IPPODROMI & AFFARI DEI CLAN / NON SOLO PALERMO

Le mani della mafia sull’ippodromo di Palermo. Ad un anno dalla chiusura dell’impianto sportivo, gli inquirenti hanno documentalmente accertato che i tentacoli della piovra mafiosa da tempo si erano allungati sulle corse, le scommesse, la proprietà di non pochi cavalli e chi più ne ha più ne metta.

Il fenomeno non è certo nuovo. Perchè la mafie hanno sempre puntato non solo sugli ippodromi, ma su tutto quanto fa sport & scommesse, dal calcio al ciclismo, riuscendo a taroccare i risultati per la montagna di soldi investiti. Senza contare il vorticoso giro di danari (ovviamente sporchi) che ruota intorno alle sostanze dopanti, agli anabolizzanti che ormai circolano in tutte le palestre.

Emblematico il caso del giro d’Italia del 1999 che decretò la fine sportiva di Marco Pantani. “’O pelato non deve arrivare a Milano”, per i clan che avevano investito una mucchio di soldi sulla sconfitta del Pirata. Per questo riuscirono addirittura a taroccare i campioni di sangue, in modo tale che i valori risultassero superiori alla norma, “intimidendo” i componenti dell’equipe medica. Archiviata l’inchiesta aperta a Forlì, nonostante gli inquirenti avessero raccolto una mole di prove, comprese le verbalizzazioni di alcuni pentiti che parlavano esplicitamente di Giro comprato dalla camorra. Ora il fascicolo (dopo l’esposto-denuncia dell’avvocato della famiglia Pantani, Antonio De Renzis) giace da due anni e mezzo alla Dda di Napoli (pm Antonella Serio): ma a quanto pare non s’è mossa foglia.

Tornando agli ippodromi, la storia è vecchia di oltre quarant’anni. Sull’ippodromo di Agnano, a Napoli, risale agli anni ’80 il condizionamento dei clan, in particolare quello dei Nuvoletta (proprietari di molti cavalli nella loro tenuta di Poggio Vallesana), sulle corse. I cronisti dell’epoca ricordano ancora il nome di un personaggio, tale Peppe a’ braciola, che dettava legge su corse & scommesse. Allora le competizioni erano affollatissime, la gestione era affidata ad una sigla, “Villa Glory, e la liquidità cospicua, fondamentale requisito per i palati dei clan.

Più recente – è cominciata circa tre anni fa – una grossa inchiesta sulle corse clandestine organizzate nottetempo dai clan nelle aree del martoriato hinterland partenopeo. Non basta: perchè gli inquirenti hanno accertato anche i commerci di cavalli e i maltrattamenti che subiscono, costretti in piccole gabbie e quando hanno finito la loro “carriera” macellati con metodi brutali. E i proventi di queste operazioni sono poi reinvestiti nei traffici di monnezza tossica. Una vera bomba che però, a quanto pare, al tribunale di Napoli si sta trasformando nel classico tric trac. E i clan stappano lo champagne: visto che un’altra analoga inchiesta sui rifiuti che coinvolgeva gli stessi protagonisti era finita in beata prescrizione. Il solito ‘miracoloso’ salvagente per tutti i farabutti.

 

Nella foto l’ippodromo di Agnano


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