Siamo alle comiche. Proprio come quando si scopre l’acqua calda e tutte le volte si parla di evento epocale.
In pochi giorni un paio di esempi. Inchieste e maxi tituli sulla “scoperta” delle mafie in Veneto. Vengono improvvisamente alla luce migliaia di operazioni bancarie sospette, balzano alla ribalta i casi di tanti imprenditori prima minacciati dagli uomini delle cosche e poi entrati in società, saltano fuori le vicende di molti colletti bianchi di cui mai si sarebbe sospettata una ‘doppia’ vita.
Accipicchia. Peccato che la storia sia ormai stravecchia come il cucco.
Una dozzina d’anni fa noi della Voce fummo invitati per parlare di camorra e delle sue imprese a Padova, perchè una battagliera associazione, “Cittadini Attivi”, aveva organizzato una serie di incontri su quelle incursioni mafiose nelle terre venete. Si tennero alla Fornace Carotta, un grosso palazzetto dello sport gremito di gente che partecipava in modo più che attivo e faceva domande su domande, ansiosi di saperne di più su quelle operazioni e quelle cosche. Un altro incontro si tenne all’Università di Padova, dove il comitato studentesco aveva organizzato un confronto sugli stessi temi. Quindi si sapeva, era stranoto che le mafie da tempo avevano cominciato ad aggredire, come un tumore maligno, quell’economia e quel tessuto sociale.
Come era successo e stava succedendo in tutto il centro nord: con una scientifica spartizione del territorio. La ‘ndrangheta a farla quasi sempre da padrona, a cominciare dal nord ovest della penisola: Val d’Aosta, Piemonte, Liguria, la Lombardia dove vanno forte anche le cosche siciliane, il Veneto in condominio con la camorra, la quale invece fa presto capolino in Emilia Romagna e al centro, Toscana e Umbria. Insomma, dai primi anni ’90 una progressiva espansione, passo passo, regione per regione, riciclaggio su riciclaggio. Senza dimenticare, ovviamente, l’estero: dalla Scozia (tanto per fare un solo nome Aberdeen) ai paesi dell’est dopo la caduta del Muro, ansiosi di ricevere massicci capitali da lavare.
L’altra scoperta epocale è quella delle violenze super organizzate negli stadi e soprattutto delle operazione squadriste degli ultrà in combutta con i nazi e la malavita organizzata. Un mix perfetto e quanto mai esplosivo.
Da anni, almeno una quindicina. L’Espresso lo scopre adesso, tanto da titolare nell’ultimo numero in edicola dal 3 febbraio: “Nazi, ultrà e tanta ‘ndrangheta. Il traffico di droga. I legami con le cosche. Le alleanze trasversali. Così l’estremismo nero si salda con il tifo organizzato. E fa affari illeciti”.
Lo stesso Espresso lo ha documentato altre volte, la cosa è ormai stranota ma nessuno alza un dito a livello politico, men che mai il titolare del Viminale Matteo Salvini, al quale piace invece farsi immortalare dai paparazzi sottobraccio al capo ultrà del Milan Luca Lucci, pregiudicato con una fedina penale lunga due metri.
Al tema del tifo super inquinato da connection con nazi & clan la Voce ha dedicato decine di articoli a partire dagli anni ’90, lungo tutta la penisola, da Bergamo a Verona, da Roma a Napoli.
Per fare un solo esempio, i rapporti organici storicamente intercorsi tra gli ultrà laziali e Forza Nuova, la formazione nazistoide fondata da Roberto Fiore, condannato in via definitiva a nove anni per tentata strage e latitante dorato per altrettanti anni in Inghilterra, a fare affari immobiliari e turistici (questi ultimi a bordo della Easy Going). Tornato a Roma, il Fiore ha provveduto a consolidare i rapporti tra ultrà della Lazio e i suoi militanti di Forza Nuova. La quale ora è impegnata a tessere altri accordi in vista delle europee a maggio: troverà il modo, caso mai gemellata con i cugini di Casa Pound, di entrare nelle orbite leghiste?
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