LA CLAMOROSA AMMISSIONE NATO / E’ DAL 2008 CHE VOGLIAMO L’UCRAINA CON NOI

I propositi di guerra sempre più aperta alla Russia e la totale non volontà di negoziare l’esito del conflitto in Ucraina, è ormai sempre più evidente sia sul fronte Usa che ai vertici NATO.

In un novembre denso di esternazioni ‘eccellenti’, infatti, sono venuti alla luce fatti che parlano da soli.

Solo pochi giorni fa, il 25 novembre, il Segretario Generale della NATO, il norvegese Jens Stoltemberg, ha voluto dare uno degli  ultimi colpi di coda, visto che il suo mandato sta per scadere ed è in prorogatio proprio dall’inizio del conflitto, febbraio 2022.

Nel corso di una conferenza stampa, infatti, si è lasciato andare ad una stupefacente ammissione: è da quasi quindici anni che la NATO ha cominciato ad esercitare pressioni sull’Ucraina per entrare nell’Alleanza Atlantica. Tutto accadde, per la precisione, a Bucarest nel 2008.

Ecco le fresche parole di Stoltemberg: adesso “abbiamo ribadito la decisione che prendemmo nel 2008, a Bucarest, nel corso di un vertice, circa il fatto che l’Ucraina diventasse un membro della NATO”.

Crolla di colpo, quindi, la narrazione di un’Ucraina che solo adesso chiedere di aderire alla NATO. E prendono sempre più corpo le preoccupazioni che da anni e anni nutre la Russia per il sempre più asfissiante accerchiamento operato da Usa & NATO nei suoi confronti: e tutto ‘nato’ – è il caso di dire – dal tradimento di quel patto d’onore preso dalle quattro potenze occidentali (Usa, Germania, Francia e Gran Bretagna) nella primavera 1991 con la Russia di Gorbacev, in base al quale la NATO con si sarebbe mai allargata verso Est, non avrebbe oltrepassato di un centimetro la linea dell’Oder; mentre invece, da allora in poi, ben 14 paesi sono passati sotto l’ombrello dell’Alleanza Atlantica.

Del resto, nel corso di un’intervista di tre anni fa, il consigliere politico del presidente pupazzo Volodymir Zelensky, ossia Oleksiy Arestovych, affermò in modo che più chiaro e netto non si può: “Il nostro prezzo per entrare a far parte della NATO è una grande guerra con la Russia, che una probabilità di accadere del 99,9 per cento”. Tradotto: l’Ucraina aveva progettato il conflitto con la Russia del ‘macellaio’ Vladimir Putin fin dal 2019! Altra bomba da non poco…

Potere leggere di seguito, cliccando sul link in basso, un’interessante ricostruzione dei fatti, compresi succosi dettagli sulla carriera da perfetto guerrafondaio di Stoltemberg, in un articolo pubblicato sul sito ‘Piccole Note’ e titolato “Stoltemberg: fin dal 2008 si era deciso di far entrare l’Ucraina nella Nato”.

 

Da un Segretario Generale NATO all’altro il passo è breve. Ed eccoci quindi alle fresche dichiarazioni (le ha rilasciate a ‘The Economist’ il 18 novembre scorso) di George Robertson, ex segretario alla Difesa del Regno Unito dal 1997 al 1999, ed ex Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica dal 1999 al 2003.

Choccanti alcune frasi pronunciate dall’ex numero uno NATO: “La Russia è in guerra non noi. Per poi subito dopo chiedersi: “Perché non difendiamo i nostri Paesi come se fossimo sotto attacco?”, con il caso-Polonia ancora caldo caldo.

Poi spiega con nonchalance: “Il sostegno occidentale all’Ucraina è solo difensivo, rispondendo agli attacchi bellici con processi in tempo di pace”.

Ed avanza alcune precise richieste a nome di si sa chi (dell’Occidente intero? della NATO?) non rivestendo più alcuna carica ufficiale.

George Robertson

Sostiene che “occorre accelerare i rifornimenti di armi e munizioni alla linea del fronte. Più munizioni per i sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità e altre armi e più addestramento per le forze ucraine”. Come se non bastassero i giganteschi quantitativi di materiale bellico inviato in questi mesi e addirittura tale da aver praticamente svuotato di arsenali dei paesi europei!

Inoltre, suggerisce, bisogna “resistere ai discorsi pericolosamente vaghi del Cremlino sull’uso di armi nucleari”.

Terzo suggerimento firmato Robertson: “Dobbiamo svezzarci definitivamente non solo dal gas russo, ma anche dal grano russo”. Con il ‘noi’, chiarisce, intende “il mondo intero”: “i paesi – aggiunge – devono cercare forniture alternative di grano”.

E poi un monito al ‘Sud globale’ che deve stare molto attento alle annose dispute sui confini: dispute che potrebbero essere agevolmente rinfocolate “se quei Paesi non si unissero alla nostra guerra contro la Russia”.

Un ‘avvertimento’ in piena regola. E, non soddisfatto, precisa: “Cina ed India, ad esempio, condividono un confine dove occasionalmente si verificano riacutizzazioni. Il modo in cui la Russia se la cava dopo la sua invasione dell’Ucraina può essere di enorme interesse per entrambi”.

Infine, un consiglio da ‘stratega’ per i paesi occidentali: ci vuole “un piede di guerra per abbreviare il processo decisionale e aggirare le burocrazie; stando sul piede di guerra, pochi individui analizza Robertson – hanno il potere di fare scelte rapidamente. Dovremmo emulare un tale sistema ora. Ciò ci consentirebbe anche di rafforzare le nostre difese contro le minacce informatiche”.

Stare sul piede di guerra – chiarisce ancora – “richiede che i politici occidentali siano brutalmente sinceri con la stessa gente che il loro sacrificio, in particolare attraverso il costo della vita, è nella difesa del nostro stesso paese. I leader politici devono affermare perché i sacrifici sono necessari. E’ necessaria una raffica incessante di pubblicità”.

E in quanto a fuorviante pubblicità, valanghe di fake news e bufale a tutto campo è zeppo il mainstream; ed in particolare i media di casa nostra. Affinchè il Capo dei Capi Joe Biden e la NATO guidata (fino ad oggi) dal sempre più guerrafondaio Stoltemberg siano sempre riveriti e ogni loro richiesta soddisfatta in tempo reale.

 

A ulteriore riprova delle volontà belliciste di USA (& NATO of course al seguito) ecco l’ultima notizia. Potrebbe titolarsi “Democratici e repubblicani uniti nella lotta”, dopo la volontà comune di un gruppo trasversale di senatori (una quindicina) a stelle e strisce, finalizzata a convincere Joe Biden ad inviare a Kiev un super drone altamente sofisticato. Il raggruppamento bipartizan è capeggiato dal democratico e arcimiliardario Joe Manchin e dai repubblicani Lindsay Graham e Joni Ernst.

Ecco cosa scrive il reporter americano Jeremy Scahill: “Un gruppo bipartizan di senatori statunitensi ha intensificato le pressioni sull’amministrazione Biden per fornire all’Ucraina un drone statunitense di alto livello in grado di sparare quattro missili Hellfire o otto munizioni Stinger. I 16 senatori hanno definito il  Grey Eagle MQ-1C ‘la richiesta di trasferimento di equipaggiamento militare con la massima priorità del governo ucraino’ di sistemi aerei senza pilota e hanno affermato che avrebbe ‘il potenziale per guidare il corso strategico della guerra a favore dell’Ucraina’”.

Altro che quello semplice star ‘sul piede di guerra’ caldeggiato da Robertson!

 

 

Stoltenberg: fin dal 2008 si era deciso di far entrare l’Ucraina nella Nato

Piccolo scivolone del Segretario della Nato Jens Stoltenberg, che in una conferenza stampa tenuta il 25 novembre ha ribadito la politica della porta aperta della Nato, aggiungendo che “abbiamo ribadito la decisione che abbiamo preso nel 2008, a Bucarest, a quel vertice, sul fatto che l’Ucraina diventi un membro della NATO”.

Insomma, già nel 2008 era stato deciso che Kiev entrasse nella Nato e la sua adesione era solo questione di tempo. Ciò nonostante il fatto che la Russia avesse detto più e più volte, e ribadito in seguito più e più volte, che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato rappresentava per Mosca una sfida esistenziale inaccettabile, cosa peraltro nota a tutti gli analisti e politici americani (vedi, ad esempio, gli allarmi lanciati al tempo da Biden e dall’attuale capo della Cia William Burns).

L’intervento in Libia e la strage di Utoya

Un uomo per tutte le stagioni Stoltenberg, che nel 2011, allora primo ministro della Norvegia, trascinò il suo Paese in guerra, aderendo all’appello degli Stati Uniti per intervenire in Libia nonostante le informazioni ricevute da oltreoceano non fossero sufficienti a giustificare l’intervento, come denunciò una commissione d’inchiestanorvegese successiva.

Nonostante il tragico e sanguinoso caos nel quale è precipitata la Libia dopo l’intervento Nato, Stoltenberg ha ribadito più volte che era stata una scelta giusta per salvare i civili (tanti dei quali, peraltro, morirono sotto le bombe Nato).

Nell’anno dell’intervento in Libia, Stoltenberg fu anche protagonista indiretto del tragico attacco subito dal suo Paese il 22 luglio (due volte 11 per gli appassionati di numerologia, con l’11 numero ricorrente nelle azioni del Terrore).

L’attacco fu attribuito al neonazista Anders Breivik, quando ancora i neonazisti non erano alleati della Nato. Breivik fece esplodere un’autobomba sotto il palazzo del governo e tre ore dopo iniziò a sparare contro i ragazzi che partecipavano a un campo scuola sull’isola di Utoya, uccidendone 77 e ferendone altre decine.

Attentati che furono facilitati dalla leggerezza della Sicurezza, che, nonostante avesse contezza di minacce incombenti, lasciò libera al traffico la strada che conduceva ai palazzi del potere, permettendo all’attentatore di parcheggiare tranquillamente il furgoncino pieno di esplosivi sotto il palazzo del governo (Stoltenberg era assente).

Non solo, l’attentatore venne riconosciuto subito: appena dieci minuti dopo l’esplosione, la Sicurezza fu avvertita da una telefonata che indicava loro l’uomo sospetto, dettagliando come era vestito (da poliziotto) e il veicolo sul quale si era allontanato dopo l’attentato, con tanto di targa.

Nessun allarme nazionale fu diramato, così che i ragazzi di Utoya non ebbero contezza del rischio se non quando l’uomo in divisa (non si era nemmeno cambiato d’abito) iniziò a sparare su di loro; né furono approntati posti di blocco in città, che avrebbero potuto impedire all’attentatore di circolare liberamente e giungere a Utoya.

Tutto questo è stato accertato da una commissione d’inchiesta norvegese, insieme ai tanti inconvenienti convergenti che impedirono alla sicurezza di intervenire tempestivamente: l’elicottero delle forze speciali non poté essere usato perché il personale era in vacanza; il gommone usato dalle forze speciali per giungere all’isola ebbe un contrattempo fatale, da cui la necessità di ripiegare su barche private; ai poliziotti giunti per primi sul luogo della strage fu detto di non intervenire, ma di limitarsi a monitorare la situazione…

La strada per la guerra

Tanti i punti oscuri, insomma, riguardo l’accaduto, che avrebbero potuto indurre la autorità almeno a una seria riflessione sulla loro inadeguatezza. Ma Stoltenberg non si dimise, anzi, la partecipazione alla guerra libica e l’eccidio successivo gli conferirono una visibilità e un’aura di autorevolezza prima ignota, tanto da essere prescelto alla guida della Nato.

E ora questo incapace guerrafondaio si muove e parla come fosse il dominus del Vecchio Continente, soffocando con la sua vacua e incendiaria prosopopea le voci che si levano per chiedere l’avvio di negoziati.

Ma tornando all’adesione dell’Ucraina alla Nato, torna alla memoria quanto ebbe a dire il consigliere di Zelensly Oleksiy Arestovych in un’intervista rilasciata nel 2019:“Il nostro prezzo per entrare a far parte della NATO è una grande guerra contro la Russia, che ha una probabilità di accadere del 99,9%”.

Tutto come previsto nel dettaglio. E ora che gli incendiari hanno dato fuoco al mondo strillano scandalizzati perché sull’Ucraina piovono missili russi.

 

 

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