COVID – L’UNTORE CHE VIENE DA LONTANO

Una cosa è certa: finora nessuno ha spiegato perché il virus ha colpito e ammazzato in maniera almeno 10 volte maggiore della Cina alcune fra le principali province meno densamente popolate d’Italia e con presidi sanitari da eccellenza europea: Bergamo, Brescia, Cremona, Piacenza. La prima arma di difesa contro il virus è quella di evitare assembramenti e concentrazioni di persone: un principio tanto vero da essere diventato legge, in Italia così come negli altri Paesi colpiti. Come mai, allora, ad essere flagellate nel nostro Paese sono le province di Brescia, con appena 264 abitanti per Kmq, Bergamo (404), Piacenza (158), Cremona (466), densità risibili se confrontate all’autentico alveare di Napoli (8.137,5 abitanti stipati per chilometro quadrato, con percentuali doppie in alcuni quartieri periferici come Pianura), pari solo al formicaio Singapore (8.140)?

 

 

E come si spiega il divampare del contagio all’interno di strutture sanitarie come l’Ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo, uno fra i pochissimi presidi italiani ad essere dotato già da anni dell’ECMO, apparecchiatura avveniristica che ha strappato alla morte migliaia di vite umane, grazie alla presenza di personale specializzato di elevatissimo livello scientifico, in grado di dare lezioni ai colleghi del Nord Europa e di mezzo mondo?

 

 

Il reparto di terapia intensiva all’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo

 

A dirlo non siamo noi, ma il World’s Best Hospitals 2020, vale a dire la classifica dei migliori ospedali del mondo stilata annualmente dal periodico Newsweek. Come riportato solo il 4 marzo scorso dal quotidiano La Stampa, anche quest’anno i fiori all’occhiello della sanità italiana si trovano proprio in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Unico ospedale del centro è il Policlinico Gemelli di Roma. Per il resto, sul podio ecco al primo posto il Niguarda di Milano, al quarto l’Humanitas, sempre del capoluogo lombardo, al settimo appunto il Giovanni XIII di Bergamo. Possibile che simili, avanzatissime strutture possano essere diventate focolai di contagio?

 

 

Torna così l’ipotesi del possibile “untore” programmato, portatori sani (magari perché già guariti ma ancora potenzialmente infetti), deliberatamente calati in alcuni territori e non in altri, con ipotizzabili scopi mirati, ad esempio quello di colpire le aree maggiormente ricche dal punto di vista produttivo, per poi fare shopping a prezzi stracciati dei nostri gioielli industriali.

 

Si tratta allora di capire se, dal punto di vista biologico, potrebbe teoricamente esistere l’immissione mirata di portatori sani in un determinato territorio, tale da determinare la crescita esponenziale di contagiati e morti fra le categorie più vulnerabili. Abbiamo rivolto questa domanda al virologo Giulio Tarro. Il quale non conferma, ma non smentisce tale ipotesi.

 

«Certo, ormai si sono inventati di tutto: scambi con la Cina, la partita Atalanta-Valencia, non aver isolato le famigerate “zone rosse”, “è un puro caso”, “inquinamento a seguito della deforestazione”, “perché lì sono più ligi al lavoro rispetto al Sud”… mentre vengono trascurati fattori essenziali», risponde il professor Tarro, primario emerito dell’Azienda Ospedaliera “Cotugno” di Napoli.

 

 

«Quasi nessuno – continua il luminare – evidenzia come, soprattutto in Lombardia, la sovrastima della letalità del Coronavirus, unita alla indicazione governativa che impedisce al medico curante di recarsi a casa del proprio paziente affetto da Coronavirus, dovendo egli limitarsi a “consultarlo” telefonicamente prima di compilare un davvero scarno questionario da inoltrare al 118, ha fatto riversare innumerevoli malati, che avrebbero potuto usufruire di assistenza medica domiciliare, negli ospedali».

E proprio in quei nosocomi, spiega il professor Tarro, «un peso di rilievo lo hanno certamente avuto le infezioni ospedaliere, che già si portano via 50.000 persone all’anno in Italia». Inoltre, « per quanto riguarda la Lombardia, soprattutto le province di Brescia e di Bergamo, ci sarebbe da segnalare la recente effettuazione di straordinarie campagne di vaccinazioni, in particolare quella contro la meningite. Certo, è solo una mera ipotesi che, nell’attuale marasma dei servizi sanitari non può essere compiutamente verificata. Ma sarà il caso di ritornarci».

 

Su quella “sovrastima” del contagio cui faceva cenno all’inizio, il professor Tarro ci offre più specifici dettagli, che aiutano a fare ordine nel mare di numeri in cui affoghiamo ogni giorno.

«Ritengo semplicemente surreali le dichiarazioni in TV della Protezione Civile, basate non su una stima dei contagiati a livello nazionale, bensì sui risultati di tamponi eseguiti, praticamente senza nessun coordinamento nazionale dalle Regioni, e per lo più su persone considerate a rischio».

Giulio Tarro

Il risultato? «Ne esce fuori una colossale sottostima dei contagiati che, rapportata con il numero di non meglio precisati “deceduti”, prima che l’Istituto superiore di Sanità possa accertare su questi l’esatta causa della morte, finisce per dare al Coronavirus in Italia un tasso di letalità 28 volte superiore a quello che si registra in Germania. Ed è ridicolo, se non fosse tragico, che i media pretendano di rispondere a questo “mistero” favoleggiando risibili “spiegazioni” quali la ”particolare resistenza dei tedeschi” o l’“estrema solitudine degli anziani in Germania”. Senza mai, o quasi, considerare che i dati sull’epidemia Coronavirus in Germania vengono raccolti, e divulgati, con criteri molto più seri di quelli in uso qui da noi».

 

«Secondo lo studio di Foresti e Cancelli, non ancora pubblicato – spiega poi Tarro – gli italiani contagiati dal virus COVID-19, al 27 marzo, sarebbero 11 milioni e 200 mila, quindi l’unica cosa che mi sento di affermare è che l’ipotesi di milioni di contagiati in Italia, la stragrande maggioranza dei quali con sintomi lievi o inesistenti, era stata già avanzata da uno studio di ricercatori dell’Università di Oxford, che stimava tra il 60% e il 64% la popolazione italiana già contagiata da Coronavirus, e da quello dell’Imperial College, che stimava in 6 milioni le persone contagiate in Italia. Tra l’altro, l’andamento di passate epidemie influenzali e la particolare viralità del COVID-19 mi fanno ritenere verosimili queste ipotesi».

 


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