Meglio tardi che mai.
Finalmente è arrivato il Vaffa Day per Henry Kissinger, l’uomo che ha segnato per decenni le politiche, soprattutto estere, a stelle e strisce. Tragicamente memorabile il suo intervento in Italia, con la decisione che Aldo Moro “Deve Morire”.
La trombatura arriva dal Donald Trump in rampa di uscita, il quale prima di lasciare la Casa Bianca vuole seppellire – almeno simbolicamente – una piccola parte di quel “Deep State” che sta condizionando da tempo non solo lo scenario americano ma anche quello internazionale.
LA “PALUDE” & IL “DEEP STATE”
Nel repulisti di fine novembre Trump spazza via la vecchia guardia del Pentagono, che non pochi definiscono “la palude”, protagonista di distruzioni, sangue & massacri che hanno caratterizzano una buona fetta della pur fresca storia americana.
Tutto ciò succede all’indomani di alcuni avvenimenti. Come il licenziamento del numero uno del Pentagono, Mark Esper, il quale non ha condiviso la decisione presidenziale di non darsi subito per sconfitto. Al suo posto Trump ha nominato Christopher Miller.
Ma il futuro primo inquilino del Pentagono sarà al 99 per cento una lady di ferro, Michele Flourney, che Joe Biden ha già selezionato per il suo “Transition Team” che lo porterà all’incoronazione ufficiale del 9 gennaio prossimo.
C’è da tener presente un altro elemento di stretta attualità, passato sotto silenzio tra i media occidentali, così come del tutto oscurata questa ‘rivoluzione’ ai vertici del “Defence Policy Council”. Si tratta della storica decisione di Trump di dimezzare, in pratica, il contingente statunitense di stanza in Afghanistan, da 4.000 a 2.500 uomini: un chiaro segnale che la sua amministrazione ha sempre inteso diminuire la presenza Usa sugli scenari di guerra, per far uscire il Paese da conflitti perpetui.
Politiche che ben difficilmente il bellicoso – così già si annuncia – esecutivo griffato Biden intenderà seguire.
Torniamo a Kissinger solo per sintetizzarne, in due parole, la carriera politica. Relativamente breve il suo periodo di fulgore massimo, tra il 1969 e il 1977, sotto le presidenze di Richard Nixon e Gerald Ford. Ma la sua presenza farà da sfondo a tutte le politiche degli anni seguenti, tanto da figurare ancora oggi, a 97 anni suonati, un personaggio di spicco.
Tra le sue medaglie più luccicanti fanno bella mostra la guerra in Vietnam, il golpe cileno che portò al potere il criminale Augusto Pinochet, le politiche imperialiste in mezzo mondo, dall’Africa – con le operazioni in Angola e in Mozambico – all’Asia, e la ciliegina dell’invasione di Timor Est in combutta con il dittatore indonesiano Haji Mohammad Suharto e il massacro di 200 mila civili.
MORO “DEVE MORIRE”
A casa nostra, dicevamo del caso Moro. Fu Kissinger, infatti, a dirigere le operazioni affinchè Moro non venisse liberato. Grazie all’inviato speciale a stelle e strisce Steve Pieczenick, sbarcato in Italia per affiancare l’allora ministro degli Interni Francesco Cossiga in quel famigerato “Comitato di Crisi” composto per nove undicesimi da iscritti della P2.
Nel 2006 il giornalista francese Emmanuel Amara, autore di “Abbiamo ucciso Aldo Moro”, intervista Pieczenick, che fornisce i dettagli dell’operazione, sottolineando tutte le responsabilità americane, i cui vertici certo non vedevano di buon occhio quel “compromesso storico” tra la Dc e il Pci, preludio ad un possibile ingresso dell’odiato partito comunista nell’area governativa.
E dopo un anno esce un altro possente j’accuse, “Doveva Morire”, scritto da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, ed il ruolo del tandem Kissinger-Pieczenick viene ulteriormente arricchito di particolari. Ovviamente ignorate – le ricostruzioni effettuate nei due libri – dal mainstream, secondo cui a volere la scomparsa dello statista DC erano solo le Brigate rosse (neanche per sogno eterodirette) e basta!
LA FORMAZIONE DEGLI 11 TROMBATI
A questo punto vediamo la formazione degli 11 epurati da Trump prima di lasciare la Casa Bianca, undici guerrafondai in piena regola.
Alle spalle di Kissinger, ecco un’altra figura di spicco nell’era targata Bill Clinton. Parliamo di Madeleine Albright, segretario di Stato dal 1997 al 2001. In precedenza era stata rappresentante permanente degli Stati Uniti all’Onu. Fece scalpore, nel 1996, una sua intervista concessa alla CBS nel corso della trasmissione “60 seconds”. Le venne chiesto se la morte di mezzo milioni di bambini nella guerra in Iraq fosse un prezzo troppo alto da pagare. E lei, glaciale, rispose: “Credo sia una scelta molto difficile, tuttavia pensiamo che il prezzo non sia troppo alto”. Come bere un bicchier d’acqua.
Sempre favorevole alla guerra di aggressione in Iraq si è proclamata Jane Harman, altro membro trombato del “Defence Policy Council”. Ha ricoperto per anni la carica di consigliere speciale al Dipartimento della Difesa e nel comitato per i servizi segreti della Camera. Sempre eletta tra i democratici al Congresso Usa per la California.
Maglietta della Virginia, invece, per Eric Cantor, ex leader della maggioranza alla Camera.
Tutto petrolio & commercio il cuore di Jamie Gorelik. Avvocato, è stato vice procuratore generale degli Usa dal 1994 al 1997 con l’esecutivo Clinton. Oggi fa parte del consiglio d’amministrazione di Amazon, poltrona non da poco, ed è stato un componente dell’Advisory Council di British Petroleum, il colosso nell’estrazione dell’oro nero proprio ai tempi – il 2010 – della famigerata fuoriuscita dalla Deepwater Horizon. Nella sua carriera politica, tra l’altro, ha partecipato alla Commissione bipartizan sugli attacchi terroristici negli Stati Uniti, compreso quello alle Twin Towers.
Tutti armi & marina i trentotto anni della carriera del super ammiraglio Gary Roughead, detto ‘testaruvida’. Ha cominciato dai primi gradini della US Navy fino ai vertici, comandando svariate flotte a stelle e strisce.
E’ stato un alto funzionario al Dipartimento della Difesa, dal canto suo, Rudy De Leon, che è arrivato fino al secondo gradino nella scala ‘civile’, come vice segretario. Anche ai vertici della Air Force nell’era Clinton. Poi ha continuato la sua carriera come ‘lobbista’.
Potente sottosegretario al Tesoro per gli affari internazionali: questa la postazione base di David McCormick, in sostanza il diplomatico numero uno sul fronte economico a livello internazionale per gli Usa con l’amministrazione Bush. E’ anche membro della potente Trilateral e componente dello Strategy Aspen Group. Non è finita, perché dal 2009 occupa un’altra postazione strategica, come Ceo di Bridgewater Association, big sul fronte degli investimenti con ben 160 miliardi di dollari di asset in gestione.
E’ stato responsabile per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale fino al 2007, Robert Joseph. Ha fatto parte di uno strategico comitato sul fronte delle armi nucleari sponsorizzato dal National Institute for Public Policy, un think tank di pretto stampo conservatore.
Ex vice consigliere per la sicurezza nazionale di George Bush, dal canto suo, J.D. Crunch, professione diplomatico. Dal 2014 è presidente e amministratore delegato della United Service Organization (USO).
Passiamo al “sommo sacerdote delle teologia nucleare”, Franklin Miller, per oltre trent’anni una colonna dell’establishment per la Difesa nazionale, soprattutto a botte di nucleare. Assistente speciale di George Bush, si è occupato per molti anni di curare i rapporti militari con la Gran Bretagna. E’ titolare della società di consulenza aziendale “The Scowcraft Group” che ha il suo quartier generale a Washington.
Si tratta di ‘licenziamenti’ simbolici, ma significativi sotto il profilo politico. Lorsignori, infatti, in teoria possono rientrare grazie al neo presidente Joe Biden, anche se l’anagrafe, of course, lo sconsiglia.
Da rammentare che il Defence Policy Council è un gruppo consultivo sul fronte della sicurezza nazionale, in stretto rapporto con il numero uno del Pentagono. Teste d’uovo abituate agli scenari di guerra e, soprattutto, a tener ben presente il profilo economico di quegli scenari.
Affinchè ogni conflitto possa sempre guardar dritto al Potere e agli Affari.
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