I MAGISTRATI? CI PENSA TELECOM!

Un Grande Fratello si aggira negli uffici Giudiziari italiani, un occhio “remoto” ma sempre acceso su indagini, procedimenti, intercettazioni, verbali resi da collaboratori di giustizia, fallimenti e tutta l’enorme massa di notizie sensibili contenute nei computer di Procure e Tribunali dell’Italia intera. Non si tratta, stavolta, di accesso clandestino ad atti riservati ma, al contrario, dell’affidamento “legale”, voluto dal Ministero della Giustizia, del controllo informatico su tutti gli uffici giudiziari della penisola ad un affidatario, un colosso tuttora sotto accusa per aver realizzato una rete illegale di spionaggio al servizio degli 007 deviati e di chi li manovrava.
Avete capito bene. Tutto vero. E cominciamo con ordine, perche’ le conseguenze del nuovo sistema di controllo sui magistrati, rimaste finora nell’ombra, stanno gia’ avendo conseguenze di incalcolabile portata ed ancor piu’ gravide di pericoli – secondo gli esperti – saranno in un futuro assai prossimo.

TELECOMe#8200;OVUNQUE
La parolina magica e’ SPC, Sistema Pubblico di Connettivita’: come un vero e proprio tessuto connettivo, infiltrato ovunque, dal 1 gennaio di quest’anno e’ andato a regime il nuovo metodo di informatizzazione degli uffici giudiziari italiani: il ministero di via Arenula affida ad un team d’imprese – in testa Telecom Italia spa – il ruolo di supercontrollore centralizzato di tutti i computer di giudici, pubblici ministeri, direzioni investigative antimafia, Procure, sezioni civili e fallimentari. Da Canicatti’ a Cernusco sul Naviglio, nessun ufficio piccolo o grande potra’ piu’ sfuggire.
Le polemiche delle scorse settimane sulle norme blocca-intercettazioni per evitare possibili fughe di notizie diventano insomma questione risibile, se confrontate agli effetti del SPC: con “fughe” architettate ad personam, possibile scomparsa di files ad alto rischio, anni e anni d’indagine che potrebbero svanire nel nulla. E vediamo perche’.
I primi a lanciare l’allarme sono stati, gia’ a fine dello scorso anno, proprio gli addetti all’informatica delle sedi giudiziarie italiane, finora per la quasi totalita’ dipendenti non del ministero della Giustizia (come a gran voce chiedono da sempre), ma delle numerose aziende private che negli ultimi 15 anni si sono aggiudicate, per ogni singolo distretto, specifiche gare d’appalto. In un documento delle rappresentanze sindacali di base e’ stato calcolato che il riassorbimento di tutto questo personale nei ranghi di Via Arenula avrebbe comportato un risparmio pari al oltre 10 milioni di euro l’anno.
«Il sistema di riassetto annunciato negli anni scorsi dal ministero – spiega un lavoratore Atu (Assistenza Tecnica Unificata), come venivano definite queste strategiche figure di angeli custodi dei magistrati – lasciava ben sperare sulla fine delle esternalizzazioni, con ricadute assai positive sulla stabilizzazione del precariato, che in queste ditte private regna sovrano e determina effetti a singhiozzo sulla copertura e l’affidabilita’ del servizio, lasciato molto spesso alla buona volonta’ dei singoli lavoratori».
Nonostante tutto, pero’, in oltre quindici anni di servizio si era determinata, soprattutto nelle Procure, un rapporto di stretta sinergia fra il singolo pubblico ministero ed il fedele collaboratore informatico, che finiva col diventare, giocoforza, anche il depositario di tutti i delicatissimi files d’indagine, compresi quelli riguardanti la criminalita’ organizzata. «Tutto cio’ – fa notare il portavoce partenopeo del comitato Atu, Alberto Candia – spiega perche’ sia scesa in campo su questa vicenda la stessa Associazione Nazionale Magistrati, preoccupata del fatto che andassero disperse competenze maturate in anni e anni di collaborazione, anche su inchieste scottanti».
E invece questo personale, con la riforma andata in vigore a gennaio, si trovera’ poco per volta quasi tutto in libera uscita: entrano nel novero degli “esuberi” – esattamente come se si trattasse di addetti alle pulizie – un migliaio di lavoratori Atu, il cui compito sara’ sostituito dal cosiddetto controllo remoto (cosi’ definito nel documento ufficiale di affidamento dell’incarico) esercitato da Telecom e dai suoi uomini. Ma c’e’ di peggio: in luogo di scomparire, le ditte private continueranno a gravare sul bilancio del ministero perche’ lavoreranno in regime di subappalto per interventi locali: non piu’, pero’, su richiesta dei distretti giudiziari, bensi’ su input del super call center targato Telecom. E con lavoratori molto spesso presi su chiamata dalle liste dei disoccupati e mandati a “ficcare il naso” nei files della magistratura.

PROCEDURAe#8200;RISTRETTA
Nel capitolato di servizio del dicembre 2007, rivolto da Telecom alle aziende private subappaltatrici, si fa innanzitutto riferimento al “Contratto Quadro SPC”, ricordando implicitamente come il Ministero della Giustizia non abbia proceduto ad una gara per l’affidamento del mastodontico Servizio di Connettivita’, ma abbia assegnato la fornitura attraverso una “gara a procedura ristretta” alla cordata capitanata dalla stessa Telecom, di cui fanno parte anche Elsag Datamat spa ed Engineering spa. 12 milioni e passa di euro all’anno: e’ la somma che il Ministero paghera’ a Telecom e C. per questo servizio, a partire dal 2008. Maggio 2009 e’ invece il termine previsto per la messa a regime dell’intero sistema, data che segna, per la maggior parte dei lavoratori Atu, il definitivo licenziamento. Tutti a casa. «Cosa succedera’ – si chiedono in ambienti della magistratura – con i milioni di dati sensibili posti per anni nelle mani di queste figure professionali? Siamo proprio certi che sapranno resistere a inevitabili pressioni per entrarne in possesso?».
Intanto, su come stia andando questa prima fase di centralizzazione spinta, la dice lunga la lettera di segnalazione e protesta inviata da un pubblico ministero al presidente del tribunale di Napoli Carlo Alemi. Uno scenario non dissimile da quello che vediamo spesso su Striscia la Notizia: un numero telefonico che non risponde, attese su un altro call center per reperire qualcuno che comprendesse di che cosa si parla, richieste di dati personali al pm ripetute piu’ volte ed in giorni successivi, fino a trovare, dopo due giorni di attesa estenuante, la persona giusta per attivare il servizio. Solo che l’utente in questione non e’ su Scherzi a Parte: e’ un magistrato che esegue indagini e chiede quella stessa assistenza tecnico-informatica fino allo scorso anno abitualmente assicurata. «Per farla breve – conclude la sconsolata missiva – va detto che numerosi colleghi sono ancora alle prese con ripetute telefonate al “famigerato” call center e con appuntamenti non sempre rispettati, il tutto nell’intervallo tra la celebrazione di un processo e l’altro».

SERVIZIe#8200;PERe#8200;VIP
Per sua sfortuna non rientra, quel pubblico ministero, nella rosa dei Vip ai quali Telecom riservera’, nell’ambito del contratto col Ministero della Giustizia, servizi del tutto particolari. Al punto 7 del Piano dei Fabbisogni i funzionari di Via Arenula precisano infatti che «per Servizio Vip si intende un servizio di particolare attenzione e disponibilita’ erogato a persone ben identificate». Non a caso, viene poi sottolineato che il servizio «sara’ erogato, in questo caso, da un pool di risorse stabili, cioe’ tendenzialmente sempre le stesse persone». Una tutela, insomma, indispensabile, ma che non spetta a tutti gli altri magistrati. Per il solo 2008, con 30 sedi presidiate relative a circa 2.600 Vip (su 8.886 magistrati in servizio), il ministero paghera’ alla cordata targata Telecom quasi 2 milioni di euro. Massima, in questi casi, la reperibilita’ del personale addetto, 72 tecnici in tutto, estesa perfino alla domenica e ai giorni festivi.
Telecom, a sua volta, nel documento di dicembre 2007, specifica che l’elenco dei Vip e’ presente «in apposite liste redatte dall’Amministrazione stessa (il Ministero della Giustizia, ndr)» e che in questi casi gli interventi debbono seguire criteri «di massima urgenza». Chi saranno i superfortunati? E che fine faranno tutti gli altri? Di sicuro restano i numeri, riassunti in un’apposita tabella del Ministero: al raggruppamento capitanato da Telecom saranno pagati per questo servizio nel 2008 oltre 30 milioni di euro. Il piano, esteso fino al 2012 ed oltre, prevede un totale di oltre 107 milioni di euro per l’intera durata della fornitura.

LAVORARE?e#8200;STANCA…
Ma a chi si deve tanta geniale e costosa attivita’ che, se contribuira’ indubbiamente a colmare almeno in parte le voragini di casa Telecom, non sembra davvero che portera’ grossi benefici agli operatori della giustizia, per di piu’ con il rischio sul collo di un occhio centralizzato che in teoria potrebbe accedere in ogni momento ai risultati del loro lavoro?
Era stato l’allora ministro per l’Innovazione del governo Berlusconi Lucio Stanca che a giugno di sei anni fa lancia l’idea di realizzare il Sistema Pubblico di Connettivita’ all’interno delle amministrazioni statali. Costo previsto: fra i mille e i milleduecento milioni di euro. Primo passo: l’istituzione del Cnipa, il Centro Centro Nazionale per l’Informatica (vedi box di pagina 5) attivato presso la presidenza del Consiglio «con autonomia tecnica, funzionale, amministrativa, contabile e finanziaria e con indipendenza di giudizio», recita l’articolo 176. Un aspetto di particolare rilevanza, quando si tratta di rilasciare pareri di congruita’ tecnico-economica dei progetti.
A febbraio 2005 il Consiglio dei Ministri approva definitivamente il progetto del Sistema Pubblico di Connettivita’, nel quale rientrano le attivita’ che Telecom sta svolgendo per conto del dicastero retto oggi da Angelino Alfano. Cifra a bando di gara: 1,2 miliardi di euro per l’intero sistema in cinque anni.
Quando il bando viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Europea (a maggio 2005) si scopre che si tratta di un accordo quadro con appalto a procedura ristretta (vale a dire licitazione privata), con criterio di aggiudicazione del prezzo piu’ basso. Pochi giorni dopo il senatore di opposizione Franco Bassanini chiede in un’interrogazione a Stanca «se il Governo non ritenga opportuno sospendere il bando di gara almeno fino all’approvazione delle regole tecniche e dei regolamenti, per evitare che tali regole intervengano quando gia’ si conoscono le imprese che parteciperanno al bando».
Tra 2006 e 2007 le aggiudicazioni. Servizi per oltre 542 milioni di euro vanno al raggruppamento capitanato da Fastweb che comprende anche Wind, EDS Italia, Albacom e Telecom. La stessa Telecom si aggiudica un lotto per il Sistema Pubblico di Connettivita’ da 182 milioni di euro, quello che comprende i servizi a Tribunali e Procure. L’accordo viene sottoscritto a giugno dello scorso anno dagli allora amministratore delegato Telecom Riccardo Ruggiero e presidente del Cnipa Livio Zoffoli. L’intero progetto SPC prevedeva anche l’attivazione del famoso portale Italia.it, che dopo aver bruciato finora quasi 60 milioni di euro, e’ passato dal 1 gennaio scorso alle “cure” della stessa cordata Telecom.

WHY NOT ADDIO…
Fra le numerose imprese subappaltatrici del servizio nelle sedi giudiziarie (le vecchie Atu), un nome del tutto particolare e’ quello della CM Sistemi spa, che attualmente e’ impegnata fra l’altro nella realizzazione, insieme ad Abaco e a Sistemi Informativi, del nuovo “applicativo” nell’intero sistema giudiziario penale. CM, in qualita’ di subappaltatrice, si vale ancor oggi di numerosissimi addetti informatici operanti nei tribunali di mezza Italia. Compresa la Calabria.
Particolare non di poco conto, perche’ lo scorso anno, proprio mentre gli addetti della CM e di altre ditte si occupavano del funzionamento di server e computer in Procure e Tribunali calabresi, il pubblico ministero Luigi De Magistris nell’ambito dell’inchiesta “Why Not?” sull’intreccio fra massoneria deviata, politica e affari, si era imbattuto proprio in un personaggio di punta della stessa CM. Ecco cosa verbalizzava dinanzi a De Magistris la teste chiave Caterina Merante: «Why not (l’agenzia di lavoro interinale messa su dal faccendiere Antonio Saladino, al centro delle indagini, ndr) entra nel progetto Clic in quanto, all’epoca, avevamo ancora un rapporto di sudditanza nei confronti di Saladino. La Why not serviva al Saladino per avere una societa’ di sua diretta promanazione nel consorzio. Posso dire che il Consorzio Clic, attraverso in particolare il legame tra la Bruno Bossio (Enza Bruno Bossio, moglie del consigliere regionale Ds Nicola Adamo, nonche’ amministratore delegato di CM Sud e vicedirettore generale della CM Sistemi spa, ndr) e Pietro Macri’ (di Met Sviluppo), riesce ad ottenere 3.600.000 euro. (…) . I soldi dati al Consorzio Clic finiscono, poi, in Tesi. Posso dire che il Consorzio Clic e’ stato, alla fine dei conti, inefficace, in quanto nulla e’ stato realizzato… L’affare doveva essere questo: si trattava di canalizzare le somme, assai ingenti, provenienti dall’unione europea, nel settore dell’informatica. La societa’ che doveva essere favorita era Tesi, azienda di interesse della Bruno Bossio e di Adamo». Nel mandato di perquisizione firmato da De Magistris a carico dei coniugi Adamo si fa riferimento non solo alla CM Sistemi, ma anche alla Finsiel, societa’ fino a qualche tempo fa appartenente al gruppo Telecom e in cui la Bruno Bossio aveva svolto lavoro come dipendente.
«Tutto questo – spiegano alcuni lavoratori ex Atu in lotta per mantenere il posto – rende il quadro di quanto sia stata delicata, anche col vecchio sistema, la collaborazione con le Procure sui dati sensibili. Oggi, con il controllo centralizzato affidato a Telecom, si aggiungono le incognite derivanti da possibile accesso “remoto” nei files dei magistrati. Cosa succederebbe, per restare all’esempio De Magistris, se un pm si trovasse a dover indagare su un guardasigilli in carica?…».

IMPLACABILE DUKE
Millecentosettanta euro mensili. E’ la busta paga operaio italiano che – come dettaglia il Rapporto sui diritti globali 2008 elaborato dall’Ires-Cgil – guadagna circa la meta’ di un suo collega tedesco o inglese, mentre i francesi hanno una retribuzione superiore del 25 per cento. Sui 30 Paesi dell’Ocse l’Italia scende, per retribuzioni, al 23esimo posto, rispetto al 19esimo occupato quattro anni fa. E tutto questo proprio mentre conquistiamo il poco invidiabile palmares di stato sprecone quando si tratta di coprire d’oro i top manager dei colossi statali o finanziati dallo stato, che viaggiano su una media di oltre 6 milioni di euro l’anno: vale a dire quasi 400 volte la paga di un impiegato medio.
Non ci resta che piangere? Niente affatto. Qualcuno, seriamente inkazzato, prova di notte, dopo le fatidiche otto ore di lavoro, a mettere insieme tutte le piu’ vistose anomalie del sistema, vip per vip, con tanto di miliardi al vento, parentele illustri e corsie preferenziali costellate di banconote.
Lo fanno, tanto per cominciare, i lavoratori di casa Telecom, resi ancor piu’ furibondi dall’annuncio, pochi mesi fa, dei «cinquemila esuberi in due anni» dato dall’AD Franco Bernabe’, da sette mesi sulla poltrona che fu del “leggendario” Riccardo Ruggiero.
E’ cosi’ che nasce Duke, implacabile dispaccio bisettimanale scritto col rigore del giornalismo d’inchiesta e tracimante di rabbia fino all’ultima nequizia fra le tante riportate. Spedito in migliaia di copie sotto forma di graffiante newsletter, lanciato al grido di “Kasta delenda est”, a poche settimane dalla prima sortita Duke si presenta cosi’: «Si e’ detto di tutto: “lotta di potere interno, gruppo che fa capo a Ruggiero, iniziative nate in ambito Rete, gruppo che vuole destabilizzare Bernabe’, ecc.”. Ci duole deludere, ma non si tratta di nulla di tutto cio’. E’ “soltanto” la voce di normali “lavoratori”. Anche se il termine ormai e’ desueto, caduto fuori moda, i “lavoratori” esistono ancora e, al di la’ della scarsa rilevanza mediatica e finanziaria, vivono anonimamente i drammi che volano sopra le loro teste spesso causati da incapacita’ “magnageriali”».
Magagne e magna magna Duke non si limita a raccontarli: preferisce farceli vedere, allegando ad ogni dispaccio una serie di documenti che, messi uno dopo l’altro, delineano i contorni di un realiy impressionante e, soprattutto, tragicamente vero.
Tirate giu’ due somme, ecco la prima tabella con le retribuzioni dei “grandi della Terra” messe a confronto: 7 milioni di euro nel 2007 all’AD Riccardo Ruggiero, contro i 296.192 di tal Mr. George Bush, i 276.588 della signora Angela Merkel e i 132.000 del “povero” monsieur Nicolas Sarkozy. In particolare, l’emolumento percepito da Ruggiero risulta 389 volte superiore alla paga di un addetto al call center. Sara’ per questo che nel 2006 il giovane rampollo di origini napoletane (e’ figlio dell’ex ministro degli Esteri Renato Ruggiero) fu beccato dalla stradale a bordo di una (anzi, di “un”, come dicono loro) Porsche Carrera alla stratosferica velocita’ di 311 chilometri l’ora. «Stavo provando la macchina», aveva tentato di giustificarsi.
Una “botta di vita” che gli costo’ una multa salatissima, ma che importa? Il “corridore” uscira’ da casa Telecom con una liquidazione da 17,2 milioni di euro, che sommati ai 12 milioni della buonuscita di Carlo Buora, ex presidente Telecom dimessosi ad aprile 2007, fanno 29 milioni di euro, pari all’importo che servirebbe per dare lavoro a 3.000 persone.

LAe#8200;RUGGIERO STIRPE
Folta la pattuglia, nelle speciali hit dei privilegiati pubblicate da Duke, dei Ruggiero Boys. Una menzione particolare spetta naturalmente a lei, la signora Alessandra Proto, che dell’indomito porschista risulta essere, all’anagrafe, la dolce meta’. 103.620 euro il suo emolumento in Telecom per l’anno 2005. Crotonese di nascita, un passato lavorativo presso la societa’ d’informatica Matrix (che realizza fra l’altro i siti web di Alice.it), dopo l’incontro fatale con Ruggiero entra fra i dirigenti Telecom. Oggi, mentre il marito e’ passato ad occuparsi di Permira, la multinazionale del private equity, la Proto si dedica al portale tv Rosso Alice, nato in partnership con La7 e recentemente convertito nella piattaforma Yalp, sempre di casa Alice-Telecom.
Fedelissimi di Ruggiero sarebbero poi altri manager come Luca Luciani («il quale guadagna 48 volte quanto l’addetto all’unita’ produttiva» ed al quale Duke dedica una irresistibile sequenza di filmati su Youtube), Salvatore Mizzi, uomo chiave delle consulenze Telecom, e soprattutto Pietro Labriola (619.000 euro di retribuzione nel 2005), che sarebbe «fra gli artefici del colossale flop chiamato videotelefono: vaporizzati 500 milioni di euro».
Un caso a parte e’ poi quello di Alessandro Talotta, 760 mila euro l’anno (sempre stando alle ultime buste paga consultabili, quelle di tre anni fa), responsabile di Regulatory Affairs, finito lo scorso anno sotto accusa insieme ad altri due funzionari Telecom (Walter Felice Ibba e Riccardo Dalleani) e all’esponente Tim Lorenzo Ferrante, con l’accusa di aver erogato crediti telefonici per conto di Telecom e Tim ad alcune societa’ (la Tc spa, gia’ Teleque Communications spa e la Carteque Italia) insolventi, contribuendo a causarne il fallimento e arrecando alle proprie aziende un ammanco di circa 76 milioni. In particolare, i tre vertici Telecom «aggravavano – era scritto nel decreto di chiusura indagini – lo stato di dissesto della fallita (Tc Spa) facendo lievitare il credito vantato da Telecom Italia fino alla cifra di oltre 70 milioni, pur avendo quella societa’ manifestato gia’ dall’ottobre 2001 evidenti difficolta’ nel pagamento di quanto gia’ fatturato da Telecom».
«In sintesi, alcuni avvocati costruivano sentenze e transazioni false a danno di Telecom e la societa’ – tuonano a Duke – pagava. Domanda: com’e’ possibile che un dipendente riesca a movimentare 10 milioni di euro e tutti i fior di dirigenti messi li’ a controllare non se ne accorgono?».
Ad accendere la loro ira ecco li’, linkata in pagina, la videointervista rilasciata al Tg1 da Franco Bernabe’ all’indomani del suo insediamento: «il criterio che seguiremo in azienda? Uno solo, il merito». Poi, poche settimane dopo, l’annuncio dei 5.000 tagli. Non, naturalmente, a carico dei dirigenti responsabili dei colossali buchi di bilancio, ma nei ranghi dei lavoratori da mille euro al mese o giu’ di li’.
«Dal 1998 ad oggi – scrive su Repubblica Giovanni Pons – la Telecom si e’ impoverita di circa 60 miliardi di euro, a causa di lauti dividendi pagati agli azionisti, maggior indebitamento dovuto alla scalata del 1999 e per le aziende vendute dal 2001 in poi a prezzi in seguito rivelatisi troppo bassi. Le 70 cosiddette risorse strategiche costano circa 40 milioni all’anno. Con numeri cosi’ eclatanti l’unica soluzione che ha trovato Barnabe’ per risollevare l’azienda e’ quella di tagliare il personale di 5mila unita’, cioe’ la parte debole della catena. E’ questo il prezzo – conclude – da pagare per il gentlemen’s agreement tra Bazoli e Geronzi volto a non gettar fango sulla gestione precedente, quella di Tronchetti Provera».
Un “prezzo” ancor piu’ duro da mandar giu’ se ci vengono sbattute sotto gli occhi – come fa Duke – le cifre del cosiddetto MBO (Middle Management), una torta da 40 milioni di euro che «nelle aziende competitive sul mercato e’ la parte variabile di retribuzione correlata al raggiungimento dei risultati aziendali. In Telecom storicamente piu’ che un sistema orientato a premiare le performance e i migliori, sembra un sistema per gratificare “gli amici”, alla faccia del libero mercato e del merito».
La dice lunga, su tutto il meccanismo premiale, l’ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso, la liquidazione “con paracadute” dell’ex direttore di Telecom Italia Media Alessandro Campo Dell’Orto: 5 milioni di euro nel caso in cui il controllo di Telecom fosse passato ad altra societa’. Si e’ salvato, il colosso delle Tlc, per il fatto che Olimpia detiene ancora quote dopo tutti i passaggi di mano. Ma a Campo Dell’Orto e’ stato assicurato comunque un posto d’onore nella nomenklatura di MTV, la tv di area Marco Tronchetti Provera.


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