E’ in corso a Roma il processo sulle disastrate sorti del quotidiano fondato (purtroppo) da Antonio Gramsci, l’Unità, che negli ultimi vent’anni è stato al centro di vicende che più tribolate non si può.
Andiamo subito alle news. Il pm capitolino Stefano Fava – pesantemente coinvolto nel ciclone Palamara – si è praticamente lavato le mani per quanto riguarda il suo dovere d’ufficio di raccogliere una serie di documenti probatori, delegando il suo compito ad una delle parti coinvolte nel processo.
Una decisione non poco anomala. Segno di totale apatia dopo le brutte storie che lo coinvolgono e investono la procura di Roma? O di cosa altro?
UN RESOCONTO MINUTO PER MINUTO
Riepiloghiamo i fatti. E partiamo proprio dalla coda avvelenata.
Così scrive il sito Giustiziami, fondato e animato da uno dei più esperti cronisti di ‘giudiziaria’, Frank Cimini, per anni corrispondente de “il Mattino” da Milano. “’Si rigettano le richieste istruttorie potendo provvedere la difesa all’acquisizione documentale e all’assunzione delle informazioni’. Così il pm di Roma Stefano Fava ha risposto alle richieste di approfondimento, tra cui quella sul ruolo del PD, presentate dai legali di 3 imputati nel procedimento sul crac della società NIE (Nuova Iniziativa Editoriale) che ha pubblicato il quotidiano l’Unità dal 2008 al 2015. A raccontarlo, in vista dell’udienza preliminare che si aprirà a settembre, sono gli avvocati Pasquale Pantano e Davide Contini che assistono l’imprenditore Maurizio Mian e le consigliere d’amministrazione della NIE Olena Pryschchepko e Carla Maria Riccitelli. L’accusa per loro è di bancarotta fraudolenta”.
Ma seguiamo quanto scrive l’interessante e documentato sito di controinformazione giudiziaria. “Dopo che il pm ha notificato nell’aprile dell’anno scorso il 415 bis (l’atto che sigla la chiusura delle indagini, ndr) -affermano i legali – ci siamo accorti che nella consulenza tecnica da lui disposta in precedenza mancava tutta la parte relativa all’investigazione sul ruolo del PD e i documenti necessari per stabilire la responsabilità nella gestione. Pantano e Contini hanno quindi presentato un’istanza al pm chiedendo di far luce, tra le altre cose, sull’esistenza di un patto parasociale, ‘in forza del quale la concreta gestione dell’affare sociale di NIE era concentrata nelle esclusive mani del Partito Democratico per il tramite di Eventi Italia srl, circostanza confermata nelle interviste agli atti di Matteo Fago, Antonio Misiani e Matteo Orfini (rispettivamente socio della NIE e indagato; tesoriere del Pd; parlamentare dello stesso partito). Inoltre, hanno domandato al pm di sentire come testimoni Misiani che, secondo un altro testimone avrebbe firmato i patti, Orfini e Lino Paganelli, amministratore unico di Eventi Italia srl”.
‘O SISTEMA GIUSTIZIA
Continua la lunga e minuziosa disamina effettata da Manuela D’Alessandro per il sito Giustiziami. “A questa istanza il pm Fava ha risposto con poche righe a penna, senza entrare nel merito delle singole richieste, invitando la difesa a provvedere da sola all’acquisizione documentale e all’assunzione delle informazioni. ‘In sostanza il pm – replicano i legali – vuole che indaghiamo noi sul PD quando spetterebbe a lui”.
Ai confini della realtà.
Nel frattempo il pm Fava è finito nel mirino degli inquirenti, indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio nell’ambito dell’indagine perugina che coinvolge l’ex presidente dell’ANM Luca Palamara, sospeso per le vicende targate CSM e legato, stando alle intercettazioni, al PD ed ex ministro nell’esecutivo Renzi, ossia Luca Lotti.
Prosegue la ricostruzione del sito Giustiziatemi: “A puntare il dito contro il PD è anche Mian in una memoria agli atti del procedimento e finora inedita. ‘Ho registrato una perdita di quasi 14 milioni di euro – scrive -frutto di una gestione a dir poco arrogante da parte del PD che usava la NIE per assecondare i propri principi politici”. Di quali principi – ormai morte le ideologie – non si sa ovviamente nulla.
Continua il reportage: “Attraverso la sua società, la Gunther Reform Holding (ora in liquidazione) e ‘su sollecitazione degli apicali del PD’ che possedeva l’1 per cento della società, Mian aveva finanziato la NIE con 14 milioni e, in cambio, il partito gli aveva prestato una garanzia con una fedeiussione. ‘Con evidente senno del poi ritengo di aver fatto l’errore di fidarmi del partito – sostiene Mian – perché il PD ha mancato di onorare le garanzie prestate, facendomi perdere una somma rilevante che io non avrei mai impegnato se il PD non mi avesse raggirato”.
Continua il reportage firmato da Manuela D’Alessandro: “Secondo il pm romano (Fava, ndr), i 12 indagati, tra i quali anche l’ex imprenditore ed ex governatore sardo del PD Renato Soru nelle vesti di socio della NIE, avrebbero ‘cagionato o partecipato a cagionare il dissesto della società aggravandone la crisi finanziaria e dissipandone il patrimonio societario, non riducendo i costi fissi relativi alla stampa del quotidiano, pur in presenza di una contrazione delle vendite della testata e di un decremento significativo dei contributi pubblici’”.
Ed infine: “A quattro indagati, tra cui Mian, viene contestato in particolare di ‘avere distratto in concorso dal patrimonio della società, già in crisi, come evidenziato dalle perdite per gli anni 2009-2010-2011, risorse pari a 4 milioni di euro e consistenti contributi pubblici all’editoria che la NIE avrebbe dovuto ricevere, attraverso le cessioni di credito datate 4 aprile e 8 giugno 2012, atti stipulati al solo fine di favorire il socio Gunther Reform Holding, restituendo allo stesso finanziamenti effettuati alla NIE”.
DA ANGELUCCI A MARCUCCI
Al povero Antonio Gramsci non resta che fare le capriole nella sua tomba.
Ma la Unità story, nel corso dei suoi infermali anni di turbo capitalismo, ne ha viste e traversate delle belle.
Tra le chicche da rammentare lungo il tormentato itinerario, la breve esperienza targata Angelucci, capintesta l’ex barelliere romano poi diventato astro nella sanità privata e pubblica, quindi senatore di Forza Italia. Per passare quindi armi e bagagli prima al Riformista e poi a Libero, di cui è oggi primattore. Quel Riformista che avrebbe già dovuto riprendere, il 20 luglio, con uno sgargiante sito e poi a settembre tornare in pompa magna in veste cartacea, con la griffe di Piero Sansonetti (ex direttore di Liberazione e Dubbio) e il neo editore Alfredo Romeo, l’immobiliarista partenopeo e uno dei primattori nel giallo Consip.
La Unità story si è popolata, quasi una ventina d’anni fa, a inizio 2000, di un marchio che è tutta una storia: quello della dinasty dei Marcucci, gli oligopolisti nella lavorazione e distribuzione di emoderivati in Italia e nel mondo, una vera cuccagna. Marilina Marcucci, figlia del patriarca Guelfo, sorella di Andrea Marcucci, il plenipotenziario renziano al Senato per il Pd, e di Paolo Marcucci, alla guida della corazzata di famiglia Kedrion (in ottimi rapporti d’affari con la Russia), è stata al vertice dell’editrice dell’Unità ad inizio anni 2000.
Ma cosa c’entrava mai, la creatura di Gramsci, per decenni e decenni distribuita porta e porta dai militanti del Pci d’un tempo e non solo, con traffici di barelle, appalti sanitari & sacche di sangue?
Altri, ennesimi insulti alla memoria.
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