“Moro doveva morire”. La conferma – se ce ne fosse ormai ancora bisogno – arriva da un magistrato che ha vissuto in prima linea i momenti più tragici della storia di casa nostra. Si tratta di Carlo Alemi, all’epoca giudice istruttore del caso Cirillo, l’assessore Dc rapito dalle Brigate rosse nel 1981 e poi liberato dopo una trattativa fra Dc, Bierre e camorra: la prima Trattativa che ha visto lo Stato sedersi al tavolo con la malavita organizzata.
Precisa Alemi: “Ciro Cirillo gestiva la ricostruzione post terremoto e quindi serviva vivo. Nessuno invece voleva che Aldo Moro rimanesse in vita. Non il suo partito, la Dc, non gli americani, neppure i socialisti che a parole erano per la trattativa ma temevano il compromesso storico”.
Parole dure come pietre, che ricostruiscono quel tragico periodo storico sul quale invece i maitre a penser nostrani continuano a farfugliare interpretazioni ridicole, con le Br autonome e mai “eterodirette”.
La ricostruzione di Alemi fa il paio con quella effettuata, esattamente dieci anni fa, da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, che nel loro “Doveva Morire” dettagliarono, tappa dopo tappa, quel calvario che trovò la sua sintesi nell’accordo organico tra i servizi segreti Usa e quelli italiani per ‘favorire’ l’uccisione di Moro da parte delle Brigate Rosse.
Il top delle conferme arrivò proprio da uno dei capi della Cia, Steve Pieczenick, coordinatore del ‘comitato di crisi’ tutto composto da piduisti, l’inviato speciale di Henry Kissinger in Italia per dirigere le operazioni di depistaggio e soprattutto per evitare che Moro potesse essere ‘sciaguratamente’ liberato dai brigatisti. Tra le cui fila, del resto, agivano degli infiltrati altrettanto speciali, a partire da Valerio Morucci, il ‘telefonista’, che nel 2010, libero come un fringuello, viene poi arruolato dal capo dei Servizi, Mario Mori, per collaborare alla rivista d’ispirazione fascista (sponsor Gianni Alemanno) “Theorema”, alla quale collaboravano anche ordinovisti del calibro di Loris Facchinetti. Un bel mix ‘esplosivo’.
Ma torniamo alle parole di Carlo Alemi, pronunciate in occasione della presentazione di un fresco di stampa pubblicato dalla coraggiosa casa editrice partenopea di Tullio Pironti, protagonista di una serie di scoop editoriali negli anni ”80 (per tutti il best seller di David Yallop sul Vaticano).
S’intitola “Il caso Cirillo – La Trattativa Stato-Br-Camorra”, il volume scritto da quel coraggioso giudice istruttore che allora si trovò da solo a combattere contro uno Stato deviato e super infiltrato.
Osserva oggi Alemi sulla vicenda del potente assessore Dc Ciro Cirillo, una storia in cui – val la pena di rammentarlo – faceva capolino un altro infiltrato speciale dei servizi, Mario Senzani, anche lui oggi libero come un fringuello: “La sentenza della Corte d’Assise e della Cassazione ha stabilito che ci fu trattativa. Se lo Stato ha trattato una volta con la criminalità organizzata, come è accaduto in quella vicenda, significa che può essere successo altre volte. E siccome nulla è cambiato da allora, anzi, non possiamo escludere che accada di nuovo”. Più chiari di così…
Prosegue il pesantissimo j’accuse di Alemi: “Trattò lo Stato. E non mi si venga a dire che quei soggetti non rappresentavano lo Stato, gli attori di questa vicenda erano ai vertici dell’amministrazione pubblica, dei servizi segreti, del ministero della Giustizia, del partito che aveva la maggioranza relativa in Parlamento”. Se vi par poco…
“Il ruolo svolto da Raffaele Cutulo nel caso Cirillo fu quello di intermediario. Aveva ricevuto promesse ben precise: la liberazione anticipata o almeno la dichiarazione di infermità mentale e favori per i camorristi detenuti”.
Continua la ricostruzione dell’ex giudice istruttore: “il patto non fu mantenuto perchè il documento pubblicato allora dall’Unità e attribuito ai Servizi segreti ma risultato falso, in cui si riferiva di una visita al carcere di Ascoli Piceno di Antonio Gava, Vincenzo Scotti e Francesco Patriarca fece saltare tutto. E poi perchè al Quirinale c’era Sandro Pertini, un presidente di straordinaria autonomia e autorevolezza”.
Sui misteri che gravitano ancora intorno alla vicenda e mai risolti, osserva: “L’omicidio del capo della Squadra Mobile Antonio Ammaturo. Fra i documenti spariti c’è proprio la relazione che Ammaturo aveva trasmesso ai suoi superiori sul caso Cirillo. Manca anche la copia che il commissario aveva consegnato al fratello. A sua volta morto in uno strano e mai chiarito incidente di caccia”.
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