Bufera all’Istat. Non solo le polemiche sugli ultimi dati che fanno a pugni gli uni con gli altri, ma anche per la fresca nomina di un ex super burocrate Rai riciclato come responsabile dello strategico “Dirm”, il dipartimento che controlla tutta la raccolta statistica. E anche per le ultime notizie che arrivano a proposito del direttore generale, che subisce una pesante sanzione della Corte dei Conti per la malagestione nel suo precedenti incarico al vertice di BagnoliFutura, i cui conti sono finiti in un rovinoso crac. Ma è tutta le gestione-Alleva sotto accusa: per il valzer di poltrone, per una strana mobilità del personale che penalizza le potenzialità aziendali e per una discutibile strategia operativa che prende come modello gli imparagonabili metodi statistici adottati in Nord Europa.
Partiamo dalle performance statistiche. E dalla “crescita zero” diagnosticata per il secondo trimestre nel nostro Paese. “Un dato in ‘prima lettura’ – fanno notare gli esperti – perchè non può tener conto di alcune cifre relative agli ultimi costi dei servizi, comunque un dato più che attendibile, che può spostarsi al massimo dello 0,1 per cento”. E per quel pelo percentuale è successa una mezza guerra, con la discesa in campo addirittura del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Un dato pessimo, fatto segnare in Europa solo dalla Francia, afflitta da scioperi, proteste e terrorismo; addirittura la Spagna senza governo fa molto meglio, con un più 0,7 per cento. Da noi è buio pesto. Ma Padoan sognava quel peletto in più e – commenta il giornalista finanziario Giancarlo Marcotti – “per elemosinare almeno un + 0,1 per cento nei giorni scorsi si è esposto dicendo che dai dati sui servizi in suo possesso, le sue attese erano per un risultato definitivo che avesse mostrato un progresso, insomma un segno più, anche se minimo. In pratica stava cercando di fare pressioni sull’Istat affinchè comunicasse un + 0,1 per cento che sarebbe stata comunque una crescita ridicola, ma avrebbe permesso ai nostri governanti di poter andare in televisione a dire che l’Italia sta crescendo”. Aggiunge ancora Marcotti: “l’ingerenza di Padoan è stata qualcosa di sconsiderato e di unico nel panorama mondiale. Ricordiamo per inciso che l’attuale presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, è stato uno dei primi nominati da Renzi appena salito a Palazzo Chigi e che quella nomina era stata seguita da una serie infinita di polemiche sulle reali competenze in materia”.
A proposito dell’ingerenza del ministro Padoan, è significativa l’excusatio non petita dello stesso Alleva, il quale si è sentito in obbligo di rilasciare un’intervista in cui dichiara di non aver subito dal Governo pressioni di alcun tipo per manipolare il dato sulla crescita nel secondo trimestre… Sarà servito il “pressing” di Padoan per i nuovi dati, stranamente positivi e in contraddizione con i precedenti, diffusi il 12 settembre?
ALLEVA E FIORESPINO, LE COMPETENZE NON CONTANO
Circa le polemiche sollevate subito dopo la sua nomina lampo da parte del premier Renzi, basta ricordare l’autentica sollevazione degli ambienti accademici, un lettera aperta al vetriolo indirizzata al fresco primo ministro nonché ai titolari di Semplificazione e pubblica amministrazione, Anna Maria Madia, e dell’Università e Ricerca scientifica, Stefania Giannini, proprio in merito all’inadeguatezza di Alleva per quel delicato ruolo. Così firmano 43 economisti di fama il j’accuse pubblicato attraverso lavoce.info di Tito Boeri: “Quale che sia il punto di vista o il criterio di valutazione del lavoro scientifico, il candidato scelto, il Prof. Giorgio Alleva, presenta un curriculum estremamente modesto, sia in assoluto che in comparazione con molti degli altri candidati. In una lista di 97 lavori se ne trova soltanto uno pubblicato su una rivista scientifica di qualche rilievo. Quanto agli altri – ironizzano i 43 economisti – in genere non vengono elencati nel curriculum di uno studioso. Del resto, su Google Scholar, motore di ricerca che tiene conto di un enorme numero di riviste, case editrici, atti di convegni, incluso tutto quanto viene pubblicato in italiano, soltanto una decina dei 97 lavori vengono segnalati, con un massimo di 4 citazioni (trascuriamo un paio di collaborazioni in psicoterapia e psicologia perchè, crediamo, non è in questo campo che si trovano i contributi originali del prof. Alleva alla Statistica)”. Insomma, una bocciatura con zero spaccato in piena regola!
Perfettamente in linea con i criteri (o non criteri) di nomina del numero uno Alleva, quelli adottati per il nuovo vertice Dirm, ossia il “Dipartimento per la raccolta dati e lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione”, scelta caduta su Valerio Fiorespino, in arrivo dalla Rai, dove ricopriva il ruolo di capo del personale e responsabile delle risorse umane. Una nomina che ha scatenato un putiferio negli ambienti sindacali, e non solo. “Non risulta avere mai avuto a che fare con la ricerca e tanto meno con la statistica”, tuona la Cgil. Chiariscono il concetto alcuni attivisti della Flc: “tra le tante competenze presenti nel grande dipartimento trasversale dell’Istat, dal curriculum di Fiorespino non ne emerge nessuna, avendo un percorso professionale totalmente amministrativo. Al di là delle cronache che lo hanno interessato per il suo stipendio da circa 300 mila euro all’anno, non si vede alcuna corrispondenza tra la biografia del dirigente e l’incarico che dovrà ora ricoprire. Alleva, forse per la prima volta nella storia novantennale dell’istituto, è uscito al di fuori della comunità tecnico-scientifica e accademica per scegliere un dirigente tecnico”.
Altra palese anomalia, la procedura stessa seguita nella selezione che, secondo i vertici aziendali, si è svolta “nell’ambito di un ampio e qualificato ventaglio di manifestazioni di interesse”. Sono in parecchi a questo punto a chiedersi: ma quali incompetenti e ignoranti avranno mai presentato domanda? Manifestando non poca curiosità di conoscere i nomi degli altri candidati e i relativi curricula.
Scrive Grazia Bontà per il sito “L’ultima ribattuta”: “Le vie dei Gubiboys sono infinite. Altrimenti come avrebbe fatto Valerio Fiorespino, ex potente direttore delle Risorse umane all’epoca di Gubitosi a riciclarsi all’Istat? Quella scrivania è rimasta vacante per mesi, con la scusa che nessuno all’Istat avesse le competenze adeguate. E invece, con buona pace del job posting interno, pare la stessero tenendo libera per il nostro silurato Rai. Ora, curriculum alla mano, qualcuno ci spieghi secondo quale criterio uno dalle risorse umane (che andava in giro a dire spavaldo che sarebbe diventato il nuovo direttore generale della Rai dopo Gubitosi) sia stato scelto per dirigere uno dei dipartimenti più ‘innovativi’ dell’Istat. Soprattutto perchè lì le regole parlano chiaro. Quell’incarico spettava a un dirigente di ricerca, tecnologo o competente in amministrazioni pubbliche. E Fiorespino che ci azzecca? Lo hanno messo lì come esperto di epurazioni?”.
Stesso copione – ma al rovescio – in un’altra vicenda incandescente. Pochi mesi fa, infatti, ad aprile Alleva silura una delle colonne dell’istituto, il vero fiore all’occhiello della ricerca, la “regina delle statistiche di genere”, Linda Laura Sabbadini. Ha dovuto difendersi, Alleva, dalle accuse provenienti in modo bipartizan addirittura in un’audizione che si è svolta, il 3 maggio, alla Commissione Affari costituzionali della Camera. Così cerca di mettere una pezza a colori: “D’accordo, Linda Laura Sabbadini è un ricercatore molto noto, è un patrimonio nostro che continueremo a valorizzare. Ma all’Istat non c’è solo lei, e i risultati raggiunti non sono solo suoi. Con 2.300 dipendenti siamo un istituto dove lavorano tantissimi ricercatori con fior di curricula, un ente che può permettersi dirigenti di altissimo livello. Quanto raggiunto dal dipartimento per le statistiche sociali con la Sabbadini è il risultato delle grandi competenze dell’istituto, di tanti ricercatori e collaboratori, del grande patrimonio Istat”. Ha poi assicurato: “alla Sabbadini verrà assegnato un nuovo incarico, più bello di prima”, a quanto pare nell’ambito delle ricerche internazionali. Ha commentano qualcuno: “altro che spostamento in un altro incarico, mi aspettavo che la nominasse direttore del Dirm!”: poltrona, invece, finita appunto a Fiorespino…
TRIPLE POLTRONE E IL CASO ANTONUCCI
Ma le “spine” per Alleva non finiscono certo qui. Sotto i riflettori e nel fuoco incrociato dei dipendenti – l’esercito del 2mila e 300 – le poltrone girevoli, i doppi e anche tripli incarichi. E altri nomi che fanno parlare. Ecco una sequela di casi.
Gian Paolo Oneto, capo della direzione centrale della contabilità nazionale, occupa contemporaneamente altre due postazioni: il servizio conti ambientali e sistema dei conti satellite; nonché il servizio statistiche della finanza pubblica.
Roberto Monducci, capo del dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche – poltrona strategica all’Istat – si occupa anche del dipartimento per i censimenti degli archivi amministrativi e statistici.
Ilaria Sorrentino, capo del servizio gestione logistica e tecnica dei lavori pubblici e procedimenti sanzionatori, trova il tempo per provvedere anche al servizio acquisizione di beni, servizi e lavori per gli uffici regionali.
Giovanni Barbieri, direttore centrale delle statistiche economiche sulle imprese e le istituzioni, delle statistiche sul commercio con l’estero e i prezzi al consumo, è anche capo di se stesso, in quanto responsabile del servizio statistiche ‘strutturali’ su imprese e istituzioni (che dipende dalla precedente direzione).
Raffaele Malizia è al timone della Direzione centrale per lo sviluppo e il coordinamento della rete territoriale e del Sistema statistico nazionale – il cosiddetto Sistan – ma non manca di coordinare e sviluppare il servizio stesso e l’ufficio territoriale della Calabria.
Ma il caso più clamoroso è quello di Tommaso Antonucci, il direttore generale, ossia il numero due nell’organigramma di vertice Istat. Infaticabile, Antonucci, perchè oltre a dirigere l’orchestra di numeri e statistiche, è capo della direzione centrale per l’attività amministrativa e gestione del patrimonio: anche in questo caso, come per Barbieri, dirige se stesso, perchè l’attività amministrativa è alle dirette dipendenze della stessa direzione generale. Non è finita, Antonucci suda e guadagna il suo stipendio: è infatti anche responsabile del dipartimento per l’integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca: un autentico stakanovista.
Ricercatissimo sul mercato (ma anche alla Corte dei Conti, come vedremo), Antenucci, che può vantare un lussuoso pedigree: laureato in Economia alla Sapienza, è consulente del Comune di Roma dal 2004 al 2005 occupandosi di incubatori d’impresa finanziati con la legge Bersani; quindi ricopre una strategica poltrona alla Regione Lazio targata Marrazzo, come direttore al Bilancio; è vice presidente del consiglio d’amministrazione della Fondazione Policlinico Tor Vergata; con Ignazio Marino sindaco è stato sul punto di diventare assessore al Bilancio (l’incarico oggi bollente nell’esecutivo Raggi, con due clamorosi flop e la sagoma di Antonio Di Pietro sullo sfondo).
Ma è l’ultima nomina che diventa incandescente, proprio come gli acciai dell’ex Italsider: è stato infatti per due anni esatti – da maggio 2012 a maggio 2014 – direttore generale di BagnoliFutura spa, il carrozzone pubblico che ha ingoiato vagoni di milioni pubblici, finendo da pochi mesi il suo percorso in un clamoroso crac, dettagliato dalla Voce in una recente cover story. Inchiesta penale a parte sulle bonifica taroccata (ultima udienza l’8 settembre, con la nomina di un super perito), c’è soprattutto la sentenza della Corte dei Conti che scotta, e colpisce svariati pezzi grossi di quella sforacchiata BagnoliFutura. In prima fila proprio Antonucci, che ha avuto il coraggio di bussare a soldi nei confronti dei commissari liquidatori: in quanto vertice della fresca STU (ossia la BagnoliFutura in versione società di trasformazione urbana) chiede compensi per 190 mila euro.
E cosa fa la Corte dei Conti? Non solo rispedisce al mittente la richiesta, ma annuncia future azioni civili, amministrative e caso mai penali: “esprime parere contrario – sottolineano lo toghe contabili – all’ammissione, eccependo l’inadempimento del ricorrente rispetto alle prestazioni oggetto delle ragioni creditorie sottese alla domanda, in ragione delle responsabilità che si faranno valere in sede separata, con particolare, e non esclusivo, riguardo alla partecipazione del ricorrente nel procrastinare l’emersione dello stato di crisi e all’aver preso parte al compimento di atti contrari ai principi di sana e prudente amministrazione”. Un vero pugno da ko!
TU VUO’ FA’ ‘O NORVEGESE
“Speriamo che l’Istat non diventi una seconda Bagnoli Futura”, è il titolo di un foglio sindacale circolato nell’istituto in pieno agosto, quando cominciano a far capolino le notizie sulla Antonucci story. Proprio negli stessi giorni la direzione generale effettua un blitz e vara il “Piano di mobilità 2016-2018”, subito contestato con durezza dai sindacati interni. “A nulla sono valse – viene denunciato – le accese proteste della Rsu, dei lavoratori, dei sindacati, la Direzione generale ha proseguito spedita deliberando in pochi giorni il Piano. Tutte le nostre richieste sono state completamente disattese, anzi si è trovato il modo di rendere ancora più criptica e farraginosa la procedura di mobilità interna. In seguito ai trasferimenti dei servizi informatici di Itb e Itc a via Tuscolana e della Direzione centrale affari amministrativi a viale Liegi e, più in generale, nello spostamento di oltre il 50 per cento del personale dell’Istat, si verificheranno serie carenze di competenze specifiche e frammentazione dei servizi. Questa amministrazione si preannuncia un fallimento totale che l’Istat non merita dopo 90 anni di onorato servizio al Paese”. E ancora, ecco quanto sottolineato in una nota de “Il foglietto”, organo del sindacato Usi-Ricerca, titolata ‘Istat nel caos’: “Il personale è da mesi sul piede di guerra: precariato, salario accessorio, concorsi interni, lavoro a turno, sono solo alcune delle tematiche che la gestione dell’ente non riesce ad affrontare e risolvere. Non v’è giorno che non si registri la mobilitazione di questa o quella parte del personale che reclama dei diritti mai riconosciuti”.
Forti le proteste anche sulla nuova ‘mission’ aziendale. Così spiega un ricercatore da anni in servizio: “contestiamo il nuovo corso, si fa per dire, che vuol imboccare Alleva, che a parole si ispira all’innovazione e in sostanza fa esattamente il contrario, per depotenziare tutto il bagaglio e il valore dell’Istat. In sostanza, vuol modificare il modo di fare ricerca e statistiche: non più indagini campionarie, sul territorio, fatte anche di esperienze dirette e concrete; ma solo una ricerca burocratica, amministrativa, basata su fonti telematiche, archivi della pubblica amministrazione. Ricerche morte, in sostanza, datate, incomplete. Per fare un solo esempio, i dati su salute e mortalità, e tutta la vasta gamma di dati sociali, se li cerchi in questo modo riscaldi ministre già vecchie, occorre ricerca anche sul campo, viva”.
E aggiunge: “Alleva vuol fare lo scandivano. Prende infatti a modello alcuni tipi di ricerche fatte nei paesi dell’Europa del nord, dove le pubbliche amministrazioni, anche per via della minor densità di popolazione, funzionano in modo del tutto diverso rispetto alla nostra realtà. Significa voler comparare due modelli incomparabili. Tecnicamente e operativamente, Alleva vuol raggiungere questi obiettivi dividendo l’Istat a metà, come una mela: da un lato un Polo di produzione statistica, dall’altro un Polo dei cosiddetti servizi trasversali. Due mondi che finiscono per separarsi e non produrre più la sostanza scientifica fino ad oggi elaborata. Si vede proprio che ai nostri vertici abbiamo persone, capi che ignorano del tutto questa materia, come dimostra il caso Fiorespino. Portandoci al caos”.
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