Farewell intervew del Corriere della Sera al procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, che dopo 7 anni e due mesi lascia una delle poltrone più bollenti d’Italia.
Un’intervista genuflessa al punto giusto, un’intera paginata di amarcord, domande scendiletto per consentire al numero uno che appende la toga al chiodo di scandagliare nel pianeta giustizia senza peraltro accantonare quel fattore umano che rende l’esternazione storica al punto giusto.
Domande intinte nella melassa, nessun trabocchetto, un brodo di giuggiole da gustare con il cucchiaino.
Osa chiedere qualcosa, l’investigatore di punta di via Solferino Giovanni Bianconi, su quella procura che prima del suo sbarco era considerata ‘il porto delle nebbie’: “Non so se fosse una definizione giustificata – risponde placido Pignatone – molti soffrivano di quella nomea. Tutti hanno rapidamente condiviso le mie convinzioni, frutto delle mie esperienze, sull’importanza del lavoro di squadra”.
Un po’ di pepe non manca nella domanda sul caso Cucchi e la ‘scoperta di depistaggi’. “Anche in altri casi – replica il procuratore uscente – abbiamo dimostrato che lo Stato è capace di indagare su se stesso, e non è superfluo dire che queste sono le indagini che non vorremmo mai dover fare e che a volte ci fanno personalmente soffrire”.
Mentre una lacrima spunta sul viso segnato dai 45 anni di duro lavoro sul campo, ti aspetteresti la domanda ultra scontata, per una penna del calibro di Bianconi, sul clamoroso depistaggio nel caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Ma la domanda resta “in canna”; invece c’è un amarcord sulla lunga esperienza siciliana prima di “approdare a Roma”.
Anche le pietre del tribunale di Roma ormai sanno che il caso Alpi rappresenta – insieme all’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta – il più clamoroso depistaggio giudiziario mai successo in Italia.
E’ di pochi mesi fa l’ennesima richiesta di archiviazione (dovrà decidere nelle prossime settimane un altro gip) firmata dal pm Elisabetta Ceniccola e controfirmata dal capo Pignatone. Una richiesta che vuol porre, una volta per tutte, la pietra tombale sul caso. Fregandose altamente di quanto scritto nella sentenza di Perugia che ha scagionato definitivamente il somalo per 16 anni in galera da innocente; e in cui si scrive esplicitamente di “depistaggio” di Stato, con un teste taroccato e fatto fuggire allegramente in Inghilterra.
Totale silenzio anche sull’eterno (e stradepistato) caso di Emanuela Orlandi. Che ogni sei mesi si riapre e subito si richiude.
Sicuri proprio che si siano diradate quelle nebbie sul porto?
Nella foto di apertura Giuseppe Pignatone
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