Verso il rinvio a giudizio di 25 persone e 15 aziende per la ricostruzione taroccata ad Amatrice e dintorni.
Lo ha deciso la procura di Ancora, e si attende ora la conferma da parte del gup.
Una trentina di pagine d’accusa che vanno dalla truffa all’abuso d’ufficio.
E pensare che la classe politica di casa (o cosa?) nostra aveva sbandierato ai quattro venti e strapromesso una rapida ed efficace azione, anche sulla scorta delle ormai tante ricostruzioni made in Italy, dopo terremoti, alluvioni & disgrazie varie.
Un’altra notizia. Pochi giorni fa è stato nominato un commissario per la ricostruzione, proprio sullo sgarrupato copione di altre story. Sul ponte di comando, ora, c’è Giovanni Legnini, avvocato, ex vicepresidente del Csm. Una scelta che peggiore non si sarebbe mai potuto. Appena arrivato, comunque, pare che lo stesso Legnini si sia messo le mani nei capelli, scorrendo velocemente fascicoli e faldoni.
Il bilancio, infatti, è da brividi: 40 mila persone ancora fuori casa, il 30 per cento delle macerie ‘pubbliche’ al loro posto, il 95 per cento di quelle ‘private’ lì dove stavano, mai toccate.
Ecco due chicche che danno il segno dello sfascio, ce ne fosse ancora bisogno. Ai lavori per la ricostruzione sono state ammesse imprese perfino prive del classico certificato antimafia (vuol comunque dir poco, perché anche imprese ben note di collusioni mafiose ne sono provviste) e molte altre non inserite nella White List della Prefettura.
Poi il bubbone dei lavori mal fatti, eseguiti cioè utilizzando materiali scadenti, e comunque non conformi a quelli previsti nei capitolati d’appalto. Casette che hanno avuto un sacco di problemi, dalla muffa all’umidità, ai pannelli crollati. E che continuano ad averli. “Nei giorni scorsi – raccontano alcuni abitanti della zona – quelli del CNS (il colosso delle coop emiliane, ndr) sono venuti nelle nostre casette per verificare l’umidità. E hanno addebitato la non conformità delle abitazioni al fatto che abbiamo messo lavatrice e lavastoviglie!”.
Passano i decenni e la situazione non cambia.
Lo stesso, identico copione – fra pesanti infiltrazioni mafiose e scadenti materiali utilizzati – per esempio in occasione della realizzazione di Monteruscello nel 1983, la cosiddetta Pozzuoli bis perché era stata prevista una new town per combattere il bradisisma di allora.
Fu un fiasco clamoroso: significò l’ingresso ufficiale della camorra nei subappalti e la creazione di una mostruosa cittadella già cadente a due anni dai primi mattoni.
La magistratura avviò una maxi inchiesta che vedeva coinvolte aziende nazionali al top, imprese di camorra e vip della politica campana e nazionale. Una vera Tangentopoli ante litteram.
Ma quei coraggiosi pm di allora (Luigi Gay, Franco Roberti e Paolo Mancuso) vennero stoppati clamorosamente dal capo della procura di Napoli, Alfredo Sant’Elia, e tutto venne addirittura archiviato in istruttoria.
E’ sempre la solita storia.
Nella foto le macerie di Amatrice
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