Bambini e donne, ecco perché sono meno colpiti dal virus

Spiegato anche perché il sistema immunitario degli extracomunitari immigrati in Italia si comporta come quello dei bambini. In sintesi, la patogenesi del COVID-19 e le risposte dell’organismo, anche con interferenze di altri agenti microbici.

 

 

Il professor Giulio Tarro

Secondo l’esperienza della prima SARS e della MERS, i bambini non erano esposti allo zibetto ed ai cammelli, elementi di trasmissione del contagio; in maniera analoga si è pensato che potesse avvenire con la SARS da COVID-19. Invero i bambini vengono infettati dal virus senza subire una malattia seria e rappresentano una importante sorgente di infezione. Il virus viene rinvenuto nei loro tamponi rettali.

Crescendo, con l’età molte cellule specifiche del sistema immune non sono più attive e pertanto l’organismo perde la sua capacità di rispondere efficacemente. Infatti si è provato sperimentalmente che i topini giovani rispondono al danno tissutale polmonare dell’infezione virale mediante le prostaglandine, mentre i topi adulti soccombono.

Il sistema immune giovanile e le sue efficienti cellule T Helper rispondono al COVID della SARS 2. I linfociti CD4 delle cellule Helper stimolano le cellule B a produrre anticorpi contro il virus e controllano l’infezione. In questo caso i linfociti Th2 sono in grado di controllare la risposta infiammatoria provocata dall’infezione virale, impedendo una esuberante e ritardata reazione come avviene nell’adulto. L’assetto ormonale diverso e le stesse proglandine favoriscono il soggetto femminile nei confronti del coronavirus responsabile dell’attuale pandemia.

Un altro discorso importante riguarda il recettore ACE2 cioè l’angiotensin-converting enzyme 2. Sia la prima SARS che l’attuale presentano la stessa via di entrata cellulare attraverso questo recettore per i coronavirus. Il recettore è particolarmente abbondante sulle cellule delle vie polmonari inferiori, la cui situazione spiega l’alta incidenza di bronchiti e di polmoniti legate alla severa infezione del COVID-19. Lo stesso recettore è rappresentato con dovizia sulla bocca e sulla lingua, facilitando l’entrata virale dell’organismo ospite. Nonostante la sua riduzione con l’età adulta, l’enzima dell’ACE2 è un importante regolatore della risposta immune, in particolare l’infiammazione protegge i topi contro il danno acuto del polmone scatenato dalle sepsi. Nel 2014 è stato dimostrato che l’enzima ACE2 protegge nei riguardi dell’influenza aviaria letale. Alcuni dei pazienti con migliore esito avevano alti livelli della proteina nel loro siero. Bloccando il gene per l’ACE2 si osservava un severo danno polmonare nei topi infettati con H5N1, mentre con il trattamento dei topi con ACE2 umano diminuiva il danno polmonare.

Una caduta dell’attività dell’ACE2 nel soggetto anziano è in parte responsabile per la diminuita capacità di ridurre la risposta infiammatoria con la vecchiaia. La riduzione dei recettori ACE2 negli adulti più anziani li mette in condizione di non essere capaci di fare fronte al COVID-19.

 

Complesso primario e vaccino antitubercolare

Dai dettagli delle cartelle cliniche degli attuali ricoverati, come peraltro da quelli dimessi guariti e, purtroppo, dalle vittime, non sembra che vi sia alcuno straniero, nel senso di un extracomunitario. Sembra che questi soggetti – che per alcuni comuni del nord sono addirittura la maggioranza – possono avere una normale sindrome similinfluenzale (da coronavirus) senza che si sviluppi alcuna criticità. Sembra che si comportino come i bambini italiani che non si ammalavano di polmonite perchè erano vaccinati contro la turbercolosi, vaccinazione che dura per un ventennio. Dopo il ventennio cominciano ad ammalarsi di tubercolosi come adesso di COVID-19. Gli extracomunitari sono tutti coperti da vaccino della tubercolosi che fa parte di un protocollo di copertura previsto dalle ASL.

 

I virus non hanno pregiudizi nè di sesso, nè di censo, nè di etnia.  Circa il 90% delle persone infette dal Mycobacterium tuberculosis ha un’infezione TBC asintomatica (chiamata anche LTBCI, da latent tuberculsis infection), e solamente il 10% di possibilità nella vita che un’infezione latente si sviluppi in TBC.

L’infezione tubercolare inizia quando i micobatteri raggiungono gli alveoli polmonari, dove attaccano e si replicano all’interno dei macrofagi alveolari. Il sito primario di infezione nei polmoni è chiamato focolaio di Ghon. I batteri vengono raccolti dalle cellule dendritiche, che non permettono la loro replicazione ma che possono trasportare i bacilli ai linfonodi mediastinici locali.  La lesione primitiva del mycrobacterium, accompagnata da adenopatia satellite, rappresenta il “complesso primario”, in cui i bacilli rimangono murati senza dare luogo a manifestazioni cliniche, ma possono riprendere la loro attività patologica e diffondersi nell’ organismo soprattutto in seguito ad un immunodeficit dell’individuo.  Durante le Guerre Mondiali erano le Truppe di colore ad essere falcidiate dalla Tubercolosi dei Bianchi e non viceversa. Ovviamente poteva anche essere che di ritorno un bianco defedato, senza cibo adeguato, stressato per la guerra potesse a sua volta contrarla dagli stranieri ma la norma era che i soldati “di colore” la contraevano dai Bianchi.

Nella Sierra dell’Equador, normalmente tutti ricevevano la vaccinazione per la TBV, solo negli ultimi anni si è discusso se renderla opzionale. Questo confermerebbe l’osservazione che nella Sierra casi di infezione manifesta di COVID-19 ce ne sono veramente pochi.

In Australia, sono stati eseguiti test su 4mila medici e infermieri con il vaccino antitubercolosi (www1.racgp.org.au  – The Royal Australian College of General Practitioners).

 

 

Interferenze virali

Ci sono più fattori che possono aver interagito insieme e che spiegano la situazione. Si presume che i contatti con il virus cinese siano stati maggiori al Centro-Nord che non al Centro-Sud. A ciò si aggiunga la concomitanza delle situazioni ambientali e climatologiche, diverse fra Nord e Sud dell’Italia, arrivando addirittura ad ipotizzare che nel corso delle settimane si sia venuto a formare un coronavirus padano autoctono, diverso rispetto a quello cinese. Altre possibilità emergono dalle situazioni di Bergamo e Brescia, soprattutto, dove si presume che la circolazione di altri virus possa aver facilitato l’azione del SARS-Cov-2. Il problema, però, è stato soprattutto a monte: e cioè il non avere sufficienti posti letto in terapia intensiva, occupati in massima parte già a causa dell’influenza annuale. Sembra che la vaccinazione antinfluenzale favorisca l’infezione da coronavirus, addirittura maggiore del 36% come comunicato da uno studio militare americano: https://www.disabledveterans.org/2020/03/11/flu-vaccine-increases-coronavirus-risk/.

D’altra parte, dal momento che vi è stata una recente emergente meningite, sono state vaccinate 34.000 persone tra Brescia e Bergamo. Vi è stata una pubblicazione di studiosi olandesi stampata da un giornale scientifico dell’Università di Cambridge in cui sia la malattia meningococcica che pneumociccica sono stati associati con l’attività dei virus influenzali e di quello respiratorio sinciziale.

 

 

Percentuale di mortalità del COVID-19

L’Istituto Superiore della Sanità ha affermato di recente che sono pochi i morti per il coronavirus ed invece la maggior parte per altre patologie (cardiocircolatorie, tumorali, diabete, eccetera).

Il tasso di mortalità associato al COVID-19 potrebbe essere considerevolmente inferiore all’1%, anziché del 2% riportato da alcuni gruppi, come dichiarato da Anthony Fauci del National Institute of Allergy and Infectious Diseases statunitense sulla base di un rapporto incentrato su 1099 pazienti con COVID-19, confermato in laboratorio, provenienti da 552 ospedali cinesi. Questi pazienti presentavano un ampio spettro di gravità della malattia: se si presume che il numero di casi asintomatici o minimamente sintomatici sia di diverse unità di grandezza superiore a quello dei casi riportati, il tasso di fatalità della malattia ricadrebbe molto al di sotto dell’1%.

Ciò suggerisce che le conseguenze cliniche complessive del COVD-19 potrebbero in definitiva essere simili a quelle di una grave influenza stagionale, che presenta un tasso di fatalità dello 0,1% circa, o di un’influenza pandemica come quella del 1957 o del 1968, piuttosto che a quelle della SARS o della MERS, caratterizzate rispettivamente da una fatalità del 10% e del 36%. Fonte: popsci.it (New Engl. J. Med. online 2020).

 

Professor Giulio Tarro

 

 

 


Scopri di più da La voce Delle Voci

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento