Napoli è la città italiana che durante la seconda guerra mondiale ha subìto più bombardamenti (inglesi, americani e – dopo l’8 settembre 1943 – nazisti) e ha lamentato il maggior numero di vittime. Nel 1941 e nel 1942 c’erano state varie incursioni da parte della Royal Air Force britannica. Gli inglesi avevano effettuato bombardamenti “strategici”, mirando cioè alle infrastrutture (il porto, i nodi ferroviari, le industrie di Napoli Est). La mira, però, era stata spesso sbagliata ed erano stati centrati anche obiettivi civili.
Il 4 dicembre 1942 ci fu una svolta: l’iniziativa di bombardare la città passò agli americani, con i loro “Liberator” e le loro fortezze volanti, che adottavano invece la dottrina del bombardamento “a tappeto”, col deliberato intento di fiaccare il morale della popolazione. Bombe fino a quattro tonnellate di peso seminavano la città di distruzioni e di morti. “Vi furono tre allarmi quel giorno – scrive Aldo Stefanile , giornalista, storico e testimone degli eventi – ma il più grave fu quello delle 16.45. Fu un attacco terribile, inimmaginabile. La gente venne colpita da una valanga di bombe mentre si trovava ignara nelle strade, nelle case, negli uffici, mentre accudiva alle proprie faccende. Venne colpita senza capire che cosa stava accadendo”. Non era scattato l’allarme, al cui suono c’era l’obbligo di infilarsi nel più vicino rifugio.
Due tram carichi di passeggeri furono centrati a via Monteoliveto e saltarono in aria col loro carico umano, lo stesso stick di bombe provocò il crollo di un’ala della Posta centrale, che travolse numerose persone. La zona portuale fu devastata. A porta Nolana furono colpiti due fabbricati, i cui inquilini supersiti furono tratti dalle macerie dall’eroico intervento dei Vigili del Fuoco guidati dagli ingegneri Andriello e De Sanctis. E l’elenco potrebbe continuare. A fine giornata i morti ufficialmente erano 359, più oltre trecento feriti, ma le vittime furono più numerose. Se si tiene presente quanti cadaveri furono estratti, spesso a brandelli, nei giorni successivi, dalle macerie “si incomincerebbe a essere nel vero – scrive ancora Stefanile – soltanto se si parlasse almeno di cinquecento morti e di un migliaio tra feriti e contusi”.
Quella Napoli bombardata dagli angloamericani il 4 dicembre 1942 è stata ricordata lo scorso 3 dicembre a Palazzo Serra di Cassano. L’incontro, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dall’Istituto Campano per la Storia della Resistenza ‘Vera Lombardi’ e dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, si è aperto con il saluto di Nino Daniele, assessore alla Cultura del Comune, e di Massimiliano Marotta dell’IISF. Interventi di Guido D’Agostino, Gabriella Gribaudi, Francesco Soverina, Antonio Amoretti, Simona Cappiello. Ha moderato il dibattito Raffaele Lucariello.
All’iniziativa hanno aderito con folte e qualificate rappresentanze di docenti e studenti il Liceo E.Morante, il Liceo, il Liceo Don L.Milani, il Liceo G.B. Della Porta, il Liceo G.B.Vico, il Liceo G. Mazzini, il Liceo Genovesi e il Liceo Artistico. Gli studenti sono intervenuti attivamente nel dibattito e hanno manifestato grande curiosità in particolare per le testimonianze dirette portate di Antonio Amoretti, partigiano delle Quattro Giornate e testimone diretto degli eventi.
Nel suo decisivo volume “Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste: Napoli e il fronte meridionale,1940-1944”, Gabriella Gribaudi riferisce, fra le altre, la testimonianza del Sovrintendente archeologico Amedeo Maiuri, che la sera del 4 dicembre, di ritorno dagli scavi di Pompei, a porta Nolana si sente “sempre più avvolto e premuto da una calca di gente che fugge via da Napoli”. Al Rettifilo – come ancora oggi qualcuno chiama corso Umberto – i fuggiaschi sono diventati “una fiumana nera e densa di popolo”. Centinaia di vite spezzate, migliaia e migliaia di destini stravolti, dei feriti, dei mutilati, dei superstiti, dei parenti delle vittime.
Antonio Gargano
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