Si chiama giornalismo d’inchiesta l’informazione che coraggiosamente indaga senza condizionamenti della politica, del business, di potentati dell’economia mondiale o locale. Il poco residuale di un caposaldo della comunicazione, quasi del tutto oscurato da chi detiene il controllo dei media, subisce la repressione con mezzi quasi sempre violenti. L’Italia non fa eccezione. Il nostro panorama dell’informazione può contare su mini isole di libertà su cui, per di più, si accaniscono gli interventi di repressione. Le armi per contrastare coraggiose inchieste sono preventive, ovvero bloccate sul nascere, o successive. Partiti, politici, multinazionali, enti e istituzioni indagate, danno mandato ai loro legali di querelare gli autori delle inchieste e le testate che le hanno ospitate. Chiedono risarcimenti milionari. Pur consapevoli dell’inconsistenza delle accuse, che si concludono quasi sempre con l’assoluzione dei querelati, ricavano dalla disputa giudiziaria l’obiettivo di costringere la controparte a sostenere l’onere delle spese legali dell’iter processuale. Resistere a questa offensiva è parzialmente possibile a giornalisti e testate di grandi gruppi editoriali, che infatti hanno in bilancio la voce ‘risorse per la difesa legale’. Per tutti gli altri non resta che rinunciare al giornalismo d’inchiesta. Chi ha respinto questa menomazione ha pagato le conseguenze. In casi di sentenze di dubbia imparzialità, favorevoli ai querelanti, sono stati costretti al silenzio, con il sequestro della testata e non di rado con provvedimenti di fallimento.
“Report”, coraggiosa rubrica di giornalismo d’inchiesta, efficientissimo e collaudato strumento di denuncia, supportato da documenti e testimonianze a prova di smentita, ha trasmesso la prima puntata dello spaccato giornalistico sul caso della trattativa Lega-Russia che avrebbe portato al finanziamento di 65 milioni di euro alle mire sovraniste di Salvini, ma anche sulla rete di finanziamenti del cattolicesimo ultra conservatore alla Lega, per sostenere il progetto di un’Europa preda della destra. L’inchiesta, esplosiva, si dovrebbe concludere con una seconda puntata. Il condizionale si giustifica per l’attacco al primo round di ‘Moscopoli’ interno a viale Mazzini, esondato nella contestazione della destra. Giampaolo Rossi, e Igor De Biasio Lega e Fratelli d’Italia), consiglieri di amministrazione della Rai, hanno sferrato un violento attacco contro il programma, motivato con il presunto mancato rispetto della par condicio in vista dell’imminente voto in Umbria. Salini, amministratore delegato ha difeso la trasmissione: “Il Pd si è schierato compatto in difesa di Ranucci e dei giornalisti di ‘Report’”. Zingaretti: “Nel servizio pubblico si difenda la libertà di espressione. Se qualcuno esprime opinioni diverse o fornisce versioni alternative ha il diritto di farlo. Censurare non può farlo nessuno”. Ranucci: “In questa azienda sono sempre stato libero di fare correttamente il mio lavoro, continuerò a essere libero e non ho motivo di pensare il contrario”.
Succede che l’inchiesta di Report sui collegamenti tra vertici di dirigenza di via Bellerio e Mosca ha colpito nel segno e ha riacceso la polemica sul finanziamento russo alla Lega di Matteo Salvini. De Biasio (indicato dalla Lega) e o Rossi ( Fratelli di Italia), hanno evocato le disposizioni della Commissione di vigilanza parlamentare sull’applicazione della par condicio in occasione delle elezioni regionali, sostenendo che la normativa nazionale debba essere estesa al caso dell’Umbria. Secondo Rossi, la puntata “…è apertamente finalizzata al condizionamento del dibattito politico e questo il Servizio Pubblico non può farlo”. L’ex presidente di Rainet ed editorialista del Tempo si sarebbe lamentato della tempistica, sottolineando come Sarebbe stato ben diverso se la puntata fosse andata in onda una settimana del voto. In questo secondo caso la scelta di Report, secondo Rossi, sarebbe rientrata nell’ambito della “legittima libertà editoriale” del programma.
La posizione non è sostenibile. Le disposizioni approvate dalla Commissione di Vigilanza Rai per la regolamentazione del servizio pubblico in occasione delle regionali umbre “si applicano nell’ambito territoriale interessato dalla consultazione”. In occasione delle competizioni elettorali i mezzi d’informazione devono garantire la parità di trattamento e l’imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici sui temi della campagna elettorale. Il presunto finanziamento da 65 milioni al Carroccio tramite compravendita di petrolio russo non rientra tra le tematiche in ballo nelle regionali di domenica e nell’inchiesta non è citato nessuno degli esponenti politici candidati in Umbria. I rilievi dei due consiglieri di destra appaiono perciò un tentativo di evitare che lunedì prossimo ‘Report’ trasmetta la seconda puntata dell’inchiesta sgradita al Carroccio.
Report doveva sentire la versione di Salvini, come chiede Huffington Post? Risponde Ranucci, responsabile del programma: “Per ben tre volte abbiamo contattato invano Salvini, invitandolo a dire la sua sul materiale che avevamo raccolto. Tentativo andato a vuoto, come dimostra il filmato. Giorgio Mottola, autore dell’inchiesta, chiede un’intervista all’ex vicepremier, che gliela promette, ma non fissa mai l’appuntamento. Ancora una volta Salvini sceglie di tacere. Fratoianni (Leu): “In Italia può succedere che dirigenti leghisti scappino dalle domande dei giornalisti, ultimo caso l’inchiesta di Report. Poi nelle stanze del potere provano a vendicarsi scatenando i propri pretoriani, come hanno fatto oggi al cda della Rai. Invece di spiegare all’opinione pubblica i loro atti e il perché delle loro frequentazioni imbarazzanti a livello internazionale, si inventano pretesti per cercare di mettere la museruola ai giornalisti con la schiena diritta. Questa è la destra italiana” .
In tema di destra. Sul parabrezza di un camion che lavora per il comune di Imperia, in bella evidenza una foto di Mussolini. La sinistra denuncia l’episodio come apologia del fascismo e, si può aggiungere, come esempio di mancata attenzione istituzionale per sempre più diffusi episodi di impunità di chi la propaga.
Trump revoca le sanzioni nei confronti della Turchia, Putin va a braccetto con Erdogan, l’aggressione turca al popolo curdo, di là dalle centinaia di morti e dei trecentomila sfollati, e oltre cento terroristi sono liberi di farenuovi attentati. L’Europa sta a guardare.
Non solo uomini di governo e leader politici italiani ignorano l’abc della geografia. Trump non è da meno. Nel corso di un comizio a Pittsburgh ha detto che la sua amministrazione sta costruendo un muro anche in Colorado. Sui social si è scatenata l’ironia dei suoi detrattori. Il Colorado non confina con il Messico ma con il New Mexico. Il governatore del Colorado commenta “…è un bene che noi offriamo l’asilo a tempo pieno e gratuito ai nostri bambini, così possono imparare le basi della geografia”.
Trump e poi Trump. Mentre tuto il mondo prova a mobilitarsi contro i cambiamenti climatici, la sua amministrazione prepara il ritiro dall’accordo di Parigi . “Ho ritirato gli Usa dal terribile accordo sul clima, un totale disastro per il nostro Paese”. Lo ha dichiarato il tycoon durante una conferenza sul gas e merita la desertificazione degli Stati Uniti, a meno che gli americani non lo boccino alle prossime elezioni.
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