CARMELO PETRALIA / LA “SCENEGGIATA” AL PROCESSO PER DEPISTAGGIO SULLA STRAGE DI VIA D’AMELIO

“So di essermi comportato un po’ da mafioso con Scarantino. Me ne scuso”.

Sono le incredibili parole pronunciate da uno dei pm di punta che per primi hanno indagato sulla strage di via D’Amelio, Carmelo Petralia, all’udienza del processo in corso di svolgimento a Caltanissetta per il depistaggio consumato proprio nelle prime inchieste (e nei primi processi) per l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta.

In questa occasione Petralia verbalizza in qualità di teste, come del resto è successo circa un mese fa con un’altra deposizione clou, quella del pm che, con Petralia, per primo ha indagato sulla strage, Anna Maria Palma.

Anna Maria Palma. Nel montaggio di apertura Carmelo Petralia e, a destra, Vincenzo Scarantino. Sullo sfondo l’eccidio di Via D’Amelio

Sia Palma che Petralia, poi, sono sotto inchiesta a Messina per calunnia: in sostanza gli inquirenti vogliono oggi capire in che modo sono stati (Palma e Petralia, e per conto di chi) i registi del depistaggio, in particolare taroccando il pentito Vincenzo Scarantino, sulla base delle cui dichiarazioni farlocche, tutte costruite a tavolino, sono stati condannati nei primi gradi di giudizio 7 innocenti (mafiosi sì, ma del tutto estranei alla strage di via D’Amelio), i quali hanno scontato 16 anni di galera senza aver preso parte in alcun modo a quei crimini.

Al processo di Caltanissetta sono alla sbarra tre poliziotti che facevano parte del team investigativo coordinato dall’ex questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, che non può più rispondere di quel depistaggio perché da oltre quindici anni è passato a miglior vita.

 

A TUTTI SERVIZI

Ma vediamo alcuni tra i passaggi salienti della verbalizzazione griffata Petralia.

A proposito dei contatti tra i Servizi segreti e l’allora procuratore capo Giovanni Tinebra che indagava – sic – sulla strage di via D’Amelio, così racconta Petralia: “I contatti li aveva il procuratore capo Tinebra. Ma personalmente la presenza di appartenenti al Sisde per me ha un ricordo preciso: un pranzo all’Hotel San Michele dove c’era anche Bruno Contrada, un nome che mi evocava qualcosa di sinistro”.

Sul ruolo dei pm e la suddivisione dei compiti per le indagini sulla strage di via D’Amelio, osserva: “In principio per via D’Amelio vi fu una partecipazione da parte di tutti i magistrati della DDA alle attività di indagine. Poi si è proceduto ad una suddivisione dei compiti. Già nel 1992 arrivarono Ilda Boccassini e Roberto Sajeva. Su Capaci ci fu Giordano mentre la Boccassini credo, ma non voglio essere impreciso, che si sia occupata esclusivamente di via D’Amelio. La dottoressa Palma arrivò nel luglio 1994 e fu applicata a via D’Amelio quando vi era stata già l’udienza preliminare davanti al Gup per il Borsellino uno. Sul fronte della polizia giudiziaria ricordo che vi fu un’evoluzione. Un nostro interlocutore privilegiato, dal punto di vista investigativo, all’epoca era sicuramente la Squadra mobile di Palermo, guidata da Arnaldo La Barbera. Continuai a interlocuire con lui fino a quando fu nominato Questore a Palermo, non essendo più ufficiale di polizia giudiziaria”.

Ilda Boccassini

Nella sua testimonianza Petralia fa riferimento ai Servizi di mezzo mondo che all’epoca bazzicavano in Sicilia. Usa, per farsi capire, un complesso giro geografico di parole. “L’Italia, il mondo evoluto, è stato scorso in maniera incredibile e vi fu un concorso di contributi incredibile. C’erano dei momenti in cui io volevo scappare dalla stanza di Tinebra. Un giorno c’era l’FBI, non so se c’è stato il KGB, il Mossad”. Un mondo incredibile, per quel giglio candido di Petralia.

Rammentiamo a tutti i lettori che non siamo su Scherzi a parte, ma alla verbalizzazione di un pm di punta del team d’indagine sulla strage di via D’Amelio.

Povera Italia…

Ancora sui rapporti tra la Procura e il Sisde. “Non posso dire che Tinebra li avesse, ma il primo contatto era certamente il procuratore capo. Vi fu un contributo informativo da parte del Sisde. In che modo sia stato sostanziale e quanto sia durato non lo so”.

 

IL TAROCCAMENTO DI SCARANTINO

Sulla gestione di Vincenzo Scarantino, lo snodo fondamentale per il depistaggio, così Petralia ricostruisce.

“Io ho partecipato ai primi due interrogatori di Scarantino del 24 e 29 giugno 1994 al carcere di Pianosa con i colleghi della procura di Caltanissetta, tra cui Ilda Boccassini. Ho provato grande stupore, leggendo la sentenza del Borsellino quater, nell’apprendere di colloqui investigativi precedenti a questi interrogatori. Mi permetto di dire che in questa tranche di indagine la mia partecipazione fu limitatissima, e non per esimermi da errori eventuali o peggio ancora, ma le redini delle indagini erano tutte della dottoressa Boccassini che all’epoca aveva l’assoluta fiducia del procuratore capo ed aveva un rapporto privilegiato con il dottor La Barbera”.

A proposito, poi, delle note di fuoco scritte qualche mese dopo dalla stessa Boccassini (e anche da Sajeva) sulla non attendibilità di Scarantino, mettendo quindi in guardia i colleghi circa ogni affidabilità, così osserva Petralia. “Della nota della collega Boccassini ho saputo dopo. Se avessi avuto contezza delle parole della collega, che sottolineava la necessità di interrogare urgentemente Mario Santo Di Matteo, Gioacchino La Barbera e Salvatore Cangemi, i tre collaboratori tirati in ballo da Scarantino, precisando che si doveva far rispettare le norme del codice, sarei saltato in aria, perché io non ho mai effettuato interrogatori al di fuori della legge”.

A saltare in aria era invece stato Paolo Borsellino con la sua scorta!

Bruno Contrada

Prosegue la sceneggiata firmata da Petralia davanti ai giudici del tribunale di Caltanissetta. Eccoci all’episodio della ritrattazione di Scarantino via etere.

“Mi arrivò la notizia che aveva ritrattato quanto ci aveva raccontato sulla strage di via D’Amelio nel corso di una trasmissione televisiva (andata in onda su Fininvest il 26 luglio 1995, ndr), e decisi di andarlo a interrogare subito perché se ritrattazione doveva essere, questa si sarebbe dovuta fare in udienza e non in tv”.

Accipicchia!

Ed eccoci ad un altro punto bollente, “la preparazione”, il taroccamento, l’impupazzamento del teste cardine, la confezione a tavolino. Così il ‘pacco’ viene del tutto minimizzato da Petralia.

I giudici nisseni, nel ricostruire quella vicenda, partono dalle stesse parole del pm che così a suo tempo si rivolgeva a Scarantino: “Scarantino, ci dobbiamo tenere molto forti, perché siamo alla vigilia della deposizione”.

 

COME TI PREPARO IL COLLABORATORE CHIAVE

Ecco cosa risponde il principale inquirente di allora, con Palma: “Ci sarà tutto quanto lo staff delle persone che lei conosce, potrà parlare di tutti i suoi problemi, così li affrontiamo in modo completo e vediamo di dargli soluzione. Contemporaneamente iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento. Non volevo prepararlo ma solo dargli dei chiarimenti. Spiegavo a Scarantino che iniziava la fase prodromica della deposizione e Scarantino era in una fase di stress”.

Ora comincia la telenovela in chiave psicologica.

Petralia precisa: “Nel caso di specie prego di contestualizzare, stavamo parlando del primo processo della strage di via D’Amelio. E il soggetto era problematico”.

Paolo Borsellino

Più in dettaglio: “Il concetto di preparazione del collaboratore, anche se è stato equivocato a livello mediatico, è quello di rappresentargli come deve comportarsi, che non deve andare fuori dalle righe, che deve evitare di replicare ad eventuali provocazioni: quel codice di regolamentazione che ogni collaboratore di giustizia deve avere di fronte ad una Corte d’Assise composta anche da giudici popolari. Ricordo che si era alla vigilia dell’avvio del primo processo per la strage di via D’Amelio”.

Da una precisazione all’altra, eccoci alla chicca finale. Imperdibile.

“E’ un po’ un discorso da mafioso che ho fatto: cose di cui non parlare per telefono, me ne scuso”.

Avete sentito? Un pm di peso, come Petralia, chiede scusa davanti alle toghe del tribunale di Caltanissetta per il comportamento che ha tenuto nella gestione del pentito Scarantino? Ai confini della realtà.

Ma ai cittadini, ai familiari di Borsellino e a tutti coloro che hanno un minimo a cuore i destini delle nostre sempre più traballanti istituzioni, interessa sapere ben altro: cosa hanno effettivamente combinato non solo i poliziotti del team La Barbera, ma soprattutto quei magistrati – come Palma e Petralia – che all’epoca dirigevano l’orchestra? Nonostante tutti gli avvisi lanciati – inutilmente – da Boccassini e da Sajeva?

Saranno in grado, i magistrati nisseni e gli inquirenti messinesi, finalmente, di far luce su quel depistaggio e quelle vergogne di Stato?

Non è finita. Perché la verbalizzazione di Petralia riserva ancora qualche pennellata finale. Sempre a proposito di quel più che anomalo comportamento nella gestione del pentito Scarantino, ecco le sue parole: “Riletto oggi (quel discorso, ndr) chissà quale impressione può dare. L’attività che veniva svolta, anche in casi meno problematici, è quella di mettere i collaboratori in una condizione tale da poter essere efficacemente assunti in sede dibattimentale. Il soggetto Scarantino – ripete Petralia per l’ennesima volta – era problematico: nel senso che sicuramente tra le tante criticità che hanno i collaboratori, lui era uno di quelli che ne aveva di più”.

 

AMMAESTRAMENTI & TELEFONATE

Uno Special One, insomma, Scarantino per “l’allenatore” e “preparatore” Carmine Petralia, in perfetta collaborazione con la collega Anna Maria Palma.

E prosegue ancora, nella sua verbalizzazione fiume, con espressioni che sfiorano il ridicolo e incarnano una autentica sceneggiata alla napoletana: “Per tutto questo bisognava prepararlo ad una dignitosa deposizione dei fatti. Si tendeva a dargli degli ammaestramenti”.

Adesso siamo finiti in un circo con tanto di tigri?

Arnaldo La Barbera

Continua la toga nella sua deposizione. “Si tendeva a dargli degli ammaestramenti non nel senso distorto che è stato usato mediaticamente, che non erano altro che quel tipo di indicazioni che gli consentissero di superare lo stress nell’incombenza dell’inizio dell’esame dibattimentale”.

Ancora. A quanto pare Scarantino e i gli inquirenti si sentivano di continuo al telefono. Come degli amiconi. Loro – raccontano gli stessi pm – lo facevano per rassicurarlo, farlo sentire al sicuro, a suo agio: proprio come un bambolotto che deve andare il giorno dopo ad esibirsi nella recita a scuola.

Così racconta, su quelle telefonate, l’ineffabile Petralia: “Non escludo che quei numeri telefonici possano essere stati dati singolarmente da ogni magistrato o comunque con il consenso degli stessi”.

Vi immaginate processi dove testi, collaboratori e magistrati si scambiano i telefonini e si sentono il giorno prima delle udienze?

E Petralia precisa: “Io ricordo che al tempo accadeva che alcuni collaboratori si mettevano in contatto”.

Ma in quale Paese crede di vivere il signor Petralia?

Certo, nella repubblica delle banane marce.

Capace di tollerare tali comportamenti indecenti e di chiudere gli occhi su un depistaggio che più criminale e devastante non si può.


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