Prima apparizione ‘pubblica’ del superlatitante e ora collaboratore di giustizia Pasquale Scotti. L’ex braccio destro del capo della Nco Raffaele Cutolo, infatti, il 14 ottobre sarà sentito in videoconferenza come teste ad un processo di camorra.
Il processo vede alla sbarra, come imputato principale, un imprenditore nel settore (storicamente controllato dai clan) delle pompe funebri, Salvatore Esposito, considerato dagli inquirenti un referente del potente clan Moccia di Afragola, che dall’hinterland napoletano da tempo sta riciclando i suoi capitali nel Basso Lazio e anche a Roma.
Così scrive, su Esposito, il gip nell’ordinanza di custodia cautelare del 2013: “imprenditore con compiti di appoggio costante all’associazione criminale nel corso degli anni, di istigazione alla commissione di omicidi strategici per l’organizzazione, di soggetto dedito al riciclaggio e reimpiego delle utilità economiche del clan, della cui azione criminosa a sua volta beneficiava per la conquista violenta del monopolio di fatto nei vari settori economici di interesse”.
Stando alle indagini degli inquirenti e alle ricostruzioni effettuate da alcuni pentiti (tra cui anche il camorrista nero Giuseppe Misso), la contiguità di Esposito con i Moccia risale agli anni ’80: svariati immobili di proprietà Esposito sono serviti come nascondiglio per latitanti e sicari; e parecchi summit di camorra si sono tenuti all’interno di un deposito per carri funebri.
Secondo il pm della Dda di Napoli, Ida Teresi, Pasquale Scotti può fornire un contributo al processo in quanto sarebbe a conoscenza di importanti elementi in grado di dettagliare meglio la figura e le attività di Esposito e i suoi legami operativi con il clan afragolese.
Arrestato in Brasile dopo una latitanza addirittura trentennale, il braccio destro di Cutolo è stato estradato in Italia pochi mesi fa. Da allora ha cominciato a riempire pagine e pagine di verbalizzazioni. Il suo contributo (se realmente ha intenzione di vuotare il sacco) può risultare fondamentale per completare il puzzle – storicamente e politicamente chiaro e completo, ma giudiziariamente no – del giallo Cirillo, il rapimento dell’ex potente assessore della Dc rapito dalle Brigate Rosse nel 1981 e liberato dopo una lunga trattativa tra Br, Dc e Servizi segreti, la prima vera trattativa Stato-Mafia, benedetta dai plenipotenziari dello scudocrociato. Quegli stessi ras Dc per i quali, invece, solo pochi mesi prima non bisognava trattare con le Br, perchè Aldo Moro “Doveva Morire”, come hanno documentato per filo e per segno Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato. Per Cirillo, al contrario, la trattativa fu perfetta: esponenti Dc e uomini dei Servizi entravano e uscivano con gran disinvoltura dal carcere di Ascoli Piceno, dove al tempo era rinchiuso don Raffaele Cutolo, la trattativa andò avanti con gran profitto, la Dc promise i subappalti del dopo terremoto alle imprese di camorra che in quel modo trovarono il propellente ad hoc per il gran balzo.
Nessuna condanna, però, ha mai colpito alcun esponente del sempre immacolato scudocrociato: il coraggioso giudice istruttore dell’epoca, Carlo Alemi, venne praticamente delegittimato e il processo fu una autentica sceneggiata, con un pm che incredibilmente chiedeva l’assoluzione di tutti i principali imputati.
Lo stesso Alemi (ora in pensione, dopo aver ricoperto la carica di presidente del tribunale di Napoli per alcuni anni) alla notizia dell’arresto di Scotti in Brasile si è subito dichiarato preoccupato per la sua incolumità fisica: “riuscirà mai a verbalizzare sul caso Cirillo?”, si è chiesto.
Ora il braccio destro di Cutolo, delegato dal boss ai “rapporti istituzionali e con i servizi segreti”, una sorta di pierre della Nco, sta parlando. A questo punto si vedrà quale reale volontà giudiziaria e soprattutto politica esiste perchè tutto ‘ufficialmente’ venga a galla.
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