Oltre 150 milioni di euro l’anno per 300 dipendenti e uno stuolo di consulenti. 10 milioni e passa di fitti passivi a Propaganda Fide e Caltagirone. Sono solo alcuni numeri di un vortice milionario chiamato Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni, su cui oggi potrebbe arrivare un nuovo, pesantissimo j’accuse per l’omessa vigilanza sul binomio milionario camorra-tv private, che dilaga nel napoletano ed oltre.
Concorso esterno in associazione mafiosa e favoreggiamento. Sarebbe questa la pesante ipotesi accusatoria nei confronti dell’Agcom contenuta in una denuncia che potrebbe essere presentata nelle prossime settimane da alcune imprese televisive danneggiate dal dilagare del perverso binomio tv private-camorra, venuto ancor piu’ alla luce negli ultimi mesi grazie all’azione incisiva della Direzione distrettuale antimafia partenopea.
Il fenomeno e’ balzato alle cronache nazionali in tutta la sua pervasivita’ grazie anche alla puntata di Uno Mattina del 6 giugno scorso cui ha preso parte l’avvocato Lucio Varriale, consulente del network Julie-Telelibera, l’unico circuito partenopeo che la guerra aperta ai clan camorristici l’ha dichiarata fin dagli anni novanta e la combatte ancora oggi a caro prezzo (l’ennesimo sabotaggio di tutte le postazioni e’ di appena un mese fa).
Varriale, che l’accusa di concorso esterno l’ha rivolta in Procura contro diverse emittenti in forte odor di camorra, nel corso del programma di Rai 1 ha minuziosamente documentato il business criminale che avvelena i cieli partenopei da decenni, distorce il mercato delle frequenze e costringe gli operatori onesti a pagare il pizzo se intendono mantenere intatte le loro apparecchiature. Esperienza raccontata in diretta anche da Alessandro De Pascale, autore del recentissimo Telecamorra (Lantana Editore) e da Bruno De Vita, patron di Teleambiente, costretto dai clan a rinunciare alle frequenze legittimamente acquisite per estendere alla Campania la sua popolarissima emittente romana.
Allora la domanda e’: cosa ha fatto e come ha vigilato su tutto questo l’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni, che proprio a Napoli ha la sua sede principale ormai da oltre dieci anni? Pur trattandosi di fenomeni che rientrano nelle sue competenze, l’Autorita’ ha finora ignorato del tutto la questione, benche’ i fatturati delle tv vicine ai clan si siano ingrossati a dismisura proprio in ragione di crimini come l’evasione fiscale, il riciclaggio e – fattispecie riscontrata piu’ di recente dai pm della Dda – anche istigazione alla deliquenza di stampo mafioso.
«Eppure – spiegano gli esperti – in base alla legge istitutiva del 1999, ma anche secondo il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche, l’Agcom e’ tenuta al monitoraggio costante di tutte le trasmissioni televisive, ad assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato e a tutelare il pluralismo e le liberta’ fondamentali dei cittadini nel settore delle telecomunicazioni, dell’editoria, dei mezzi di comunicazione di massa». Senza contare il fatto che i titolari di emittenti private, per poter trasmettere, sono obbligati a presentare all’Agcom anche il certificato antimafia.
Invece si e’ andati avanti nel segno dell’illegalita’, senza che finora l’Autorita’ o il Corecom territoriale ad essa connesso abbiano avuto nulla da eccepire. Ma le operazioni messe a segno dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea negli ultimi mesi la dicono lunga sull’estensione del fenomeno malavitoso in un settore che, fra l’altro, sta condizionando in maniera negativa modelli e stili di vita soprattutto nei giovani. Per un giro d’affari in nero non inferiore ai 2 milioni di euro l’anno, con un’evasione fiscale globale calcolata in circa 80 milioni di euro.
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7 febbraio 2012. Nel corso di un’operazione anticamorra dei Carabinieri, a Ercolano scattano 41 ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di affiliati a due clan camorristici in lotta per il controllo degli affari illeciti nella zona. Fra gli indagati, quasi tutti elementi di spicco dei clan Ascione-Papale e Iacomino-Birra responsabili di associazione di tipo mafioso, estorsione, omicidio, violazione della legge sulle armi, rapina e spaccio di droga, due cantanti neomelodici accusati di istigazione a delinquere. «Con i testi delle loro canzoni e le immagini dei loro video – annotano le forze dell’ordine – avrebbero inneggiato alla camorra esaltandone atteggiamenti e abitudini». Il riferimento e’ al ritornello di ‘O capoclan interpretato da Nello Liberti, uno degli indagati, il cui testo viene riportato integralmente nell’ordinanza di custodia cautelare.
La canzone, lungi dal restare confinata negli sguaiati gorgheggi di vicoli e postazioni malavitose, spunta regolarmente nelle case dei napoletani attraverso le dirette neomelodiche non stop mandate in onda a pagamento dalle emittenti televisive sotto il controllo dei clan. Un modo per far girare il denaro provento di reati, ma anche di controllare la mentalita’ delle nuove leve.
25 maggio. Nell’ambito dell’Operazione “Canta Napoli” due vecchie conoscenze del milieu neomelodico finiscono nuovamente nel mirino delle fiamme gialle. Si tratta di Tommy Riccio (sua ‘Nu Latitante) e Antonio Ottaiano, stavolta accusati di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e occultamento delle scritture contabili, con un giro illegale di transazioni economiche da oltre 6 milioni di euro. «Non una parola dall’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni – viene sottolineato negli ambienti delle tv private partenopee – come se i due non fossero le autentiche star di ben precise emittenti locali».
Ancor piu’ recente il cosiddetto “caso Ivone”. E’ l’8 agosto scorso quando nel quartiere Fuorigrotta si registra l’ennesimo agguato notturno ai danni di due giovani. La donna, Maria Ivone di 23 anni, e’ figlia di Antonio Ivone, un camorrista del clan Cocozza ucciso dodici anni fa. A due esponenti della famiglia Ivone fa capo il marchio Papele Tv, una delle emittenti che da anni imperversano sulle reti televisive locali con programmi a base di neomelodici. Tutto a posto, per le autorita’ di controllo?
Durissima la reazione, di fronte a tanta inerzia, del gruppo Julie-Telelibera che da anni aveva inviato in Procura tutta una serie di documentatissimi j’accuse sull’intero fenomeno. In particolare a dicembre scorso Dario de Colibus, amministratore unico della societa’ che gestisce Telelibera, chiedeva «la punizione di Nicola Turco, pluripregiudicato ed attualmente imputato in una pluralita’ di processi specifici all’attivita’ delle telecomunicazioni», «di Pasquale Piccirillo (che gestisce il circuito casertano Teleluna, ndr), e degli altri operatori del settore che risulteranno colpevoli nel corso delle indagini». Secondo la meticolosa documentazione tecnica allegato alla denuncia, infatti, Turco e Piccirillo utilizzerebbero frequenze e numerazioni del digitale terrestre abusive o illegittime, attraverso cui «irradiano da anni, continuamente ed esclusivamente programmazione di cantanti neomelodici, rigorosamente al nero, evadendo cosi’ il fisco, con conseguente perdita dell’erario di centinaia di migliaia di euro».
E tutto questo, proprio «in un cosi’ delicato momento per la nazione, mentre tutte le forze politiche e sociali chiedono di perseguire l’evasione fiscale», «e quando si preparano provvedimenti di prelievo fiscale a cittadini gia’ “spremuti”, anche perche’ milioni di euro evasi, come in questo caso, non vengono perseguiti, anzi favoriti con persistenti omissioni».
Ma non basta ancora perche’, grazie all’intensa attivita’ investigativa di pm antimafia partenopei come Rosario Cantelmo ed Alessandro Pennasilico, coadiuvati dal capocentro Dia Maurizio Vallone, altre retate stanno mettendo a nudo buona parte del “Sistema” canoro-malavitoso. In manette e’ finito anche Raffaele Migliaccio, noto ai fan come Raffaello. Lesioni, oltraggio, minacce, violenza e porto abusivo di arma da fuoco sono solo alcuni dei reati contestati alla “star” dei neomelodici emergenti, tanto che a lui si fa riferimento in una sequenza del film di Matteo Garrone, Gomorra.
Ed e’ il 4 luglio scorso quando a Poggioreale finiscono 22 affiliati al clan Gionta di Torre Annunziata per traffico di stupefacenti dall’Olanda: fra loro c’e’ anche il neomelodico Tony Marciano, finanziatore del giro di spaccio. All’arrivo dei carabinieri dichiara: «Se faccio un concerto manco vengono tutte ‘ste telecamere…».
Al corposo dossier trasmesso dall’avvocato di Julie all’Antimafia sono allegati i dvd che provano le ore e ore di trasmissione delle performances di Marciano e C. da parte di tv private ben identificate: Italiamia, facente capo al gruppo di Pino Giordano (sotto processo per l’operazione “Onde sporche”), Televolla, Antenna 3, Teleurania ed altre. Il tutto, con un’evasione fiscale da capogiro: operata non solo dai singoli cantanti, ma anche dalle emittenti che li trasmettono. Infatti «ogni cantante neomelodico paga alla tv circa 150 euro per ogni ora di trasmissione, per una media mensile di circa 3-4mila euro ciascuno. Ma il pagamento avviene rigorosamente in contanti».
Le speranze degli operatori televisivi vessati dai clan sono oggi riposte nella nuova guida del Dipartimento editoria presso la presidenza del Consiglio, che e’ stata assunta da un profondo conoscitore di tutto il settore, Paolo Peluffo, cui si riconoscono da ogni parte doti di rigore e competenza.
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Noi pero’ torniamo all’Agcom. Perche’ a questo punto e’ lecito domandarsi, anche alla luce di quello che sta succedendo a Napoli, quanto costa ogni anno agli italiani la sua vigilanza sui mezzi di comunicazione. Partiamo dagli immobili, la scandalosa questione della “doppia sede” su cui e’ intervenuto da ultimo, a giugno scorso, Massimo Donadi di Italia dei Valori con un’interrogazione al calor bianco. Nella quale l’esponente del partito di Antonio Di Pietro chiede lumi sulle spese pazze per la duplicazione del quartier generale. Qualche risposta e’ contenuta, molto fra le righe, nei bilanci ufficiali dell’Autorita’. Ecco: solo di fitti, l’Agcom ci costa oltre ventisettemila euro al giorno, il doppio di quanto guadagna un lavoratore medio in 12 mesi. La spesa appostata nel bilancio 2011 per i canoni di locazione e’ infatti pari alla bellezza di 8 milioni e 64mila euro: tanto costa l’affitto delle due mastodontiche sedi di Roma e Napoli, cui si aggiungono, sempre su base annua, 1 milione e 219mila euro per «pulizie, traslochi, facchinaggio e smaltimenti rifiuti», ed un altro milione e 133mila euro per spese di «portierato e vigilanza privata».
Totale: la stratosferica cifra di 10 milioni 418mila e rotti (contro i 4 milioni e mezzo del 2008), solo per consentire ai dirigenti e al personale dell’Autorita’ per le Garanzie delle comunicazioni di mettere piede ogni mattina negli sterminati uffici. In tempo di spending review, ma soprattutto con le restrizioni da lacrime e sangue che stanno letteralmente decimando le fasce deboli della popolazione italiana, mentre i prelievi sulle pensioni o l’Imu alle stelle impediscono ad anziani e pensionati anche l’acquisto dei farmaci salvavita, l’ultimo bilancio reso noto dall’Agcom suona come un autentico schiaffo in pieno viso agli italiani. Considerando soprattutto che – a dire dei redattori del documento contabile – sarebbero stati gia’ eseguiti i “tagli” previsti dall’ex ministro Tremonti. E che, se anche fosse, si tratta pur sempre di spese alle stelle, quasi sempre in favore di privati. Senza contare il fatto che a tutto il 22 agosto 2012 non era ancora comparso sul sito ufficiale dell’Agenzia il bilancio chiuso al 31 dicembre 2011, nonostante il richiamo ufficiale in tal senso del Dipartimento Funzione pubblica.
«Di sicuro – dice chi ha spulciato fra quelle carte – il documento contabile si e’ chiuso con avanzo zero. Il che significa che negli ultimi tre anni e’ stato bruciato un avanzo pregresso pari a circa 19 milioni di euro». Soldi nostri, ovviamente. Ma torniamo ai fitti d’oro, magna pars di quel bilancio spendaccione.
Se a Roma il palazzone di via Isonzo che ospita il quartier generale dell’Agenzia fa capo a Propaganda Fide (spesa per l’affitto: circa 4 milioni e mezzo l’anno), a Napoli il canone da capogiro (circa 1 milione e 200mila) per Torre Francesco va nelle casse del Gruppo Caltagirone, proprietario del grattacielo del centro direzionale, originariamente destinato ad ospitare circa 1000 dipendenti ed ora riservato ai 111 “sopravvissuti” del capoluogo partenopeo, che si aggirano come fantasmi dentro le smisurate quadrature di ben 12 piani, «per una media – dice sardonico un frequentatore di quelle stanze – di 9 persone a piano».
E recentemente a dettare i suoi nomi per i nuovi vertici Agcom e’ stato proprio uno stretto congiunto del “padrone di casa” Francesco Caltagirone: lui, Pierferdinando Casini, compagno di Azzurra Caltagirone. Nessun pudore, anche su questo strategico versante, per un’Autorita’ capace di spendere ogni anno oltre 150 milioni di euro per mantenere circa 300 dipendenti, uno stuolo di consulenti e una nomenklatura apicale retribuita a peso d’oro. Andiamo con ordine e partiamo dalle nomine. In primis, il pupillo di Casini-Caltagirone.
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A fine luglio si e’ insediata la quaterna dei superconsiglieri andati a sostituire gli otto membri delle precedenti legislature. Dopo aver buttato «nel cesso» – come ha detto Antonio Di Pietro – le decine di prestigiose candidature pervenute per quel ruolo, ed aver rapidamente consultato l’immarcescibile Cencelli, la scelta dell’Udc di Casini e’ caduta su Francesco Posteraro, attuale vicesegretario della Camera. Un’investitura, quella di Posteraro, sicuramente gradita anche al presidente uscente dell’Agcom Corrado Calabro’, visto che entrambi figurano nell’organizzazione chiamata C3.
Niente a che vedere con P3, P4 o P2, benche’ alcuni fra i vip che popolano la sigla per i calabresi illustri nel mondo siano piu’ volte incappati nel mirino di indagini condotte su questi o analoghi consessi al limite dell’illegalita’. Per chi non lo ricordasse (la Voce ne aveva scritto un anno fa, a settembre 2011) la C3, anzi, “il” C3, dicono loro, che aggiungono anche l’aggettivo “International” – e’ il Centro Culturale Calabrese fondato 23 anni fa da Giuseppe Accrogliano’, grand commis della Dc calabrese, che dalla sede romana del sodalizio dichiara oggi di contare su 70mila iscritti.
Di sicuro, nel comitato d’onore del C3 siedono fior di magistrati, vertici istituzionali e vip della politica nazionale.
Nel passato di Accrogliano’ solo un’ombra, tuttora presente negli archivi di Repubblica. Che il 4 luglio del 1995, nell’ambito di un articolo di Pantaleone Sergi su “Donna Gina”, zarina della ‘ndrangheta jonica, dava conto delle minuziose indagini in corso e concludeva ricordando «l’elenco dei coinvolti eccellenti: con gli “avvisati” Amedeo Matacena jr deputato di Forza Italia, Attilio Bastianini e Salvatore Frasca ex sottosegretario, c’e’ anche, indagato, l’ex consigliere regionale Giuseppe Accrogliano’, del Ppi, mentre suo fratello, Antonio, e’ stato arrestato a Roma».
Tutto risolto, probabilmente. Ma il nome di Giuseppe Accrogliano’ sbuca piu’ di recente fra le carte delle inchieste condotte a Catanzaro dall’allora pm Luigi de Magistris, per sue le telefonate con il generale della guardia di finanza Walter Cretella Lombardo. Un altro incomparabile trait d’union, il generale, tra il Centro Culturale Calabrese e l’Authority per le Comunicazioni. Cretella Lombardo, infatti, e’ stato a lungo capo del nucleo delle Fiamme Gialle operante a Torre Francesco. E contemporaneamente siede nel Comitato d’Onore della C3. Indagato nell’ambito delle inchieste Why Not e Poseidone, prima che la sua posizione venisse archiviata, Cretella proviene dai Servizi segreti dell’era Nicolo’ Pollari.
E cosi’ torniamo a Posteraro (il nuovo commissario Agcom benedetto da Casini), che nel parterre de roi messo su da Accrogliano’ e compagni siede gia’ da tempo. Ma non basta ancora, «perche’ secondo un circostanziato ricorso – spiega un addetto ai lavori – Posteraro non aveva nemmeno presentato la domanda per assumere la carica in Agcom, tanto che si e’ dovuto procedere in fretta e furia ad una riapertura lampo dei termini». Non meno velenose le polemiche che hanno accompagnato la sua investitura quando si e’ scoperto, all’indomani della nomina, che suo figlio, Paolo Posteraro, era gia’ membro del Corecom Calabria, organismo controllato per legge dalla stessa Agcom. Risultato: il beau geste di Posteraro junior, che presenta le dimissioni. E l’ancor piu’ eroica iniziativa di Franco Talarico, presidente del Consiglio regionale calabrese, che prontamente le respinge.
A Francesco Posteraro, che in Agcom va a guidare la Commissione Servizi e Prodotti, va un emolumento annuo di 264.293 euro lordi.
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Altri 264.293 euro (il compenso dei quattro consiglieri e’ identico) se ne andranno per il commissario Agcom prescelto dal partito di Pier Luigi Bersani. Si tratta di Maurizio Decina, docente di ingegneria al Politecnico di Milano. Quali benemerenze o competenze specifiche per la guida dell’Autorita’, a parte quelle accademiche, potra’ avere il professore gradito al Pd? «Beh – spiega un vecchio funzionario del partito – forse basta ricordare che Maurizio Decina e’ stato socio di Claudio Velardi in Reti». Reti e’ la societa’ di lobbyng costituita nei primi anni 2000 dall’uomo che sussurrava a Massimo D’Alema (e contemporaneamente strizzava l’occhio a Silvio Berlusconi). Con Velardi e Decina, nel parterre di Reti, anche il migliorista di lungo corso Antonio Napoli e il tesoriere di quegli anni di sfrenato dalemismo, il fedelissimo di Velardi Massimo Micucci.
Una buona credenziale di inossidabile fede Pd, questa, tanto per cominciare. Ne’ puo’ considerarsi trascurabile il fatto che il professor Decina sia stato per un certo periodo fra i docenti ai master superiori organizzati dal Consorzio Elis, colosso formativo delle elites giovanili targate Opus Dei.
Correva l’anno 2005 e nel comitato scientifico dei corsi Elis per le tecnologie informatiche, accanto a Maurizio Decina, sedeva fra gli altri Adamo Bove, “suicidato” alla vigilia della sua deposizione chiave dinanzi ai pm partenopei nell’ambito delle indagini sugli spioni di casa Telecom.
Circostanze che capitano, indubbiamente, nel corso di una lunga carriera accademica come quella del professor Decina. Cui gli allievi milanesi nel congedarsi hanno riservato l’amara sorpresa di un video, tuttora presente su Youtube, nel quale Decina, durante la spiegazione di complicate formule matematiche, si abbandona ad un linguaggio infarcito di maleparole. Tanto che il video-sberleffo e’ stato postato in versione “integrale” e anche sotto forma di “rap”.
Sic transit gloria mundi. Di certo resta il fatto che nel Pd i fan del professor Decina l’hanno spuntata rispetto ai sostenitori di Antonio Sassano, che avrebbero visto nella nomina di quest’ultimo un segnale di rigore e di moralizzazione.
«Sassano – spiega infatti una fonte interna – e’ gia’ da lungo tempo consulente esterno dell’Agcom con retribuzioni che si aggirano intorno ai 60mila euro e passa ogni anno. La sua investitura avrebbe consentito di tagliare quelle somme per consulenza, riconvertendole nel fatidico emolumento dei consiglieri in carica, i 264 mila euro e passa». Niente da fare: Sassano resta superconsulente e Decina va a ricoprire la casella del Pd nell’organigramma di vertice.
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Poco da segnalare, poi, sugli altri due neoconsiglieri, entrambi in quota Pdl. Il primo, Antonio Preto, e’ capo di Gabinetto del vicepresidente della Commissione Europea Antonio Tajani, altro fedelissimo del Cavaliere. Per il secondo, il berlusconiano d’acciaio Antonio Martusciello, si tratta in realta’ di una riconferma, visto che il Pdl lo aveva piazzato su quella poltrona fin dalla scorsa legislatura, all’indomani della defenestrazione di Giancarlo Innocenzi Botti, colpito dalle indagini della magistratura di Trani sulle pressioni ricevute per far sospendere il programma di Michele Santoro.
Napoletano del Vomero, una carriera tutta in Publitalia, Fininvest e Pdl, Antonio Martusciello e’ fratello del consigliere regionale Fulvio, dato in rampa di lancio per un assessorato alla Regione Campania del governatore Stefano Caldoro. Non resta al palo nemmeno sua moglie, la bionda Valeria Licastro Scardino, piazzata nella commissione per i finanziamenti statali al cinema dal ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan un attimo prima che cadesse il governo Berlusconi, a novembre dello scorso anno.
La giostra di incarichi, milioni, posti e onorificenze, insomma, continua, alla faccia di quegli italiani che si suicidano per debiti da poche migliaia di euro con Equitalia. «Il fatto e’ – sbotta un esperto di telecomunicazioni – che nei prossimi mesi l’Agcom dovra’ gestire alcune partite vitali per il Paese e per il suo destino». Il riferimento e’ in primo luogo al cosiddetto “Ultimo Miglio”, ovvero il braccio di ferro che vede contrapposti il gigante Telecom, da un lato, e sul versante opposto gli altri operatori di telefonia, che attualmente pagano un canone salato al monopolista Telecom per utilizzare il tratto finale (definito appunto “ultimo miglio”) delle reti telefoniche italiane.
Per affrontare queste ed altre patate bollenti sul tappeto, il premier Mario Monti a giugno ha rotto gli indugi. Bypassando ogni forma di trasparenza e in barba alle decine di domande con tanto di curricula di tutto rispetto presentate dagli aspiranti alla successione di Corrado Calabro’, Monti ha prescelto per la presidenza Agcom un uomo di sua diretta emanazione: Angelo Marcello Cardani, bocconiano pure lui e per anni suo braccio destro a Bruxelles in Commissione europea. Del neopresidente Cardano si segnala, oltre al lungo curriculum accademico, la presenza nel Comitato politico del primo e secondo governo di Giulio Andreotti, all’inizio degli anni ’90. Emolumento in Agcom: circa 300mila euro l’anno.
Ma altre questioni infiammano i prossimi mesi dell’Autorita’, a cominciare dall’approvazione degli atti di gara del cosiddetto Beauty Contest, i cinque multiplex di frequenze ancora tutti da assegnare (pari a 25 canali nazionali sul digitale terrestre), con Mediaset ben intenzionata a fare la parte del leone e, dall’altra parte, una societa’ ad hoc con 1 miliardo di euro in dote messa su recentemente da Telecom Italia (attraverso La 7) e Sky per contendere il primato alla corazzata berlusconiana.
Dulcis in fundo (si fa per dire) le competenze di vigilanza sui servizi postali, compresa la corazzata Poste Italiane, passate in carico all’Agcom dal 1 gennaio 2012. «La nuova direzione – dicono al desolato quartier generale del centro direzionale partenopeo – appena creata e’ stata subito spostata nella sede romana». E a dirigerla e’ andato Claudio Lorenzi, molto vicino al segretario generale Agcom Roberto Viola, quest’ultimo ora in partenza per la direzione comunicazioni dell’Unione Europea.
Con quella per i servizi postali le direzioni all’Authority sono diventate cinque. Le altre quattro sono rispettivamente guidate da Vincenzo Lobianco (Reti e servizi), Laura Aria (Media), Antonio Perrucci (ai Mercati, ma e’ dato in partenza per la nuova Autorita’ per i trasporti) e Federico Flaviano (Consumatori). Cinque anche i direttori dei Servizi: Carmine Spinelli (affari generali), Fabio Tortora (servizio giuridico), Nicola Sansalone (Corecom), Giulietta Gamba (organizzazione e bilancio) e il magistrato Maria Antonietta Garzia (risorse umane).
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«Quello degli stipendi d’oro ai magistrati fuori ruolo passati all’Agcom – fanno notare negli ambienti – ha rappresentato per anni una spesa astronomica per la pubblica amministrazione, cui solo in parte ha posto rimedio, nel marzo scorso, il decreto salva-Italia di Monti». Fino a quella data, infatti, le toghe “comandate” all’Autorita’ percepivano, oltre al doppio stipendio (quello da magistrato e l’altro come membro Agcom), anche la cosiddetta “indennita’ di perequazione”, per un totale annuo che arrivava fino a 400mila euro ciascuno. Discorso valido, ovviamente, anche per l’ex presidente Calabro’, proveniente dal Tar.
Quanto alla dottoressa Garzia, dopo la permanenza in Corte d’Appello a Latina, era passata tra i fuori ruolo: prima per dirigere il gabinetto dell’ex ministro per la Gioventu’ Giorgia Meloni e poi, nel 2008, per guidare l’ufficio pareri dell’Agcom. A marzo 2012, dopo un parere pilatesco del Csm, la vecchia dirigenza Calabro’ ha nominato la Garzia alla direzione del servizio risorse umane. «Oggi pero’ – fanno notare al Centro direzionale – il comando di cinque anni sta per scadere.
Oltre alla Garzia, che dovra’ tornare nei ranghi della magistratura, per analoghe scadenze sono dati in imminente partenza anche Bruno Tagliaferri (ex di Finmeccanica, poi capo della segreteria di Adolfo Urso, sempre area An), il viceprefetto Sabrina Agresta e lo stesso Carmine Spinelli, tutti prossimi alla “scadenza” quinquennale. Resta e avanza, invece, la gia’ ricordata Giulietta Gamba, vincitrice di un recente concorso interno per entrare in ruolo su cui pendono quattro ricorsi al Tar. Nei quali si ricorda, inoltre, che l’altro concorrente si era ritirato all’ultimo momento, pur chiamandosi Andrea Patroni Griffi e pur essendo il fratello di un ministro in carica dell’esecutivo Monti. Misteri dell’Agcom.
Qualche altro ricorda che e’ stato proprio su iniziativa della dottoressa Gamba che la tesoreria dell’Autorita’ e’ stata appena spostata da Napoli a Roma ed affidata all’agenzia BNL a due passi dal quartier generale di via Isonzo, «benche’ – fa notare un funzionario, leggi alla mano – per la pubblica amministrazione sia stato istituito e reso obbligatorio fin dal 2011 il sevizio di tesoreria unica».
Restano al loro posto, infine, anche i componenti della commissione di garanzia: e’ composta da Fulvio Balsamo, Francesco Caringella e Mario Piovano, retribuiti originariamente con 25mila euro a testa ogni anno, spese a parte. Stesso discorso per il Comitato etico: circa 40 mila euro l’anno ciascuno a Riccardo Chieppa e Franco Bile, mentre ha lasciato l’incarico il magistrato Pasquale De Lise, nominato circa un mese fa al vertice della nuova Authority dei trasporti.
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Con oltre 300 persone alle sue dipendenze, senza contare la nomenklatura di vertice, l’Autorita’ non trova di meglio che elargire ogni anno grosse somme per consulenze esterne.
A parte il caso di Antonio Sassano, scorrendo l’elenco dei fortunati destinatari di questi incarichi ecco i 35mila euro ad Umberto Maiello per «consulenza ed assistenza giuridica» e gli altrettanti, stessa motivazione, a Michele Buonauro, consigliere del Tar Campania e figlio d’un ex sindaco di Nola.
30mila ciascuno a Maria Grazia Battistoni e Claudia Bello, esperte di assistenza fiscale, 24 mila a Patrizia Chiodo per assistenza al comitato NGN Italia, non determinato il compenso all’avvocato Franco Scoca per assistenza legale.
Dal bilancio di previsione 2011, che contiene ulteriori dettagli sulle parcelle pagate ai consulenti, apprendiamo che lo stesso Sassano, oltre ai 60 e passa mila euro del periodo 2011-2012, aveva ricevuto nel solo 2009 quasi 110mila euro per «pareri su modelli di evoluzione delle reti e delle tecnologie nel settore radio». Lo stesso anno tal Augusto Preta riceveva 26.400 euro per soli otto mesi di «indagine conoscitiva sui contenuti nel settore comunicazioni», piu’ altri 20.000 per la proroga di altri sei mesi della stessa indagine. Prosit.
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19 ottobre 2012
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