Monnezze d’oro, è sempre più business. Appena scoperchiato un pentolone arcimilionario nelle terre di Gomorra, traffici e incarichi da novanta, coinvolti ras della politica come il presidente della provincia di Caserta, faccendieri pubblici e privati. Un salto in Toscana e spuntano altri itinerari lastricati di soldi e rifiuti tossici, protagonisti tanto per cambiare i Casalesi. Intanto, nell’epicentro di affari & tumori, la famigerata Terra dei Fuochi, è dietro l’angolo il rischio prescrizione per i principali processi in campo. E la stessa sorte rischiano di fare altre inchieste approdate, non si sa come, nelle aule di tribunale: ma pronte al solito sacrificio, quella mannaia chiamata prescrizione, salvagente per delinquenti d’ogni razza (colletti bianchi in prima fila) e colpo di grazia per vittime e cittadini che credono ancora in un barlume di Giustizia.
Partiamo dal casertano, con l’operazione “Assopigliatutto” portata avanti dalla procura di Santa Maria Capua Vetere diretta da Maria Antonietta Troncone, autentico magistrato di trincea (prima era stato procuratore aggiunto in un’altra piazza bollente, Nola). Venti gli arresti, pesantissimi i capi d’imputazione, che vanno dall’associazione per delinquere alla turbativa d’asta, dalla truffa alla corruzione.
In galera, tra gli altri, il presidente della Provincia di Caserta, Angelo Di Costanzo, già sindaco di Alvignano ed esponente di Forza Italia; l’assessore all’ambiente di quello stesso comune, Luigi Simone Giannetti; e tanto per rispettare la perfetta trasversalità negli affari, dietro le sbarre anche il sindaco Pd di Piedimonte Matese, Vincenzo Cappello. Poi il numero uno del Consorzio di Bonifica Sannio-Alifano, il quasi omonimo Pietro Andrea Cappella; quindi i titolari delle imprese pigliatutto negli appalti, Luigi Imperatore, al timone della vera star, “Termotetti sas” e Francesco Iavazzi, in sella ad “Impresud”, cui si aggiunge anche – tra le sigle fortunate – la “Stabile Sannio Appalti”.
APPALTI TOSSICI SU MISURA
Imprese capaci di “farsi fare l’abito su misura per gli appalti”, tutti da svariati milioni di euro e disseminati in diversi comuni casertani, potendo contare su contatti, i rapporti e “entrature” giuste all’interno delle diverse compagini amministrative, di diverso colore, che gestivano la “cosa pubblica”, in particolare il sempre delicato ma super redditizio settore degli appalti per i rifiuti.
Vero deus ex machina ed eminenza grigia della Termotetti, Francesco Raucci: “colui che prendeva contatti con gli amministratori dai quali otteneva gli appalti – scrive Repubblica Napoli – l’uomo che secondo gli investigatori confezionava le bozze di alcuni bandi di gara realizzandoli su misura per la Termotetti, tanto che la Procura l’ha definito il ‘Sistema Raucci’. Antonella Tedesco, rappresentante legale della Termotetti, firmava i contratti con le pubbliche amministrazioni”.
Molto denso il pedigree di Raucci, dove fa capolino l’incarico direttivo affidatogli dai fratelli Michele e Sergio Orsi all’interno del consorzio Ce4, considerato uno dei terminali dei casalesi nel business della monnezza (Michele venne ucciso in un regolamento di conti). Ha quindi lavorato, Raucci, per una controllata di Ce4, Cispel, dove si è occupato di amministrazione. Quindi il salto ad un ente che conta non poco in quel territorio, CUB, ossia il Consorzio Unico di Bacino per le province di Napoli e di Caserta, spolpato fino all’osso e adesso sull’orlo del crac (i dipendenti sono da mesi senza stipendio). “Raucci – raccontano le cronache locali – predisponeva i bandi, i comuni li facevano propri pubblicandoli, quindi venivano nominate le commissioni di gara, formate da persone compiacenti; le procedure di gara finivano poi alla Sua, la Stazione Unica Appaltante, formata da esponenti dei vari comuni, tutti regolarmente al soldo del ‘Sistema’, i quali quindi orientavano l’aggiudicazione dei lavori”. Come bere un bicchier d’acqua.
Sulla figura di Raucci così scriveva il sito Caserta.net a giugno 2014: “tra i rampanti dell’imprenditoria casertana c’è sicuramente la Termotetti che, come dice la sua denominazione sociale, si occupava di impianti di riscaldamento, mentre ora praticamente si occupa di tutto. E’ diventata una vera e propria multiservizi con l’idea di creare il suo core business nel settore dei rifiuti. Una circostanza confermata dalla fresca assunzione, come consulente o come dipendente, la questione ancora non è chiara, di Francesco Raucci, un vero e proprio pezzo da 90 dei consorzi rifiuti della provincia di Caserta, uno che ha governato tantissime cose, soprattutto le relazioni tra gli stessi consorzi e le piattaforme di trasferenza dei rifiuti. Dopo essersi aggiudicata la gara a Piedimonte Matese, altra strepitosa vittoria a Casagiove, rispetto alla quale un ruolo decisivo l’ha svolto proprio la sagace strategia relazionale dello stesso Raucci. Ma quella di Termotetti – veniva aggiunto – è una vera e propria catena di montaggio di appalti. Dell’ultima aggiudicazione si è appena saputo e riguarda la gara, da circa 4 milioni di euro, per la realizzazione del secondo lotto della rete idrica di Presenzano al Consorzio di Bonifica Sannio Alifano, retto dal presidente Pietro Cappella. Manco a dirlo nella commissione che ha aggiudicato i lavori c’era Pietro Terreri, dirigente del Comune di Piedimonte in trasferta, nella circostanza, al Consorzio. Come lo possiamo chiamare: uno scambio culturale tra lui e Massimo Natalizio, dirigente del Sannio Alifano e componente della commissione che ha aggiudicato il servizio di raccolta differenziata a Piedimonte sempre a Termotetti?”.
Un cognome non nuovo alle cronache giudiziarie, Raucci. A fine anni ’80 un Pasquale Raucci fu al centro degli affari a base di cemento e calcestruzzo, a bordo della sua Eurocem, una spa dal capitale misto, un perfetto cocktail greco, panamense e libanese in salsa camorrista. Così scriveva Repubblica nel 1990: “gli amministratori erano i figli di Pasquale Raucci, ex agente di polizia diventato improvvisamente stratega societario. O più precisamente prestanome degli imprenditori Luigi Romano e Antonio Agizza, a loro volta legati al boss della camorra Lorenzo Nuvoletta. Dietro il ginepraio di sigle – aggiungeva Repubblica – si nascondevano parenti e amici di Raucci. Con l’obiettivo, secondo la guardia di finanza, di monopolizzare tutto il mercato del calcestruzzo in Campania”. A Raucci e alla sua Eurocem la Voce dedicò un capitolo del suo volume “Grazie Sisma – Dieci anni di potere e terremoto”, uscito nel 1100, a dieci anni esatti da quel terremoto. Un caso di omonimia? Una rapporto di parentela tra Pasquale e Francesco? Staremo a vedere.
Non è infrequente – documentano non poche itinerari imprenditoriali molto border line – il caso di aziende nate con la vocazione di cemento & calcestruzzo, poi passate a diversificare con i rifiuti, la monnezza e, in alcuni casi, addirittura l’ambiente, il green, le energie ‘pulite’. Racconta un avvocato partenopeo: “Ricordo la famiglia La Marca, impegnata per anni nel settore delle discariche e dei rifiuti, e il caso del carico proveniente dall’Acna di Cengio poi interrato nella periferia occidentale di Napoli, a Pianura; quella famiglia, passate le bufere giudiziarie, poi si riconvertì alle energie rinnovabili, al solare, con impianti in tutto il sud e anche all’estero. Quindi il caso della grande famiglia Agizza, con il patriarca, contitolare del colosso Bitum Beton per il cemento, uscito indenne da tutti i processi per camorra, nonostante i legami societari e familiari con i Romano; alcuni Agizza, poi, si sono dati al business dei rifiuti”.
Dalla Campania alla Toscana il passo è breve. E le vie della monnezza sono infinite. E’ del 13 settembre un’operazione portata a segno dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze. Ecco il report dell’Ansa: “scarti industriali altamente tossici smaltiti senza essere trattati, dispersi nell’ambiente anche tramite l’incenerimento, e fanghi nocivi riversati in terreni di aziende agricole poi adibiti a coltivazioni di grano. Quanto scoperto dai militari della guardia di finanza che hanno portato all’arresto di sei imprenditori, cinque residente a Lucca e uno a Padova, titolari di aziende operanti nel settore della lavorazione dei rifiuti speciali. Complessivamente sono 31 le persone indagate dalla Dda di Firenze. Le indagini hanno permesso di scoprire – illustrano le fiamme gialle – una ramificata organizzazione criminale composta da imprenditori operanti per lo più in territorio toscano (nelle province di Pistoia, Lucca e Pisa), titolari di aziende collegate con imprese dell’area campana gravitanti nell’orbita del clan dei Casalesi e della cosca Belforte di Marcianise, in provincia di Caserta”.
Una delle prime terre di conquista delle camorre formato esportazione, la Toscana, fin dall’inizio anni ’90 (contemporaneamente cominciava l’assalto alla costiera romagnola). Uno dei primi business il Kursaal di Montecatini, entrato nel mirino del clan Galasso da Poggiomarino, articolazione operativa della super cosca di Carmine Alfieri, base nel nolano. E proprio a Lucca stabilirono il loro quartier generale le imprese targate Sorrentino, la dinasty da Torre del Greco che vide i suoi destini decollare con gli appalti – benedetti da ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino – per il dopo terremoto e Monteruscello, la Pozzuoli bis post bradisisma.
TUTTE LE PRESCRIZIONI, MONNEZZA PER MONNEZZA
Torniamo nel cuore della Terra dei Fuochi. Dove sta per andare in scena un secondo killer, dopo i roghi e i rifiuti tossici: quello della “Prescrizione Ammazzatutto”. Si sveglia dal consueto letargo perfino il Mattino, che il 9 settembre titola: “Terra dei fuochi, la beffa dei veleni in prescrizione”. L’articolo si riferisce ai due principali filoni d’inchiesta, quello sul processo a carico del gruppo Pellini, processo agonizzante in vista della Cassazione; e quello a carico del gruppo Chianese e della sua Resit, che rischia di non arrivarci neanche, con questi tempi lumaca, alle toghe del Palazzaccio.
Sul primo scrive il quotidiano partenopeo: “parliamo del processo a carico dei Pellini, imprenditori acerrani accusati di aver inquinato un’ampia fetta di territorio agricolo, un tempo a pieno titolo ‘Campania felix’, istruttoria controversa che oggi, a distanza di almeno dieci ani, non ha ancora visto la parola fine. E in attesa che i giudici della Suprema corte si riuniscano per chiudere il caso, sul processo principale alla terra dei fuochi incombe la prescrizione”. Già finiti in soffitta tutti i reati principali, tra cui anche l’associazione a delinquere e la truffa, resta in piedi solo il disastro ambientale: e i fascicoli hanno impiegato la bellezza di un anno e mezzo per passare dalla Corte d’appello alla Cassazione!
Il secondo, invece, ha visto le condanne in primo grado per alcuni pezzi da novanta, come l’avvocato-faccendiere Cipriano Chianese e Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte, condannati a 20 anni, i quali spesso e volentieri a fine anni ’80 si davano appuntamento a Villa Wanda, la magione aretina del Venerabile Licio Gelli, per incontri operativi sul business monnezza. “Ma il primo grado è andato avanti per oltre cinque anni – fa notare un penalista napoletano – e quindi con questo ritmo una condanna definitiva rischia di diventare un vero miraggio”.
Stesso, incredibile copione che sta per andare in scena in un altro processo ‘storico’ sul fronte dei traffici milionari di rifiuti e dei disastri ambientali. Si chiama ‘Chernobyl’ (già nasceva sulle ceneri di Adelphi 1 e Adelphi 2, finiti in gloria) tanto per evocare, e non solo nominalmente, quella tragedia. Perchè quanto accertato dagli inquirenti nell’arco temporale compreso tra il 2006 e il 2007 è da autentico horror movie: i più tossichi sversamenti (dalle fosse settiche delle navi in transito per il porto di Napoli, ai rifiuti speciali ospedalieri fino ai fanghi industriali) sono stati allegramente effettuati per enormi quantitativi nei fiumi, corsi d’acqua, laghi e terreni della Campania felix e non solo, visto che il raggio operativo si è allargato tragicamente anche alle regioni confinanti. Avamposto nientemeno che Ceppaloni, il comune targato Mastella, con il coinvolgimento della crema amministrativa locale. E implicata nei giri super tossici (ma super milionari) una sfilza di imprese al top nel settore: dall’irpina De Vizia Transfer alla salernitana Naturambiente, fino alla sigla messa in campo da Antonio Agizza, esemplare della dinasty.
Partito a Santa Maria Capua Vetere, quel processo è stato poi spostato a Salerno e tra un rinvio e l’altro oggi si è ai confini della prescrizione: e della realtà, perchè – come ha documentato la Voce in un’inchiesta dello scorso maggio – visto l’andazzo della giustizia di casa nostra, i tempi biblici e il sempre tempestivo salvacondotto della prescrizione, lorsignori hanno pensato bene di fregarsene e di ri-delinquere nella più perfetta calma: mister Agizza, ad esempio, è imputato in un altro processo, da alcuni mesi partito a Napoli e con ogni probabilità destinato a identica sorte.
Stavolta, al già letale cocktail ambientale e alle valanghe di monnezze tossiche, si aggiungono – tanto per gradire – corse clandestine di cavalli, scommesse illegali, sevizie, maltrattamenti e massacro di equini. Prossima udienza a gennaio. Ma sembra l’ennesimo copione già scritto. Giustizia, ancora una volta, l’è sfatta…
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CAMORRA / IL MASSACRO DEI CAVALLI DOPATI – 9 maggio 2016
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