Strage del sangue infetto: molti sapevano ma nessuno ha mai alzato un dito. Nel mondo scientifico, in quello farmaceutico, tra i media e nella classe politica c’è stata, fin dalla metà-fine anni ’70, una piena consapevolezza di quei traffici killer a base di emoderivati miliardari, che facevano realizzare giganteschi profitti a chi lavorava e commercializzava quel sangue infetto. E la strage “scientificamente” organizzata era del tutto prevedibile, quindi evitabile.
Incredibile che tutto ciò non sia mai emerso nei tre processi per il sangue infetto celebrati negli ultimi 20 anni: il primo a Trento partito proprio nel 1999, il secondo trasferito a Napoli e subito abortito, il terzo ora alle battute finali sempre a Napoli dove la sentenza è prevista per il 25 marzo.
Nel corso di questo quarto di secolo (le prime indagini trentine risalgono addirittura a 27 anni fa) si è passati dalla prima ipotesi di strage – l’unica e sola in grado di fotografare sul serio la realtà dei fatti – per poi scalare man mano ad ipotesi meno gravi, come epidemia colposa e ora omicidio colposo plurimo.
Eppure, neanche in quest’ultima ipotesi giudiziaria sembra si riesca mai a far luce – giudiziaria, appunto, perchè quella storica è ormai acclarata – sulle palesi responsabilità, visto che lo stesso pm, ossia l’accusa, nel corso della requisitoria dello scorso 11 gennaio ha chiesto la piena assoluzione di tutti gli imputati perchè “il fatto non sussiste”. Vale a dire che nessuno ha mai ammazzato nessuno, tantomeno i nove pazienti di cui si parla nel processo, rappresentati dalle parti civili: se la sono quantomeno cercata; oppure si tratta di suicidi perfetti via avvelenamento…
NUMERI E DATE DELLA STRAGE
Scherzi (tragici) a parte, le cifre “storiche” parlano di una strage da 5 mila vittime, come del resto in Inghiterra le cifre si attestano a quota 3 mila: ma lì almeno, a fine anno scorso, è stata avviata una commissione parlamentare d’inchiesta. Da noi la politica ancora una volta tace, è stata ed è collusa con Big Pharma, mentre si straccia ogni giorno le vesti con la maxi ipocrisia dei migranti! Dei morti per sangue infetto se ne strafregano. Come se ne fregano altamente i media, allineati e coperti per disinformare: il più totale, omertoso silenzio è calato anche sull’odierno processo partenopeo.
Nella sua requisitoria, comunque, il pm del processo di Napoli, Lucio Giugliano, ha ricostruito alcune date-base, tracciando una cronologia dei tragici fatti.
Quale è stato l’arco temporale base nel quale si sono concentrate le infezioni da emoderivati? Quello compreso tra gli anni ’70 e gli ’80. Il pubblico ministero ha fatto capire che lo stesso arco si può restringere, tra il 1975 e il 1985. Con gran probabilità, infatti, i contagi di sette pazienti su otto (uno nel frattempo è deceduto) sono tutti da collocare a fine anni ’70 (soltanto nel caso di uno dei fratelli Scalvenzi la data si può collocare parecchio più in là, nel 1987).
Ancora. Alla sbarra ci sono oggi l’ex re dei farmaci al ministero della Sanità Duilio Poggiolini ed ex dirigenti e funzionari del gruppo Marcucci. Il pm ha dato dei numeri anche sui Marcucci: hanno chiesto la prima autorizzazione ministeriale per lavorare e commercializzare emoderivati (quindi anche ad importare il sangue) nel 1973, per poi ottenerla tre anni più tardi, nel 1976.
Chiaro quindi il contesto: gli anni bollenti sono i ’70, quelli dove cominciano i traffici di sangue infetto e mettono a punto i motori, li scaldano e cominciano a correre i bolidi degli emoderivati, in pole position (vale a dire oligopolisti in Italia) le aziende del gruppo Marcucci, da Aima a Biagini.
In quegli anni i Marcucci fanno capolino anche a Napoli, mettendo le mani su un colosso farmaceutico “donato” dagli americani, Richardson Merrell.
Per questo motivo nel 1977 la Voce (allora “la Voce della Campania”) pubblica la sua prima inchiesta sui traffici di sangue e sul ruolo giocato, in tutto il maxi business, dal gruppo Marcucci, all’epoca guidato dal padre-padrone Guelfo Marcucci, grande amico di Sua Sanità Francesco De Lorenzo: tanto che il figlio Andrea alle politiche del 1991 si presenterà sotto i vessilli del Pli targato Altissimo-De Lorenzo. Non basta, perchè a rinsaldare i legami societari provvederà anche il fratello di Sua Sanità, Renato De Lorenzo, che a fine anni ’80 entra nel cda della Sclavo, la sigla in arrivo dal gruppo Montedison (la Anic del ramo farmaceutico) destinata a diventare una delle perle di casa Marcucci.
QUELLA PRIMA INCHIESTA DELLA VOCE NEL ’77
Ma torniamo a quell’inchiesta della Voce nel 1977, attraverso la quale si ha la palese dimostrazione che la consapevolezza (e le notizie) su quei traffici circolavano già allora. Se la Voce ne scriveva, di tutta evidenza quelle storie erano ben note negli ambienti farmaceutici, ad esempio nella stessa Richardson Merrell. Ne parlavano i sindacalisti, filtravano alcune prime accuse da parte della Cgil, alla Voce di quegli spericolati traffici fornì molti dettagli un ricercatore della Merrell, Procolo Causa. Da tener presente che l’affare Merrell fu uno dei casi “industriali” saliti alla ribalta delle cronache dell’epoca, con il sottosegretario al Bilancio, l’andreottiano Vincenzo Scotti, impegnato in prima linea nella story.
Potete leggere quell’inchiesta in basso. Ma ecco di seguito, per maggior semplicità, alcuni stralci salienti.
“Il finanziere toscano Guelfo Marcucci ottiene dagli americani gli stabilimenti ex Merrell di via Pietro Castellino, al Vomero, e di Sant’Antimo, le attrezzature scientifiche, la ricchissima biblioteca. L’attività, ripresa ad inizio ’76, procede a ritmo assai ridotto, con un bassissimo utilizzo degli impianti e della stessa mano d’opera, ridottasi di 180 unità per il mancato turn over. ‘Se a questo si aggiunge che i centri direzionali sono stati spostati in Toscana – sostiene Laura Bellipanni del CdF dell’ex Merrell – si capisce come l’indotto prima di un miliardo si sia del tutto azzerato, e il settore biologico non tiri più e si limiti a trasformare gli emoderivati provenienti dall’AIMA, anch’essa di proprietà dei Marcucci’”.
Si parla poi dei “14 miliardi complessivi concessi graziosamente dalla Richardson Merrell a Marcucci” e dei “tentativi di impedire le manovre speculative di Marcucci che cerca di vendere, a uso immobiliare, le aree del Vomero”, il quartiere ‘alto’ di Napoli, in prossimità della zona ospedaliera.
DAI CENTRI NELL’EX CONGO BELGA…
Ecco quindi il “Ritratto di un finanziere” dedicato al patròn Guelfo Marcucci. Siamo al passaggio-base, ossia l’interrogativo rimbalzato più volte in quasi tre anni di processo davanti alla sesta sezione penale del tribunale di Napoli: “Quali le fonti di provenienza del sangue trattato negli stabilimenti Marcucci?”, scrive la Voce, ricordiamolo, nel 1977.
La risposta: “In gran parte il terzo mondo, fino al 1975 prevalentemente il Congo ex belga. Qui l’abile finanziere aveva impiantato un centro poliambulatoriale e un centro di raccolta del sangue dove, mediante una tecnica assai sofisticata, veniva prelevata agli ignari donatori una quantità tripla di plasma sanguigno, reimmettendo in circuito i globuli rossi diluiti in apposita soluzione fisiologica. Saputo negli ambienti politici locali che il vento comincia a mutar direzione, Marcucci si affretta a vendere il tutto a una società americana, che dopo tre mesi viene nazionalizzata. Oggi Marcucci gestisce diversi centri di raccolta di sangue in varie parti del mondo, impiantando enormi speculazioni, per gli elevatissimi costi di vendita: basti pensare ai preparati Fattore VII, uno dei quali, il Kryobulin 50, costa 162.400 lire a confezione!”.
L’intera, tragica storia è poi raccontata nel volume “Sua Sanità – Viaggio nella De Lorenzo story, un’azienda che scoppia di salute”, edito a febbraio 1992 dalla Voce e dalla Publiprint di Trento.
Non solo Congo ex belga ed altri paesi africani e del terzo mondo, comunque, nel mirino del gruppo Marcucci.
Nel 2007, grazie ad uno choccante docufilm del regista americano Kelly Duda, veniamo a sapere che un’altra tra le fonti principali di approvvigionamento di sangue erano state addirittura le galere statunitesnsi, in particolare quelle dell’Arkansas.
… ALLE GALERE DELL’ARKANSAS
Tutto viene illustrato in “Fattore VIII”. Lo stesso Duda è stato convocato dagli avvocati delle parti civili, Stefano Bertone ed Ermanno Zancla, come teste al processo di Napoli.
Dove ha confermato ogni circostanza per filo e per segno ed ha parlato dei mesi e mesi di lavoro negli States sulle tracce del sangue infetto, nonché dei dorati trades senza alcuno scrupolo lungo l’asse Usa-Europa e, of course, Italia. Donatori prezzolati, non testati, a super rischio infezione: tutto il peggio possibile per avvelenare – scientemente – i poveri pazienti che si vedevano iniettare nelle vene quelle letali bombe ad orologeria.
Un altro teste base al processo partenopeo, l’ematologo milanese Piermannuccio Mannucci, nel corso della sua verbalizzazione ha avuto il coraggio di affermare: “Ho chiesto informazioni ai dirigenti del gruppo Marcucci per sapere da dove proveniva quel sangue. Mi hanno rassicurato, mi hanno detto che veniva dai campus universitari e dalle casanlinghe americane”.
Incredibile ma vero. Un teste in palese conflitto d’interessi, Mannucci, dal momento che è stato consulente scientifico di Kedrion – l’attuale corazzata del gruppo Marcucci, guidata da Paolo, fratello di Andrea Marcucci, il capogruppo del Pd al Senato – ed ha partecipato, gettonato, a svariati simposi nazionali e internazionali organizzati dalla stessa Kedrion.
Anche la Bbc una decina d’anni fa ha mandato in onda un lungo j’accuse sui traffici di sangue infetto, non solo perchè la tragedia, come visto, l’ha investita con oltre 3 mila morti, ma anche perchè per alcuni anni il gruppo Marcucci ha potuto contare su un avvocato britannico di fama, David Mills, che all’epoca prestava i suoi servigi anche a Silvio Berlusconi, mentre la consorte di Mills era ottima amica, a sua volta, della moglie del premier Tony Blair.
Dio li fa e poi li accoppia.
CIECHI & COMPLICI
Tirando le somme: i traffici sono cominciati ad inizio anni ’70 ed erano stranoti: perchè tutti hanno chiuso gli occhi? Come mai le autorità sanitarie, nazionali e internazionali, non hanno mosso neanche un dito, dall’inflessibile Food and Drug Administration fino al nostro Istituto Superiore di Sanità?
Big Pharma – ormai è strachiaro – ha comprato silenzi & collusioni. Anche a casa nostra, come del resto dimostra ampiamente la Farmatruffa, che ha visto la condanna penale e civile (5 milioni di euro a testa) per De Lorenzo e Poggiolini.
Ma come mai tutti, trasversalmente a livello politico in Italia, hanno dormito, o meglio sono stati complici silenti della strage?
Perchè solo in questo modo deve essere chiamata: strage. E se anche a Napoli San Gennaro non riuscirà nel miracolo d’una sentenza “storica” – come fa presagire la “requisitoria assolutoria” del pm – c’è pur sempre una Corte dell’Aja per i crimini contro l’umanità a poter “giudicare” su quei tragici fatti cominciati ad inizio anni ’70 e documentalmente provati almeno da quel 1977.
Perchè, dopo oltre un quarto di secolo, giustizia sia fatta.
L’ARTICOLO DELLA VOCE DI LUGLIO 1977
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