Ha fatto il giro del mondo il suo primo SI, tra i vip italiani all’estero, immortalato via Instagram. E qualche settimana prima era diventato la star di Michele Santoro, che nella prima puntata del già memorabile Italia (prossima il 15 dicembre), gli ha chiesto di illustrare al popolo bue come va il mondo e dare una sbirciatina a usi e costumi del Belpaese. Il nuovo Eroe, il Mito dei miti, il Super Self Made Man è ovviamente Flavio Briatore, che passa con disinvoltura – per portare il suo Verbo – da greggi e pastori sardi a saloni per super vip & modelle mozzafiato dei suoi gioielli, Billionaire e Twiga. Intanto esce in modo pressoché clandestino un libro, L’Affaire Briatore, che ne racconta di tutti i colori sulla vita tumultuosa e soprattutto sulle tante relazioni più che pericolose.
La sceneggiata del SI ha fatto incavolare non pochi che in quella antica ma sempregiovane Costituzione continuano a credere. “Un voto palesemente irregolare – fanno rilevare alcuni giuristi – ed è gravissimo che per televisione sia stata in qualche modo esibita l’illegalità. L’ostensione spavalda del proprio voto è un insulto a quella Costituzione che vogliono fare e pezzi”.
Ma chissenefrega. Il Tribula – uno dei suoi soprannomi – tira dritto, gonfia il petto e prende il posto, anche in vista del Natale, di Alberoni. Tanto che un Santoro formato scendiletto gli fa narrare e interpretare la sua “Italia”, in tandem perfetto con Selvaggia Lucarelli, oggi penna di punta ed editorialista per il Fatto di Marco Travaglio.
Ma era già la terza apparizione per le antenne di Michele, che lo aveva ospitato nel 2012 e nel 2014 sotto i vessilli di Servizio Pubblico. Quattro anni fa, però, osa punzecchiarlo Luisella Costamagna (che tre mesi dopo lascia la trasmissione), una ‘maestrina’ così redarguita dal suo capo: “Possiamo andare avanti o dobbiamo fare il processo tutta la sera?”. Sarà poi il vignettista Vauro Senesi, nel 2014, a tentare una frecciatina: “Ma lei che ne sa di chi non arriva a fine mese?”. E il Tribula liquida la faccenda: “Lei non sa chi sono io! Mia mamma e mio papà erano insegnanti elementari. A differenza sua io creo posti di lavoro”.
Ogni tanto scende da cieli e paradisi (fiscali) per approdare sulle nostre terre. Ad esempio quelle sarde, appena toccate dal suo piede fatato. Succede il 2 dicembre, quando l’ex team manager della Benetton “è a Bitti – raccontano le cronache isolane – per incontrare i pastori del centro nord Sardegna, con i quali ha instaurato un rapporto che va ben aldilà dei semplici contatti di amicizia e stima” (letterale). Il ‘pastore di Cuneo’ – così lo coloriscono i reportage – fa tappa all’hotel Su Lithu, “immerso nel fitto bosco-pineta che sovrasta il paese” e vi arriva “con i consulenti di Oscar Farinetti, fondatore della Eataly, per incontrare “i pastori provenienti dalle aree Barbagia, Goceano, Baronia e Gallura”. Gesù c’è, mancano solo i re magi.
AMICI MIEI, TUTTI A BORDO
Ma eccoci nell’incanto di Otranto, la perla salentina scelta dal Tribula per incastonare la sua nuova gemma, il Twiga Beach Club, inaugurazione prevista per l’estate 2017. Una escalation mirabolante, quella griffata Twiga: dopo Marina di Pietrasanta in Versilia, Montecarlo e Dubai, è stata Londra, lo scorso autunno, a spalancargli porte e portoni. Poi sarà la volta, appunto, della già mitica ‘località Cerra’, a un tiro di schioppo da Otranto, “una zona di scogliera mista a sabbia, molto vicina alla Grotta Monaca”.
E’ in compagnia di alcuni imprenditori locali già impegnati nel ramo turistico, l’irrefrenabile cuneese. Spiccano i nomi di Luigi De Santis e Vincenzo Pozzi. Il primo è il rampollo di Roberto De Santis, professione assicuratore per le Generali e grande amico di Massimo D’Alema, con il quale condivise il sogno di Ikarus, il celebre yacht che tanto a inizio 2000 fece parlare di sé. Il secondo ha ricoperto la carica di presidente dell’Anas per tre anni e mezzo, uscendone con una liquidazione da 1 milione e mezzo: calda calda per un proficuo investimento nel Twiga Beach. “Sarà
fantastico – commenta un tour operator – esclusivamente per super vip, capace di fornire una accoglienza di altissimo livello alla clientela che si rivolge al settore del lusso”. Stabilimento balneare con 150 gazebo, ristorante con alta cucina italiana e giapponese, band di Umberto Smaila per allietare le serate danzanti, la nuova creatura di Super Flavio “sarà il flagship product, l’eccellenza delle eccellenze per l’ospitalità salentina”, un dream che sta per trasformarsi in sonante realtà.
Ma chi gestisce questo impero tutto lusso, star & e money? Per districarci nelle giungle societarie battenti le più svariate bandiere, leggiamo alcuni passaggi salienti dell’Affaire Briatore, firmato da Andrea Sceresimi e Maria Elena Scandaliato. Ma occorre fare una premessa. I due giornalisti, con Nicola Palma, hanno già scritto, sei anni fa, una prima versione, Il signor Billionaire, edita da Aliberti. Che ebbe una vita particolare: andò esaurita in poche ore. “Quando uscì in libreria ci fu una piccola sorpresa – scrivono in prefazione i due autori – diventò impossibile trovarlo”. A quanto pare ci fu un unico acquirente, un ‘figlioccio’ di mister Flavio, intenzionato a far omaggio di una copia del volume a tutti gli ospiti di una festa in onore del suo ‘padrino’. Ora l’editore è Melampo e le copie sono, anche stavolta, praticamente introvabili, semi clandestine (come pure i riferimenti telefonici e mail di Melampo risultano eclissati). Misteri. Ma torniamo alle pagine del libro e agli intrecci societari griffati Briatore.
UN ARCIPELAGO DI SOCIETA’
“Nonostante il Billionaire e il Twiga si trovino in Italia, il grande manager ha gestito le sue quote (di maggioranza in entrambi i casi) attraverso la Laridel Partecipations, holding di diritto belga fino al 2006 e poi, probabilmente per ragioni fiscali, rimpiazzata dalla sua omonima lussemburghese, denominata fino al 2004 Ambisoll. Anche il marchio Billionaire Couture, che pure vantava ben due punti vendita a Londra, di cui uno da Harrods (a oggi il solo riaperto nella capitale inglese), è stato amministrato dal 2005 al 2008 attraverso la società anonima Billionaire, con sede in Lussemburgo. Tutte queste sigle sono state gestite per anni dalla signora Maria Pia Fusco Arizzi, consulente italo-svizzera residente a Lugano e persona di fiducia negli affari fiscali. E’ stata lei a occuparsi dell’altra Billionaire Couture International, con sede a Hong Kong. Sempre a lei ha fatto capo anche Belegginsmaatschappij Hawol, trust di diritto olandese che, in momenti non proprio felici per la Pierrel, ne ha controllato il 48,3 per cento; quota dalla quale Briatore è progressivamente sceso fino a uscire del tutto dal gruppo. Ed è proprio la FB Trust, sigla di diritto cipriota con sede a Ginevra, a reggere la ragnatela di società con cui Briatore ha controllato i suoi affari, dalle Isole Vergini all’Olanda, fino a Hong Kong, Lussemburgo e Svizzera”.
E ancora: “Pochi mesi prima del tonfo al Gran premio di Singapore (dove correva la Benetton, ndr), nel cda della Laridel si svolge un interessante avvicendamento, concluso nel marzo 2008: Tom Donovan, professionista irlandese che da anni cura parte delle sue attività all’estero, viene sostituito dal connazionale Damian Calderbank (residente, però, a Dubai); e, soprattutto, la fidatissima Arizzi viene rimpiazzata dall’avvocato ginevrino Dominique Warluzel, socio del celebre studio Bonnant-Warluzel, fucina di principi del foro degni di clienti come il venerabile Licio Gelli, il nobile Vittorio Emanuele di Savoia o l’abile finanziere Florio Fiorini, giusto per restare nei confini italiani”.
Proseguiamo nei funambolici giri societari, ricostruiti nel giallo-Briatore: “Il valzer delle sedi
e delle denominazioni societarie non sembra avere fine. Stando ai documenti più aggiornati (e depositati nel novembre 2015), il 90 per cento di Billionaire srl è oggi in mano alla Billionaire Lifestyle sarl ovvero: non alla PTE Ltd che l’aveva acquistata due anni prima, ma a una società omonima con sede in Lussemburgo, in Route d’Esch. (…) Discorso analogo per Twiga, l’altro ‘divertimento’ del manager piemontese: nato nel 2001 con un capitale sociale di 50 mila euro, il club di Marina di Pietrasanta è gestito dalla Mammamia srl, società che all’inizio era controllata al 50 per cento dalla solita Laridel Partecipations (di Briatore), al 30 per cento da Paolo Brosio – di notte azionista del Twiga e di giorno autore del libro A un passo dal baratro. Come Medjugorje mi ha salvato la vita -, al 10 per cento da Marcello Lippi e al rimanente 10 per cento dalla Dani Comunicazione (di Daniela Santanchè). Anche qui, l’elenco dei soci risulta stravolto: a oggi, l’80 per cento della srl è controllato dalla lussemburghese Billionaire Lifestyle sarl, un 10 per cento dalla Dani Comunicazione e il restante 10 per cento da Giuseppe Blegnino, il ‘Peppo’ che amministra anche il Billionaire”.
CHE BEL CASINO’
Dai cappucci piduisti alle coppole mafiose il passo non è poi così lungo. Ed eccoci alle relazioni pericolose, alle tante amicizie border line e forse qualcosina di più coltivate dal Tribula. Continuiamo seguendo i fili della ricostruzione di Scandaliato e Sceresini.
Partiamo dal personaggio che ha avrebbe fatto da apripista per il rampante Flavio nel mondo del gioco. “Franco Bonaccorso, catanese che vive a Moncalieri, lavora come agente di cambio a Torino. Secondo quanto rivelato da una fonte, sarebbe Bonaccorso a introdurre Briatore nel gioco dell’azzardo, dei casinò e dei viaggi all’estero in compagnia di ricchi giocatori; sarebbe lui ad aprirgli le porte della lucrosa (e piacevole) attività di porteur, che svolgerà dalla metà degli anni ’70 fino ai primi anni ’80. E sempre lui, Bonaccorso, a indicargli le mani da stringere per lavorare con profitto nelle più prestigiose case da gioco, dalla Costa Azzurra ai Caraibi”.
Altra pedina strategica nel decollo di mister Billionaire Achille Dutto, l’industrialotto che fa crescere Flavio sotto la sua ala protettiva e alla fine salterà per aria in circostanze mai chiarite, una bomba piazzata nell’auto di chiaro odore mafioso (la Voce ne ha scritto nell’inchiesta dedicata al giallo-Caccia e al business dei Casinò, giganteschi imbuti per i maxi riciclaggi).
Poi un terzo nome, quello dell’industriale palermitano Michele Merlo, attorno al quale “si muoverebbero uomini impegnati da anni nella gestione e nel controllo delle case d’azzardo, non solo in Italia ma anche in Costa Azzurra, nei Caraibi e negli Stati Uniti. Si tratta di Ilario Legnaro – sorpreso, la notte di San Martino, in casa propria in compagnia di Marcello Dell’Utri – e Gaetano Corallo. Secondo i magistrati, le storie di Legnaro e Corallo si incrociano con quella di Benedetto Santapaola, il catanese legato ai Corleonesi, accusato del delitto del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e responsabile dell’omicidio del giornalista Giuseppe Fava. (…) Legnaro e Corallo sono gli scalatori ‘occulti’ del casinò di Campione; la loro ombra si allunga dietro la gestione di Saint Vincent (su cui indagava a fondo il procuratore capo di Torino Bruno Caccia ucciso 33 anni fa, ndr), e sotto la SIT di Merlo, che alla fine si aggiudica l’affidamento della casa da gioco sanremese”.
Sceresini e Scandaliato intervistano telefonicamente Jean Charles Le Roux, figlio dell’ex proprietaria del casinò Palais de la Mediterranee a Nizza, Renee Le Roux. Ecco cosa dichiara: “Ricordiamo bene Ilario Legnaro. E Briatore lavorava con loro, insieme ad altri. Come possiamo dimenticarli? Erano in combutta con Fratoni e hanno fatto tutti il suo gioco contro di noi”.
Fedina penale lunga mezzo chilometro, Jean Dominique Fratonì ha lavorato sia per la mafia corsa che per il clan dei Marsigliesi, senza far mancare il suo appoggio ai picciotti di Santapaola: un bel tris.
Continua il reportage: “Briatore era uno stretto collaboratore di Legnaro e Corallo. Almeno lo era nella seconda metà degli anni ’70. Lo stesso periodo in cui i due soci, mai condannati per mafia, si sono fatti fotografare sotto il sole di Saint Martin in compagnia di Nitto Santapaola, ospite dell’amico Rosario Spadaro che nelle Antille olandesi stava realizzando un piccolo impero del gioco”.
PIDUISTI & MAFIOSI
Di nuovo a proposito del casinò di Nizza (dove è acquartierata anche un’altra celebre casa da gioco, Rhul, in cui Roberto Calvi, il banchiere ‘suicidato’ sotto il ponte dei frati neri a Londra, fu costretto a investire una fortuna dallo stesso Licio Gelli), così viene descritto: “Briatore e Bonaccorso hanno avuto un ruolo nell’affaire Le Roux, e lo confermano anche le carte dell’inchiesta su Dutto (l’inchiesta milanese conclusasi comunque in un flop, ndr). Ciò che colpisce è il nome di ‘Dickman Giorgio‘, con cui Briatore e Dutto si intrattenevano ‘per avere consigli’. Dickman, infatti, era l’amministratore del casinò Sun Beach Club di Mentone, proprietà di Fratoni e, soprattutto, era inserito nel giro di Cesare Valsania, braccio destro dello stesso Fratoni (tanto da possedere una consistente quota del Ruhl) e implicato nelle indagini d’Oltralpe sul denaro sporco immesso dagli italiens nei casinò della Costa Azzurra”.
Ma chi era Valsania? “Ex maresciallo dell’Aeronautica italiana, nativo di Castiglion Fibocchi, uomo considerato vicino a Gelli, era implicato nel riciclaggio del denaro macchiato dai sequestri di persona, che in quel periodo erano un’entrata cospicua per la criminalità organizzata. Gli inquirenti francesi, sulla scia del principio ‘follow the money’, avevano stabilito una pista che portava dalla Sicilia alla Calabria, passando per le case da gioco italiane, fino ai tavoli verdi della Costa Azzurra. Francesco Russello, calabrese che nel ’75 era stato arrestato per il possesso di 80 milioni dei sequestri Mazzotti e Malabarba, aveva le chiavi della cassaforte (vuota) e dell’appartamento di Valsania (che nel frattempo lavora al Ruhl, ndr) a Nizza; lo stesso Dickman verrà citato dalla stampa perchè in contatto con Giuliano Angelini, uno dei carcerieri di Cristina Mazzotti”.
Acqua passata.
E acqua passata le condanne, vere bazzecole, autentiche pinzellacchere per uno che moltiplica i posti di lavoro come solo un altro appena più in su era in grado di moltiplicare pani e pesci. Ad esempio quella a 11 mesi per gioco d’azzardo e truffa (nella stessa inchiesta venne coinvolto anche Emilio Fede). Oppure l’altra, a 1 anno e 11 mesi per la proprietà (mai dichiarata) del 40 metri Force Blu, intestato all’ennesima sigla del vasto arcipelago, la Autumn Sailing Ltd.
Chissenefrega. Ora può salire a bordo dell’Italia con il comandante Santoro. Il Tribula e il Che de noantri. Uniti per il SI.
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