Smarriti, disorientati, incavolati, delusi, arrabbiatissimi, depressi, siamo nel bel mezzo di una kermesse collettiva di tarantismo, “sindrome culturale di tipo isterico riscontrata nella tradizione popolare, collegata a una patologia che si riteneva causata dal morso di ragni. Il termine indica le conseguenze catalogate come isteria, manifestazione idiopatica di natura sconosciuta. Il tarantismo si manifesta con sintomi di malessere generale, accentuati stati di prostrazione, depressione, melanconia, quadri neuropsicologici come catatonia o deliri, dolori addominali, muscolari. Il quadro include sintomatologie psichiatriche, turbe emotive e offuscamenti dello stato di coscienza, elementi che in passato sono stati associati ad epilessia e appunto isteria”.
A menare la danza sovrintendono grillini e leghisti, tarantolati doc. Solo che l’effetto è l’opposto della frenesia isterica descritta. Il 4 marzo, responsabile una vera idiozia della politica made in Italy, la prevista impossibilità di governare il Paese innesta un processo di lacerazione democratica approdata nel surreale di tre forme di governo ferme ai blocchi di partenza. Di evidente saggezza è il responso del ministro (in uscita) Calenda: “Mandano l’Italia al fallimento” e perfeziona il concetto: “Assistiamo a un teatrino vergognoso fatto a da apprendisti stregoni” Il ragionamento prova a spegnere con docce gelate i contorcimenti della taranta, l’ipotesi di governo politico che rischia di distruggere in poche settimane i risparmi degli italiani. Peggio, il prolungato stand by, il folle bailamme governo sì, governo no, politico o di transizione, brucia cinquanta miliardi di euro. Spread raddoppiato, borse in calo e gli investitori stranieri, ma non meno gli italiani, dirottano l’acquisto di titoli e fondi su mercati fuori dalla bufera.
Il back ground del grande caos nasconde un punto critico poco evidenziato. Dello stallo ha responsabilità non secondaria la divaricazione degli interessi partitici di Lega e 5 Stelle. A Di Maio e in larga misura ai grillini di seconda fascia, eletti il 4 marzo, spaventa la prospettiva di non ripetere l’exploit elettorale del 32 percento, di rinunciare allo scanno parlamentare senza averlo mai occupato. All’esatto opposto, il rude Salvini gongolerebbe se si replicasse il voto di marzo e presto, convinto di oltrepassare il traguardo del 25 percento che gli accreditano i sondaggi e di spazzare via lo scomodo partner Berlusconi. Ma, in sintonia, i due capi popolo concordano nel mettere all’angolo del ring, con il naso rotto i dem, affetti da strabismo, miopia e presbiopia, sparpagliati come usava dire il Pappacone Peppino De Filippo.
E’ in fibrillazione il ridimensionato popolo di Forza Italia. Sondaggi del giorno pronosticano che in caso di elezioni ravvicinate toccherebbe il fondo, con un misero 8 percento di consensi elettorali.
Calenda sul “Fronte Repubblicano” paventa che sia un calderone informe, frutto di liti interne al Pde punta su Gentiloni: di sinistra rimarrebbe un mucchio di ceneri.
In casa verde leghista, si rappresentano due atti di un unico psicodramma. Se il nostro tesoro ha subito la fuga di risparmiatori e investitori, in gran parte si deve alle scelte alternative del capitale straniero, ma non solo. Il signor Claudio Borghi, economista della Lega, ha comprato quattrocentomila euro di titoli di Stato e obbligazioni straniere: che dire, un vero patriota. In altro ambito, il signor Matteo Salvini, quello che promette di sanare i conti dell’Italia, è andato a braccetto con la leader della destra francese Marine Le Pen, per un allegro duetto in chiave europea. L’eurogruppo di cui sono membri si è dato alla “pazza gioia”. Cene da quattrocento euro a persona, casse di champagne, doni griffati, tutto a spese dei contribuenti. Lo dimostra l’inchiesta di “Canard Enchainé”. Strasburgo non ci sta e ha chiesto di restituire la bellezza di 427mila euro. Un fiorellino all’occhiello della strana coppia: cena intima Le Pen-Salvini in ristorante a molte stelle, per la modica cifra di 449 euro a testa.
Anche questa è la Lega, in corsa per governare l’Italia.
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