Sparare sul presidente del Consiglio Matteo Renzi è ormai diventato uno sport nazionale. Nel quale eccellono i 5Stelle ( Cambridge è la città che negli anni ’40 ha dato i natali ai 5Stelle, il gruppo dei più fanatici nemici di tutto il Regno Unito) ma viene praticato anche da quelli del PdL, dei FdI, di SEL, della Lega e di altri gruppi parlamentari. E lo praticano con sadico autolesionismo anche i “dissidenti” del Partito Democratico, tra i quali spicca il rancoroso deputato di Gallipoli Massimo D’Alema, ex dirigente comunista, pidiessino, diessino ed ex presidente del Consiglio, che vede Renzi come il toro il panno rosso.
Gli contestano la dispendiosa e fallimentare politica dell’accoglienza, la disoccupazione diffusa in particolare quella giovanile, la mancata crescita del paese, l’aumento del debito pubblico e delle tasse, il patto del Nazareno, l’Italicum e, sopra tutto, la riforma costituzionale che il 4 dicembre sarà sottoposta a referendum popolare. In questo clima rissoso gli è venuto in mente di volere realizzare il ponte sullo stretto di Messina. Apriti cielo. Viene accusato di pressappochismo, di faciloneria, di propaganda elettorale, di sperpero di risorse finanziarie destinabili alla messa in sicurezza del patrimonio edilizio, di megalomania e di altre nefandezze.
Avendo partecipato nel 1969 al concorso internazionale come coordinatore di un team interdisciplinare continuo a ritenere cosa saggia realizzare il ponte sullo stretto.
Lo ritenevano necessario Mariano Rumor, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Pier Luigi Nervi, Elio Giangreco, Bruno Zevi e Indro Montanelli. Pensano che vada realizzato per collegare con il TAV la Sicilia e l’Europa Angelo Panebianco, Sergio Romano, Francesco Merlo e, manco a dirlo, Silvio Berlusconi.
Il gotha della cultura architettonica mondiale lo considera “ L’espressione più alta mai raggiunta finora dalla tecnologia contemporanea”.
Negli stessi giorni della polemica sul ponte accadeva all’ EUR, il quartiere della Capitale nato nel 1942 come Esposizione Universale di Roma, un fatto molto interessante. Veniva ultimata la grande Teca (70×175 metri per 40 di altezza) costruita in acciaio con doppia facciata in vetro, che contiene “un megacentro congressi con 8mila posti, di cui oltre 6000 nelle sale congressuali e 1762 nell’Auditorium, rivestito da pannelli in ciliegio americano per migliorare l’acustica, che ha comportato l’impiego di 37mila tonnellate di acciaio pari a 4 volte e mezzo la Tour Eiffel e circa 58mila metri di vetro pari a 10 campi di calcio.” All’interno della Teca è collocata la “Nuvola” dell’architetto Massimiliano Fuksas, una strutture in acciaio e vetro sostenuta da un groviglio di profilati metallici. Un capriccio architettonico costosissimo che non sarebbe mai venuto in mente a un maestro come Oscar Niemeyer, che sentì il bisogno di dire “l’architettura delle archistar mi fa orrore; hanno smarrito il senso della bellezza”.
Ma nessuno degli ipercritici di Renzi ha denunciato questo spreco di denaro pubblico ( oltre 300 milioni di euro e qualcuno parla di 450) e si è chiesto se era proprio necessario costruire questa megastruttura visto che a pochi metri di distanza c’è il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, progettato nel 1942 da Adalberto Libera, uno dei più famosi architetti razionalisti italiani. Un edificio concepito come una grande “basilica” con la sala dei Ricevimenti che ne rappresenta il concetto spaziale: un cubo di 38 m di lato, concluso in alto con una crociera tenuta da una leggera struttura metallica . All’interno vi sono rampe incrociate e logge (apertura e comunicazione visiva con gli ambienti limitrofi) che si raccordano in alto con le lunette a vetri della volta. Il Palazzo, realizzato in cemento armato rivestito con lastre di marmo, rappresenta la sintesi formale dell’E42 e si esibisce al mondo come il monumento contemporaneo da comparare con quelli storici. Le Corbusier lo ha definito “Un’opera mirabile come un tempio di Ictino”.
Se ne ricava che in questo strano paese ci sono gli sperperi di denaro pubblico da condannare ( quelli dei nostri avversari) e gli sperperi da esaltare (quelli dei nostri amici). Lo storico doppiopesismo italico.
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