Cautele, prudenza, stand by, ragionata attesa del poi, la prima innestata, una rapida retromarcia: il connubio scienza-politica non ha il passo da maratoneta, né la falcata del mezzofondista. Il suo andare è titubante, incerto, a tratti contraddittorio, ottimista cum iudicio e pessimista perché timoroso di smentite, impedito a sbilanciarsi dalla fitta nebulosità che permane sulla sua origine, l’efficacia dei molteplici approcci a intuizioni terapeutiche, rebus di tempi e modi di approdo al vaccino, l’incognita dell’auspicata par condicio mondiale nell’assegnazione a miliardi di candidati all’immunità. Un paio di dubbi supplementari: il maledetto Covid-19 si connota con un iter a tappe, ovvero massima virulenza, decrescita della diffusione e calo progressivo dell’aggressività fino al contagio zero? Tutto da vedere. S’incattivisce con il freddo, come tutti i ceppi influenzali e si acquieta con il caldo e poi emigra a svernare nelle calotte polari? Sovrasta l’intero impianto di accentuata vaghezza l’eterogeno discettare di virologi, pneumologi, immunologi, ricercatori, medici di base, ingaggiati dalla politica, per sgravarsi del pericoloso decisionismo chiamato a governare lo scenario ancora misterioso della pandemia. Nella narrazione del coronavirus si trovano anche il peggio del chiacchiericcio senza fondamento. Più di un esperto, al via della fase 1, ha sbeffeggiato l’ansia da mancanza di mascherine con un perentorio: “Non servono a niente”. E quanti contagi sono da imputare a questa scellerata falsità? Il campionario di esternazioni sull’identikit del virus è straordinariamente variegato: le voci di dentro hanno ammonito: terreno preferito di approdo del Covid-19 è la carta, no il cartone, no la plastica, no i vestiti, no le scarpe. I tempi del pericolo di contagio? Un’ora, un giorno, una settimana; chiudere e quando, aprire e quando? Anarchia pura. Trump, Johnson, Merkel, Macron, Conte e consimili di mezzo mondo non hanno concordato un protocollo unico antivirus e così, in ciascuno dei Paesi citati regna l’indipendentismo delle istituzioni locali, regioni e comuni (Germania, Italia, Francia), Stati (Usa), contee (Gran Bretagna). Il pericolo evidente è che si spengano e si accendano focolai della pandemia laddove le restrizioni sono rispettate o trasgredite.
Al vertice dell’ignominia è stabilmente insediato il peggior presidente della storia americana, che per catturare la benevolenza del gigantismo industriale, del commercio, invita a fregarsene del micidiale picco di contagi, infettati, perfino del tragico primato di morti e nega ogni limitazione nell’apertura di attività produttive. In Italia cresce l’antagonismo governo-realtà locali, per lo più alimentato da provocazioni di regioni e comuni della destra nei confronti di palazzo Chigi. Ma di là dalle schermaglie interpartitiche, incombe sull’esito positivo della pandemia il pasticciaccio brutto delle mascherine. Non si trovano e se si trovano sono quelle che non tutelano dal contagio interpersonale. Irreperibili le famose ffp3, le uniche a protezione totale, comunque vendute a costi incontrollati.
Che dire? Finisce a ‘tarallucci e vino’ il caso ‘Striscia la notizia’- Giovanna Botteri. La mitica giornalista assume la dimensione di pacificatrice, assolve la rubrica di Canale 5 e la Hunziker, voce narrate della gratuita ironia sull’aspetto fisico dell’inviata Rai, a cui si è associato il peggio dei social. Giovanna manda baci a e abbracci alla show girl svizzera e alla destinataria di questo magnifico assist non pare vero: un’arma di difesa così convincente è manna del cielo. L’ex di Eros Ramazzotti si appella alla ‘grande’ sfida di due donne contro un sistema malato, ipocrita e falso che si accanito contro di me per difenderti’. Giovanna, ci perdonerà se ci permettiamo di dissentire da questa furba fumata del calumet della pace. L’ironia personalizzata dalla Hunziker e purtroppo condivisa dagli idioti che antepongono l’aspetto da vamp alle qualità professionali di una giornalista, è specchio di distorte e diffuse valutazioni contestate con giusta indignazione. La dichiarazione di non belligeranza la stempera. L’esito? La prossima volta la gogna potrebbe toccare a una collega della Botteri in sovrappeso o con qualche ruga di troppo.
14 gennaio del 1976. In casa De Benedetti nastro azzurro (forse rosso in affinità elettiva con la sinistra) per il parto che ha dato felicemente alla luce il quotidiano la Repubblica, fondato da Eugenio Scalfari. Dopo 45 anni di fedele lettore il dubbio: ancora ogni giorno la copia del giornale che ha svoltato in direzione della linea editoriale dettata dalla Fiat-Chrysler-Automobiles, di un taglio liberale, fiancheggiatore del capitalismo più o meno illuminato? Basterà qualche giorno a capire ‘l’Aria che tira’ con la nuova proprietà? A ravvicinati posteri l’ardua sentenza, in attesa che si concluda la gestazione di ‘Domani’, nuova testata della sinistra progettata dai De Benedetti per compensare il divorzio da la Repubblica, che ha licenziato Verdelli, uomo di sinistra e lo ha sostituito con Montanari, liberal chic di provenienza ‘La Stampa’, proprietà della Fiat.
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