Uno dei più grossi misteri di mafia.
Si tratta dell’omicidio del collaboratore di giustizia Luigi Ilardo, ammazzato il 10 maggio 1996.
La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha appena emesso la sua sentenza, che conferma la condanna all’ergastolo per i boss Giuseppe Madonia e Vincenzo Santapaola, ritenuti i mandanti, per Maurizio Zuccaro, considerato l’organizzatore, e per Orazio Benedetto Cocimano, il killer.
Ma resta in piedi – come è successo per tanti, troppo omicidi mafiosi – e grosso come una casa l’interrogativo: sono stati realmente cercati i mandanti autentici, ossia quel livello paramafioso di politici & colletti bianchi ritualmente alle spalle di tutti i delitti eccellenti?
Ilardo non era un personaggio di spicco o noto alle cronache.
Ma una pedina strategica, vale a dire l’uomo che conosceva tutti i movimenti del super boss Bernardo Provenzano e aveva suggerito agli inquirenti la via per catturarlo già il 31 ottobre 1995, ben 11 anni prima di quanto è poi successo, consentendo quindi a Provenzano di potersi godere una lunga, tranquilla libertà.
Aveva rivelato tutti i dettagli su Provenzano e gli equilibri mafiosi dell’epoca al colonnello dei carabinieri Michele Riccio. Una collaborazione durata tre anni, nel corso dei quali gli imput di Ilardo hanno consentito non pochi arresti.
Ma su quella pista i superiori di Riccio sono risultati totalmente sordi. Non hanno voluto dar retta alle dritte di Ilardo, il quale è stato letteralmente mandato allo sbaraglio. Un collaboratore ascoltato fino ad un certo punto e poi non più, che diventa quindi un bersaglio più facile per gli lo vuole eliminare, affinchè non apra più bocca.
In questo clima matura l’omicidio di Ilardo.
Ecco le parole di Riccio al processo: “Il 2 maggio Ilardo si è recato a Roma per parlare della sua collaborazione. Pochi gironi dopo il suo rientro in Sicilia fu ucciso. E la necessità dell’accelerazione va letta in relazione a quella che è la cronologia degli eventi”.
Soddisfatti a metà i familiari della sentenza di Cassazione, visto che ha trovato conferma l’impalcatura base e sono stati condannati i mafiosi, ma manca il solito tassello ‘politico’, e quindi i veri mandanti sono sempre a volto coperto.
Sottolinea la figlia, Luana Ilardo: “Questa è una sentenza importante, segna una pietra miliare. Ma è un omicidio sul quale va fatta completa luce. E’ una prima sentenza che ci restituisce un pezzo di giustizia, con le condanne dei boss di Cosa nostra. Però ci sono altre responsabilità che devono essere trovate e domande che devono avere una risposta”
Nel corso della sua collaborazione, tra l’altro, Ilardo ha fornito concrete indicazioni sui rapporti tra mafia, politica e massoneria in Sicilia e non solo. Ottimi e abbondanti motivi per eliminarlo.
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