Delitto Caccia, il procuratore capo di Torino ucciso 33 anni fa e ancora oggi senza giustizia. Una memoria oltraggiata dal colossale abbaglio di pm e capi della procura di Milano che non si erano accorti di un processo già archiviato a carico del presunto assassino, Rocco Schirripa, che quindi per miracolo ritrova la libertà. Ma ancora più offesa e calpestata da “omissioni, anomalie e inerzie” che hanno caratterizzato tutta la “non inchiesta” sul vero movente dell’assassinio di Bruno Caccia: ossia la pista delle montagne di danaro riciclato nei Casinò, e soprattutto in quello di Saint Vincent. Una storia di magistrati che hanno sacrificato la loro vita per far luce, mentre altri provvedevano a insabbiare e/o depistare. Di mafiosi & ‘ndranghetisti che in combutta con vip e colletti bianchi fin dai primi anni ’80 cominciavano a penetrare massicciamente al Nord, riciclando proventi, allora soprattutto di sequestri e traffici di droga, via bische, gioco d’azzardo e soprattutto casinò.
Ricostruiamo il puzzle e partiamo dal fresco colpo di scena. “Tutti gli atti del procedimento sono affetti da inutilizzabilità, anche ai fini dell’emissione di una misura cautelare. E’ stato un errore, un errore incredibile”. Lo ha appena ammesso il pm di Milano Marcello Tatangelo, “il magistrato che a dicembre 2015 – scrive Repubblica – insieme a Ilda Boccassini festeggiava in conferenza stampa la soluzione di un giallo durato oltre 30 anni. E che oggi, invece, è costretto a firmare di suo pugno l’esecuzione capitale dell’inchiesta. Rocco Schirripa sarà fuori dal carcere molto presto, forse già questa mattina (28 novembre, ndr)”.
Tutto da rifare. Una montagna di indagini che vengono cancellate con un ‘clic’, per una ‘sbadatezza’, per una ‘distrazione’. Niente, comunque, rispetto alle indagini non fatte, alla pervicace volontà, negli anni, di non far luce. Sottolinea Paola Caccia, figlia del giudice ammazzato: “mi sono chiesta spesso se la verità non stia fuori dal perimetro del processo che adesso rischia di saltare. E mi riferisco alla inchiesta che mio padre stata seguendo prima d’essere ammazzato, in particolare sul riciclaggio al Casinò di Saint Vincent e sui rapporti tra il Casinò e la criminalità organizzata. Nei primi tempi si indagò in quella direzione ma poi quel filone si arenò. Ci hanno detto invece che mio padre è stato ucciso dal clan dei calabresi perchè aveva tenuto in carcere per errore uno di loro”.
ATTENTI A QUEI DUE
Le speranze di resuscitare l’inchiesta – presa due volte a calci dalla “giustizia” – è ora in gran parte affidata all’attività investigativa del battagliero legale della famiglia Caccia, Fabio Repici, che il 14 novembre ha già chiesto che la procura generale di Milano subentri nella competenza, valutando finalmente una serie di elementi probatori di grosso spessore acquisiti dallo stesso Repici e fino ad oggi neanche presi in considerazione.
Ad esempio, già a luglio 2013 il legale presentava alla procura di Milano un atto di denuncia, chiedendo l’apertura di un processo penale “e l’effettuazione di varia attività d’indagine per il delitto di omicidio” a carico di Rosario Pio Cattafi, avvocato e indicato da alcuni pentiti come anello di congiunzione tra mafia, massoneria e servizi segreti; e Demetrio Latella, già fedelissimo del boss della mala Angelo Epaminonda, un tempo il re delle bische milanesi. Tutto archiviato senza che sia stata svolta alcuna attività investigativa.
Altra denuncia un anno dopo, luglio 2014, corredata da nuovi elementi: e anche stavolta niente, il silenzio più tombale della procura meneghina, dalla quale non viene partorita nemmeno la rituale iscrizione di “notizia di reato”, perchè – viene precisato dagli uffici – si tratta di un “fatto allo stato non costituente reato”. E zero indagini.
Terzo tentativo, esattamente un anno dopo, giugno 2015. La mole di elementi s’ingrossa: verrà presa in considerazione, ora, con la richiesta avanzata da Repici alla Procura generale?
ECCO LE DATE
Partiamo dalla cronologia di alcuni fatti.
- Viene ucciso il giudice istruttore di Marsiglia Pierre Michel: stava indagando sulle connection italo francesi in varie attività di riciclaggio.
Dicembre 1982. Una bomba fa esplodere l’auto del pretore Giovanni Selis nella sempre tranquilla Aosta, mai toccata da episodi di malavita: negli ultimi mesi aveva puntato i riflettori sulle sospette attività del Casinò di Saint Vincent e soprattutto sugli interessi criminali che vi ruotavano intorno.
Giugno 1983. Viene ammazzato il procuratore capo di Torino Bruno Caccia. Un mese prima aveva ordinato la perquisizione del Casinò di Saint Vincent e il sequestro di numerosi documenti, lavorando sulla pista del riciclaggio di danaro mafioso fianco a fianco con il pm Marcello Maddalena. L’inchiesta sul Casinò, per un paio d’anni molto tonica (99 i faldoni), man mano si perde per strada e finisce nel nulla.
Aprile 1987. Si toglie la vita Giovanni Selis, da poco tornato alla pretura di Aosta come dirigente. Un testimone chiave per capire il giallo Caccia viene meno. Nessuna indagine viene aperta su quel “suicidio”. Così come a un nulla di fatto aveva portato l’inchiesta della procura di Milano per scoprire i mandanti dell’esplosivo (si scoprirà solo l’origine, francese, circostanza da non poco visto il ruolo giocato dal clan dei Marsigliesi) utilizzato per l’auto di Selis. E altrettanto a niente erano servite le verbalizzazioni dello stesso Selis davanti ai pm di Milano (in prima fila Francesco Di Maggio, protagonista di non poche “anomalie”) a gennaio 1983 sull’omicidio Caccia, in cui sottolineava il forte nesso con l’attentato da lui subito e soprattutto con le inchieste sugli affari del Casinò di Saint Vincent e “la rete di usura gestita con metodi mafiosi da alcuni privilegiati cambisti del casinò”.
DALL’AUTOPARCO AI CASINO’
Il personaggio centrale nel canovaccio della nuova, auspicabile inchiesta, è Rosario Cattafi, il cui nome fa capolino in svariate storie mafiose, dalle stragi del ’92 all’autoparco di Milano. Su quest’ultima vicenda avevano indagato la stessa Boccassini e un allora sconosciuto Antonio Di Pietro (siamo nel ’90, prima dello scoppio di Tangentopoli): Cattafi viene condannato in primo grado a 7 anni, assolto in appello, la Cassazione annulla e rimanda al secondo grado, altro appello e condanna a 7 anni, ritorno in Cassazione (sesta sezione penale) e sentenza annullata senza rinvio. “Semplicemente allucinante – commenta un avvocato milanese – è fuori da ogni logica un’assoluzione decretata in quel modo e soprattutto per una materia tanto delicata come i reati di stampo mafioso. Ma così Cattafi, che ha sempre goduto di alte protezioni, la fa franca e, ad esempio, può tranquillamente incontrare Marcello Dell’Utri a Londra e coltivare fra le tante amicizie anche quella con Luigi ‘Jimmy’ Miano, molto vicino al clan Santapaola e anche lui con l’hobby delle scalate ai casinò, in particolare quello di Sanremo”.
Lo ritroviamo, Cattafi, negli affari che ruotano intorno alle case da gioco, a quella rete di “cambisti privilegiati”, tra gli habituees del Casinò Ruhl di Nizza. Un casinò davvero da novanta, visti i capitali che Roberto Calvi fu costretto a investirvi nientemeno che dal Venerabile Licio Gelli. La conferma viene direttamente da Paolo Calvi – figlio del banchiere “suicidato” sotto il ponte dei frati neri a Londra – il quale ha esibito ai pm della procura di Roma le prove dei finanziamenti effettuati dal padre a favore del Ruhl e affermato “di avere le prove documentali circa il controllo esercitato dalla loggia P2 sul casinò diretto da Jean Dominique Fratoni”. Sul giallo Calvi (uno dei tanti buchi neri di casa nostra) ha definitivamente messo la pietra tombale la stessa procura capitolina qualche settimana fa. Tanto per cambiare.
Capo della mafia corsa, legato ai marsigliesi e grande amico della famiglia sicula dei Bono, il nome di Fratoni compare tra le carte dell’inchiesta su Francesco Russello, arrestato con una refurtiva bollente: 40 milioni di lire riconducibili ad uno dei sequestri che hanno insanguinato le cronache italiane, quello di Cristina Mazzotti, poi trovata morta. Così veniva scritto nelle pagine dell’inchiesta sul Casinò di Saint Vincent: “il presidente di Getualte, la società che gestiva il casinò di Campione, tale Traversa, venne tratto in arresto nel ’77 perchè trovato in possesso di 7 banconote da cento mila lire proveniente dal riscatto pagato per la liberazione di Mario Ceschina” e più volte notato “in compagnia del cittadino francese Fratoni, sul conto del quale i carabinieri di Campione d’Italia fornivano questo poco edificante profilo: sospettato di commercio internazionale di stupefacenti e dedito al riciclaggio di denaro proveniente da sequestro di persona, in contatto con la criminalità organizzata italiana e corsa, implicato in vari fatti delittuosi gravissimi come sequestri di persona a scopo estorsivo”.
E ancora. In relazione all’attentato dinamitardo contro il giudice Selis, vennero indiziati (anche se poi tutto finì in una bolla di sapone) Bruno Masi, Franco Chamonal e Paolo Giovannini, tutti personaggi nell’orbita del Ruhl e in combutta con Fratoni.
Sul quale si accesero i riflettori a proposito di un altro attentato, quello che fece saltare per aria un imprenditore cuneese, Attilio Dutto. Molto “intimo” di Flavio Briatore, il compaesano e ricco Dutto, solito frequentare, in compagnia dell’amico Flavio, i casinò. Le biografie “non autorizzate” di mister Billionarie raccontano le prime fortune accumulate portando i ricchi al Casinò, come Dutto. E in quel caso fu un vero Bingo, perchè su quell’auto esplosa doveva salirci anche lui, se non avesse fatto un fatidico ritardo di un quarto d’ora”.
Briatore nel 1987 ha subito una condanna dal tribunale di Milano (tre anni in primo grado e 11 mesi in appello, poi confermati in Cassazione) per gioco d’azzardo e truffa.
Dettaglia Andrea Sceresini, coautore di Il signor Billionaire: “Nel giro del gioco lo introduce Ilario Legnaro che assieme al boss catanese Gaetano Corallo, vicino al clan Santapaola, gestisce alcune sale da gioco. Dutto salta in aria nel 1979, un delitto senza responsabili, e con lui scompaiono anche un sacco di soldi: 30 miliardi di vecchie lire che gli investigatori non troveranno mai più”.
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3 pensieri riguardo “DELITTO CACCIA / QUEGLI INTOCCABILI CASINO’”
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Mi chiamo Carlo non Paolo. Il resto va bene.