GIALLO ALPI / NO ALL’ARCHIVIAZIONE, IL GIP ORDINA INDAGINI “VERE”

Giallo di Ilaria Alpi Miran Hrovatin, si ricomincia da capo, ad oltre 25 anni dalla esecuzione di Mogadiscio.

Scampato, per ora, il pericolo che la procura di Roma decreti l’archiviazione tombale, come aveva richiesto – per ben due volte – il pm Elisabetta Ceniccola, spalleggiata dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone, il quale aveva controfirmato quella indecente richiesta.

Il Tribunale di Roma. Nel montaggio di apertura Ilaria Alpi e, sullo sfondo, Mauro Rostagno

Il gip Andrea Fanelli ora appallotola la richiesta, rispedendola al mittente e dando al pm 6 mesi di tempo per verificare e battere le piste indicate in un memoriale di 20 pagine e articolato in 21 punti caldi.

Un periodo prorogabile di altri 6 mesi per fare chiarezza sui tanti buchi neri che contrassegnano la storia, una delle più vergognose della (non) giustizia di casa nostra.

Sono infatti dure come i macigni le parole usate dal gip Fanelli nel respingere la richiesta di archiviazione e ordinare nuove indagini.

Ecco alcuni passaggi salienti.

 

IL J’ACCUSE DEL GIP FANELLI

“Appare opportuno sottolineare che – in una vicenda segnata da tanti lati oscuri e financo da errori giudiziari – l’approfondimento, condotto senza riserve, degli ulteriori temi di indagine appare essenziale al fine di cercare di dare una risposta alla domanda di giustizia attesa da ormai 25 anni dai familiari delle persone offese e da tutti i cittadini interessati a conoscere la verità”.

E aggiunge, con ancora maggior durezza: “L’attività di indagine deve essere completa, esauriente ed approfondita, tanto più in relazione a vicende come questa, assai complesse e costellate di episodi quantomeno singolari se non addirittura dolosi, che hanno reso assi più arduo l’accertamento della verità dei fatti”.

Giuseppe Pititto

Un vero ceffone assestato sulle facce dei tanti magistrati che in questo quarto di secolo si sono alternati nelle “non inchieste”, o in inchieste taroccate, finendo nel vortice dei depistaggi.

Tranne il primo, Giuseppe Pititto, che aveva subito fiutato la pista giusta, a base di traffici di armi e rifiuti super tossici. E proprio per questo Pititto era “ambientalmente” inadatto, cioè scomodo per quei poteri forti che volevano a tutti i costi insabbiare le verità sul duplice delitto. Dopo circa un anno e mezzo a Pititto venne sottratta l’inchiesta per essere affidata, dall’allora procuratore capo di Roma, Salvatore Vecchione, al sostituto Franco Ionta.E da qui parte la catena di false piste, vere piste mai indagate, fino ai più clamorosi depistaggi. Altra mosca bianca nel tormentato iter giudiziario, il gip Emanuele Cersosimo, che in questi anni non ha voluto archiviare.

Depistaggi, dicevamo, come ha certificato, nero su bianco, la sentenza pronunciata dal tribunale di Perugia quasi tre anni fa. Una sentenza “storica”, l’unica verità giudiziaria fino ad oggi emersa e che dovrà rappresentare il perno da cui partire per questi ulteriori 6-12 mesi di indagini, come previsto appunto dal gip Fanelli.

 

LA SENTENZA BASE DI PERUGIA

Quella sentenza ha scagionato da ogni accusa di duplice omicidio il somalo Omar Hashi Assan, condannato a 26 anni di galera, di cui ben 16 scontati da innocente. C’è voluta solo la tenacia dell’inviata di “Chi l’havisto”, Chiara Cazzaniga, per rintracciare a Londra il super teste Ahmed Ali Rage, alias “Gelle”,che ha raccontato per filo e per segno l’incredibile depistaggio. Era stato obbligato a testimoniare il falso, ad accusare Assan senza neanche conoscerlo, ad inventare tutto di sana pianta. Affinchè un mostro potesse essere sbattuto in prima pagina, processato e condannato.

Gelle verbalizzò davanti al pm, ma poi non confermò quelle accuse in aula, per il dibattimento. Perché era diventato uccel di bosco e, dopo aver soggiornato sotto protezione e scorta di polizia a Roma, ebbe tutta la tranquillità per fuggire prima in Germania e poi in Inghilterra.

Il Tribunale di Perugia

Solo il processo di Perugia ha permesso di alzare il velo su quel clamoroso depistaggio di Stato. In quella sentenza sono contenuti nomi, cognomi, indirizzi, modalità e connection, dai quali ora sarà necessario ripartire per una finalmente vera, autentica, effettiva indagine, come chiede il gip Fanelli.

Ma già per due volte il pm Ceniccola – con l’avallo, come detto, dell’ex numero uno Pignatone, appena veleggiato tra le ovattate stanze vaticane a presiedere il tribunale – ha totalmente ignorato quanto aveva già una volta chiesto Fanelli e per tante volte hanno domandato con vigore i legali della famiglia Alpi, gli avvocati Domenico D’Amati, Giovanni D’Amati e Carlo Palermo.

Eccoci quindi al possibile prossimo scenario.

In primo luogo, come detto, dovrà essere valutata, esaminata e utilizzata in tutti i suoi spunti e piste possibili la sentenza di Perugia. Non si tratta di voci, di “si dice”, di commenti: ma di una sentenza che fornisce di per se stessa un fondamentale strumento dal quale riavviare le indagini.

 

I COLLEGAMENTI CON L’OMICIDIO ROSTAGNO

Da una sentenza all’altra, eccoci al giallo di Mario Rostagno, il giornalista torinese trapiantato in Sicilia e ucciso dalla mafia nel 1988.

Il gip Fanelli, infatti, chiede che venga acquisita agli atti la sentenza di primo grado del processo Rostagno. Un processo – va rammentato – risolutivo solo molto parzialmente: perché è stato individuato appena uno dei mandanti, il capomafia di Trapani Vincenzo Virga, mentre è stato assolto uno dei presunti killer, Vito Mazzara. E comunque restano nell’ombra – a volto sempre ben coperto – i mandanti eccellenti di quel delitto.

Carlo Palermo

C’è un collegamento profondo tra l’omicidio Rostagno e quelli di Ilaria e Miran. Tutti e tre indagavano sui traffici di armi e rifiuti, nonché sui fiumi di miliardi allora canalizzati verso la cooperazione taroccata. Chi voluto la morte di Mauro, con ogni probabilità ha organizzato l’agguato di Mogadiscio. Saranno i pm ora incaricati a Roma a verificare tutti gli aspetti – tanti – mai chiariti.

Da rammentare che nella sentenza di primo grado per il delitto Rostagno pronunciata dal giudice Angelo Pellino, il nome di Ilaria Alpi viene citato per ben 137 volte. Così descrive Pellino l’agguato di Mogadiscio: una vicenda “in qualche modo incrociata dalla pista del traffico d’armi in cui si sarebbe imbattuto Rostagno che aveva come destinazione la Somalia, ed era mascherato da aiuti umanitari diretti verso il Corno d’Africa”.

Sui legami con la vicenda di Mauro Rostagno – ammazzato a Trapani – può a molto servire l’esperienza maturata dall’allora magistrato Carlo Palermo, che proprio nella città siciliana fu al centro di un attentato nel quale persero la vita una madre (Barbara Rizzo) e i due fratellini, Giuseppe Salvatore Asta. Per questo Palermo venne trasferito a Trento, avamposto dal quale continuò ad indagare sulle connection e sui traffici mafiosi anche al di fuori della Sicilia, in combutta coi poteri forti e anche con vertici politici di peso (come l’allora Psi).

“E’ uno dei pochi, Carlo Palermo – commentano in ambienti forensi – che può avere una visione d’insieme, e collegare tutte le tessere del mosaico, che parte dell’omicidio Rostagno”.

 

UN DOSSIER IN VIAGGIO PER TRE ANNI

Una memoria di venti pagine, quella redatta dal gip Fanelli e che i pm dovranno seguire fedelmente nei 21 punti in cui è articolata. 21 buchi neri sui quali far finalmente luce per arrivare ad una verità processuale, dopo 25 anni di sciagurati misteri.

Tra gli altri, anche i misteri che riguardano lo stra-ritardato arrivo di un importante carteggio dalla procura di Firenze.

Ricostruiamo l’incredibile vicenda. Circa tre anni fa dalla procura gigliata parte un plico diretto a quella romana. Contiene carte e documenti relativi a delle intercettazioni telefoniche effettuate nel corso di un’altra inchiesta. Alcuni somali parlano al telefono anche dell’omicidio di Ilaria e Miran, fornendo dei dettagli significativi.

La Procura di Firenze

Il plico parte da Firenze ma arriva solo dopo tre anni a Roma. Ha viaggiato con il piccione viaggiatore? Un piccione a quanto pare molto vecchio e stanco.

Mai una spiegazione è stata fornita per quel ritardo. Sbrigativamente il pm Ceniccola ha rubricato il tutto come un disguido. Oltre tutto – ha aggiunto Ceniccola nella sua seconda richiesta di archiviazione – in quelle carte non c’era niente di significativo. In base a quale elemento lo poteva mai sostenere? Ora Fanelli ci vuole vedere chiaro.

Su questo come su tanti altri episodi che etichetta come “singolari”, “se non addirittura dolosi” oppure frutto di clamorosi “errori giudiziari”.

Pagheranno mai qualche conseguenza tutti gli inquirenti che non hanno fatto il loro dovere oppure addirittura hanno insabbiato o sviato?

Riuscirà a venir fuori, in questi mesi, quel Depistaggio di Stato che infanga le memorie di Ilaria e Miran e calpesta i diritti di tutti a conoscere quella tragica Verità?

 

 

P.S. Pensate che i grandi media di casa nostra abbiano dato il rilevo che merita ad una notiziona del genere? Il silenzio più totale. Un muro di gomma impenetrabile. Corsera oscura del tutto, Repubblica dedica una “breve”.

E’ la stampa, bellezze.

 

 


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