da crociera, proprio nel nostro Paese si svolge un’esercitazione sul “rischio Uss Cole”. Il 7 luglio la Insigna, lussuosa nave da crociera da 30.000 tonnellate di stazza 684 passeggeri e 400 membri dell’equipaggio della Oceania Cruises, è ormeggiata in rada a Portofino. Ad un certo punto, un gommone con quattro persone a bordo gli si lancia contro a tutta velocità. A bordo scatta l’allarme. I turisti vengono fatti nascondere nelle loro cabine. Mentre l’equipaggio, risponde all’attacco puntando degli idranti in direzione del gommone, respingendo così l’attacco. Poco dopo intervengono motovedette della guardia costiera e gommoni di carabinieri e polizia che, lanciati in un inseguimento in mare, arrestano gli assalitori. A coordinare questa che è stata, fortunatamente, soltanto un’esercitazione, la Capitaneria di Porto di Santa Margherita Ligure. A fare la parte dei terroristi, un gruppetto di civili arruolati a Portofino e messisi a disposizione delle autorità. Quattro di loro hanno caricato una misteriosa scatola su un gommone, l’hanno coperta con un telo e hanno iniziato a girovagare attorno alla nave da crociera, fino a quando non gli si sono improvvisamente avvicinati a tutta velocità, facendo scattare l’allarme a bordo della Insigna. Il tutto sotto gli occhi divertiti di turisti che di certo non si aspettavano di assistere alla rappresentazione di un incubo terroristico nell’incantevole baia. Un’altra esercitazione si era svolta qualche anno prima nel mar Baltico. A lanciare l’operazione “Kaliningrad 2004” in questo caso è la Nato che nell’ambito del partenariato euro-atlantico mette in campo circa mille persone provenienti da 22 Paesi dell’Allenza, Italia compresa. Al largo di Kaliningrad (sono ancora i tempi del disglelo Usa-Russia) vengono ipotizzati attacchi a due grandi piattaforme petrolifere ma anche la collisione fra una nave da crociera e una petroliera, presa in ostaggio dal terroristi. L’esito dello speronamento immaginato è disastroso: circa 3.000 vittime. In campo, molti elicotteri e aerei forniti soprattutto dai russi, assieme a quelli lituani e polacchi. Ma anche mezzi anfibi, adoperati per salvare le controfigure in acqua. Come di consueto in questi casi, fonti Nato avevano sottolineato che la scelta degli scenari di queste esercitazioni sono basate su concrete informazioni di intelligence.

 

Alla fine di quell’anno, le agenzie di sicurezza avevano inoltre lanciato l’allarme su possibili attacchi in mare ad opera di al-Qaeda. Tanto che nell’estate 2005, undici jihadisti vicini ad alla formazione terroristica vengono arrestati nel sud della Turchia, perché sospettati di preparare un attacco contro una nave da crociera con turisti israeliani. Tra i fermati anche Lovai Sakra, un siriano di 31 anni esperto di esplosivi, sospettato di di essere una delle menti dei sanguinosi attentati del novembre 2003 ad Istanbul (63 morti e centinaia di feriti) contro due sinagoghe e altrettanti obiettivi britannici (il consolato inglese e la banca Hsbc). Sakra, considerato uno dei membri di Al-Qaeda più alti in grado catturati finora in Turchia, aveva i connotati cambiati da una recente plastica facciale. L’operazione congiunta tra i servizi turchi Mit, quelli israeliani del Mossad e quelli americani della Cia era scattata il 3 agosto scorso, quando in un’appartamento di Antalya, un’esplosione avvenuta durante la preparazione di una bomba aveva attirato l’attenzione della polizia. Nell’appartamento erano così stati rinvenuti una tonnellata di esplosivo, il passaporto siriano di Sakra e quello del suo connazionale Ahmed Obysi, anche lui immeditamente catturato a Antalya. L’attacco della cellula qaedista sarebbe dovuto avvenire in mare, al largo della città meridionale turca di Alania, dirigendo un gommone carico di esplosivo contro una nave di turisti israeliani. Per come messo a punto, con ogni probabilità, l’attentato avrebbe provocato l’affondamento della nave e la morte di centinaia, se non migliaia, di passeggeri israeliani in crociera in Turchia. Tutti rischi tornati ora di prepotente attualità dopo l’attentato di Tunisi al museo del Bardo, in seguito al quale l’intelligence Usa ha lanciato l’allarme avvisando, con un cablogramma riservato di cui vi abbiamo dato conto, le agenzie di sicurezza dei Paesi alleati su un possibile attacco in stile Uss Cole a una delle centinaia di navi da crociera che girano i mari del mondo cariche di diverse centinaia di turisti occidentali.

 

nella foto, l’SOS dell’Achille Lauro


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