GIALLO MORO / COMMISSIONE FIORONI, IN ARRIVO IL BOTTO? PER  ORA TRIC TRAC 

Commissione Moro, c’è chi parla di clamorose novità in arrivo. Di nuovi, incredibili scenari che si aprono. Speriamo. Per ora, comunque, siamo solo ai primi tric trac.

Costituita circa un anno e mezzo fa, presieduta dal Dc poi Margherita quindi Pd Beppe Fioroni, la commissione d’inchiesta è nata sotto i peggiori auspici, circondata dalla diffidenza che può suscitare l’ennesima finzione parlamentare come regolarmente dimostrato da tutte le commissioni che l’hanno preceduta negli anni, in grado di partorire neanche topolini all’esito finale, nel migliore dei casi qualche significativa “relazione di minoranza”, come ad esempio dimostrò quella sull’Alta velocità, dove Ferdinando Imposimato, allora senatore del Pds, riuscì a dimostrare quello che solo più tardi sarebbe stato, e solo parzialmente, dimostrato a livello giudiziario con il maxi business targato Tav.

Beppe Fioroni

Beppe Fioroni

Scrive a fine dicembre 2016 su Panorama Giorgio Sturlese Tosi, il segugio di Quinta Colonna sempre a caccia di desaparecidos tra le nebbie padane: “La seconda relazione smonta tutte le precedenti certezze su rapimento e uccisione dello statista Dc. Dimenticate tutto quello che cinque processi ci hanno raccontato sulla strage di via Fani. La relazione smonta ogni certezza, restituisce dignità alle più inverosimili tesi complottiste e annuncia per l’anno prossimo sviluppi clamorosi”. Speriamo di nuovo. Soprattutto nel materiale oggi ‘secretato’, quindi non contenuto nella prima e nemmeno nella seconda relazione.

Restiamo, perciò, dentro i confini ‘ufficiali’. L’ultima scoperta sotto l’albero 2016 è vecchia di quasi quarant’anni. Il primo covo dei brigatisti per nascondere Aldo Moro si sarebbe trovato alla Balduina, in via Massimi, a pochi minuti da via Fani, il luogo dell’eccidio. Lì si trovava una palazzina borghese, dove erano ubicate alcune società estere ed era frequentata da una variegata fauna composta, tra gli altri, da prelati & aspiranti terroristi. Ma a destare curiosità è soprattutto la proprietà: nel 1978, quando venne ucciso lo statista Dc, era di proprietà dello IOR, la potente banca vaticana.

Peccato che tali circostanze siano state documentate in un lungo articolo uscito sulla rivista americana Penthouse (sì, il più celebre porno magazine dopo Playboy) a novembre ’78 e intitolato Cristo nella plastica, autore l’italoamericano Pietro Di Donato, celebre, negli anni Trenta, per un libro che fece epoca, Cristo fra i muratori, potente j’accuse sulle condizioni sociali ed economiche dei lavoratori impegnati nei cantieri Usa, soprattutto gli emigrati (in buona parte italiani).

Un mese dopo, dicembre 1978, Claudio Sabelli Fioretti intervistò per Panorama l’autore di quello ‘scoop’, Di Donato, che riferì del lungo racconto che gli era stato fatto da un misterioso Zucor, con ogni probabilità un brigatista della colonna romana che rapì Moro. Il quale gli parlò di “un garage sotterraneo di un grosso complesso residenziale della Balduina, dieci minuti da via Fani”. “La vera prigione di Moro – scriveva Sabelli Fioretti – era già pronta da un anno. Un ripostiglio isolato acusticamente al quale si accedeva da un finto muro. Il racconto che Zucor fa a Di Donato è lungo e dettagliato: incluse anche le visite fatte a Moro dal medico, il suo stato di salute, non buono per via del rene sinistro, i racconti fatti dal presidente della Dc sulla sua villa a Torrita Tiberina, i suoi passatempi durante la prigionia”.

Del resto, anche in un’indagine effettuata dalla guardia di finanza a poche settimane dal rapimento veniva sottolineata la circostanza di una sede “extraterritoriale”, con evidente riferimento alla palazzina di proprietà dello Ior a poca distanza da via Fani e servita come prigione per Moro.

C’è quindi la questione delle auto utilizzate per il rapimento e poi abbandonate. Gli interrogativi sorgono sia sul ‘prima’ che sul ‘dopo’. Già nella prima relazione la questione ‘auto’ veniva affrontata con particolare cura, scoprendo qualche particolare inedito soprattutto a proposito dell’Alfa color beige e della sua localizzazione prima del rapimento. Adesso si parla di “un garage in via Licinio Calvo”, e poi di un graduale abbandono delle vetture: non in un’unica soluzione, invece man mano fatte uscire dallo stesso garage e abbandonate per strada, il tutto nell’arco di 48 ore.

Ancora. Nella fresca relazione della commissione targata Fioroni si parla del bar dei misteri, il bar Olivetti, a pochi metri da via Fani e quindi dal luogo dell’agguato. Quel tragico giorno era chiuso. Ora viene fuori (è questa la vera novità sulle non-indagini di allora per il caso Moro) che era di proprietà di un certo Tullio Olivetti, un nome conosciuto alla polizia dell’epoca, perchè al centro di traffici d’armi con il Medio Oriente e con la ‘ndrangheta. La mano delle ‘ndrine nell’eccidio, comunque, faceva già capolino nella prima relazione della commissione Fiorini, soprattutto sul versante della fornitura delle armi utilizzate. Non proprio una novità, visto che era ben noti, anche negli anni ’80, i rapporti tra la camorra cutoliana e alcuni ‘ndranghetisti di peso.

Così commenta oggi uno dei componenti della commissione, Gero Grassi: “in via Fani ci sono state anche le Brigate rosse”. Anche.

Mentre è ormai “storicamente” assodato (Paolo Mieli, ipernegazionista, permettendo) che la regia della “non liberazione” era ben altra, perfettamente eterodiretta, via Servizi di casa nostra ed a stelle e strisce. Come ha ammesso dopo trent’anni l’ex vertice della Cia Steve Pieczenick, inviato speciale dagli Usa per dirigere il “comitato di crisi” creato dall’allora ministro degli Interni Francesco Cossiga e composto da 11 piduisti su 12. Perchè “Moro doveva morire”…


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