BORSELLINO / UN PEZZO DI VERITA’ SUL TAROCCAMENTO DI SCARANTINO

Dopo anni e anni di depistaggi, crolla un altro pezzo nel muro di omertà, omissioni & complicità sulla strage di via D’Amelio.

A Caltanissetta testimonia uno dei poliziotti del pool all’epoca guidato da Arnaldo La Barbera, ossia Giampiero Valenti, sul tema bollente del taroccamento di Vincenzo Scarantino, la cui falsa testimonianza è stata la chiave per i depistaggi.

Ecco alcune dichiarazioni di Valenti: “Mi ordinarono di interrompere l’intercettazione del pentito Vincenzo Scarantino perché doveva parlare al telefono con i magistrati”.

“Fu il collega Di Ganci a dirmi che dovevamo staccare l’apparecchio. Quando poi Scarantino smise di parlare con i magistrati mi fece riavviare”.

“Per tre anni sono stato sotto accusa, Scarantino aveva fatto il mio nome, ma il Giampiero di cui parlava era un altro collega che si spacciava per me”.

Alla domanda dei legali delle parti civili sul motivo per il quale non fece una relazione di servizio su quanto accaduto, così dice Valenti: “All’epoca, non mi sembrò una cosa illecita”.

Ad un certo punto della verbalizzazione il poliziotto scoppia in lacrime.

Il processo vede alla sbarra tre poliziotti del pool allora capeggiato da La Barbera, il quale, dal canto suo, non può più ribattere alle accuse, essendo deceduto quindici anni fa.

Vincenzo Scarantino. Sopra, l’aula del processo.

Al centro di tutto c’è il taroccamento di Scarantino, in base alla cui dichiarazioni inventate di sana pianta sono stati condannati degli innocenti, che hanno scontato 16 anni di galera (proprio come è successo per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin). Non solo galera per chi c’entrava come il cavolo a merenda, ma anche un autentico depistaggio che ha consentito, invece, a killer e mandanti di rimanere per tutti questi anni sempre “a volto coperto”.

A Messina sono indagati i due sostituti procuratori che all’epoca erano a capo del pool sulla strage che ha visto il massacro di Paolo Borsellino e della sua scorta: si tratta di Anna Maria Palma e Carmelo Petralia; ai quali in un secondo momento si aggiunse Nino Di Matteo, allora giovane pm, poi icona antimafia e ora tra i ranghi del Csm.

In una verbalizzazione di un paio d’anni fa, è stato lo stesso Scarantino a descrivere il quadro delle responsabilità: fu la dottoressa Palma – disse – a organizzare la macchina del mio pentimento.

Fornendo una serie di dettagli che descrivevano in modo minuzioso vari momenti del suo “taroccamento”. Come, ad esempio, i poliziotti del team che lo addestravano giorno per giorno, gli insegnavano la “parte” da recitare in aula, e come perfino nel corso del dibattimento – qualora avesse avuto qualche dubbio o dimenticanza – poteva chiedere di andare in bagno, dove trovava un poliziotto pronto a ricordargli la “battuta” giusta. Insomma, un pentito costruito su misura per raccontare il falso, accusare degli innocenti, sviare le indagini e prendere a calci la memoria di Borsellino e degli uomini della scorta.

E resta in piedi un altro mistero sul quale non è mai stata fatta luce. L’agenda rossa di Borsellino, sparita nel nulla. A nulla è valso, anche in questo caso, un processo, che ha visto l’assoluzione di un colonnello dei carabinieri. Sul giallo ha fornito alcuni particolari scottanti la giornalista Roberta Ruscica, autrice di un pregevole volume titolato “I Boss di Stato”. Ecco le sue parole: “A Palermo per un certo periodo ho frequentato la dottoressa Palma. La quale mi raccontò di aver avuto tra le mani la famosa agenda rossa e di averla poi consegnata”.

A chi? Dove è mai finita l’agenda nella quale di certo sono contenuti elementi fondamentali, forse anche la chiave per le stragi di Capaci e via D’Amelio?

Intanto, su Atlantide (La 7) il giornalista-giallista Andrea Purgatori fa lo scoop del secolo: “Per via D’Amelio c’è stato un depistaggio”. Meglio tardi che mai.


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