“E’ certo che fu la mafia, ma non può escludersi che non sia stata solo mafia”.
Sono passati quasi 31 anni dalla strage del 904, il treno di Natale costato 16 morti a Val di Sambro, la galleria della morte. Ed è con queste parole che la Corte d’Assise di Firenze assolve oggi Totò Riina da quel sangue, perchè – fanno sapere i togati – “la strage avrebbe potuto essere realizzata a sua insaputa”. Come è capitato con Claudio Scajola e la casa-regalo al Colosseo.
La vera storia? Intorno al principale responsabile, Pippo Calò, può – l’ipotetico dopo trent’anni è d’obbligo – aver “trovato coagulo un coacervo di interessi convergenti di natura diversa e in quel contesto può essere maturata la decisione, organizzazione ed esecuzione della strage”. Fantastico.
Ma ecco le picconate alle sentenze che in primo e secondo grado avevano optato per la colpevolezza del boss. Cosa hanno raccontato pentiti eccellenti come Giovanni Brusca, Gaspare Mutolo e Baldassarre Di Maggio? Che Riina poteva non tranquillamente non sapere. Anzi non sapeva. Nessuno di loro – spiegano le toghe gigliate – ha mai avuto conoscenza che la strage fosse avvenuta “su mandato, istigazione o consenso di Riina”. E poi: Calò era un battitore libero, “aveva un certo grado di autonomia”, coltivava “relazioni collaterali” alla mafia e tutto ciò “avvalora il dubbio” che per la strage del 904 “non abbia avuto la necessità di avere impulso, autorizzazione o consenso di Riina”.
Ma eccoci alle considerazioni storiche degli alti togati. “L’evoluzione storica pare smentire qualsiasi clima di contiguità strategica fra la strage del 904 e quelle del ’92-’94”. La prima, infatti, aveva “un’impronta terroristica” e anche se giovava alla mafia “non ne recava la tipica impronta”, visto che non era rivolta, viene spiegato, a un nemico di Cosa nostra, come con gli eccidi di Falcone e Borsellino, e non mirava a colpire lo Stato, come nel ’93 con le bombe al patrimonio artistico.
Qui, scoprono i giudici-esploratori, c’era “un coacervo di interessi convergenti”. Per la sola detenzione di esplosivo, ricordano, in passato sono stati condannati l’ex parlamentare del Msi Massimo Abbatangelo, e i camorristi Giuseppe Misso, Giulio Pirozzi, Alfonso Galeota e Lucio Luongo. E ancora, la Corte d’Assise fiorentina accende i riflettori sullo “spessore” di Misso, un uomo – veniamo finalmente a scoprire – che “vantava simpatie neofasciste” e “gestiva progetti politici eversivi”. Non basta, perchè, vivaddio, ora sappiamo che “i legami con la Banda della Magliana già ponevano Calò come tramite tra potere mafioso e ambienti della destra eversiva”. Grazie toghe. Forse, lavorando per qualche annetto ancora, potrete scoprire che quel “coagulo”, o se preferite quel “coacervo”, aveva una fisionomia ben precisa. Condita da qualche ingrediente – e da non poco – in più.
Già trent’anni fa era ben visibili e chiare altre “impronte”: non solo mafie – e camorra – ma anche Stato, ossia Servizi. Chi lo aveva messo nero su bianco? Altri giudici, un attimo più tempestivi. Che indagavano “sui rapporti tra mafia, camorra ed eversione nera, e i sui loro addentellati con ambienti della P2 e dei servizi segreti”.
Ne scriveva esattamente trent’anni fa, luglio 1985, per la Voce Miki Gambino, firma storica de “I Siciliani”: a proposito del lavoro di inquirenti “impegnati in varie procure d’Italia” e in particolare Ferdinando Imposimato e Domenico Sica a Roma, Claudio Nunziata a Bologna, ed in Sicilia Carlo Palermo, che aveva subito un attentato (che con ogni probabilità portava la stessa firma degli autori della strage di Natale). Significativo il titolo dell’inchiesta ’85, che potete leggere in allegato: “Sono Servizi di camorra”. Ed il sommario: “E infatti, secondo le piste dei giudici romani, all’attentato del treno di Natale parteciparono mafia e camorra in collegamento con i servizi deviati e i terroristi di destra. Dall’arresto dell’ex poliziotto Carmine Esposito alla cattura del camorrista amico dei terroristi Giuseppe Misso, tutto sembra portare a Napoli. Gli incontri tra il capomafia Pippo Calò, i fratelli Zaza, i Nuvoletta, Antonio Bardellino e Nunzio Barbarossa. E ancora, il collegamento fra la strage e l’attentato al giudice Carlo Palermo”.
Leggere per credere.
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