A 27 anni esatti dalla strage che bruciò 140 vite a bordo del traghetto Moby Prince, le associazioni dei familiari chiedono con forza che l’inchiesta venga riaperta, dopo le indagini e i processi farsa di questi anni.
I lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta durati due anni e da poco conclusi, infatti, stavolta hanno miracolosamente prodotto risultati concreti. In particolare, sono stati acquisiti dalla Guardia di Finanza alcuni ‘documenti assicurativi‘ di rilevante importanza, attraverso i quali è possibile leggere la tragedia sotto una diversa ottica.
Si tratta delle polizze assicurative stipulate dalla compagnia proprietaria del Moby? Può darsi. Visto anche il tono delle ultime affermazioni di Loris Rispoli, presidente dell’associazione ‘140‘ che raggruppa molti familiari delle vittime. “Credo che di fronte all’evidenza di una responsabilità del comandante della Capitaneria, della responsabilità dell’armatore del traghetto e delle responsabilità della Snam – sottolinea Rispoli – ci sia da ricominciare un processo per strage”.
Era di proprietà della Snam, infatti, la motovave Agip Abruzzo che entrò in collisione con il Moby Prince quella tragica notte del 10 aprile 1991.
Viene quindi fatto esplicito cenno “all’armatore del traghetto”: ossia il gruppo Onorato, proprietario del Moby, attraverso la sua Na.Var.ma., proprio fino al 1991. Vincenzo Onorato è salito anni fa alla ribalta delle cronache per le imprese a bordo del suo ‘Mascalzone Latino‘.
Sottolinea dal canto suo Angelo Chessa, presidente di un’altra associazione, ‘10 aprile‘: “Si tratta di documenti inediti che la commissione d’inchiesta ha avuto tramite le Fiamme gialle. Documenti che
riscrivono la storia giudiziaria del caso. Perchè incredibilmente, come viene affermato dalla commissione, questi documenti assicurativi hanno discriminato in modo clamoroso la conduzione delle indagini”.
Non da poco il commento del numero uno della commissione d’inchiesta, Silvio Lai: “Spero che altre procure possano riaprire le indagini e far finalmente luce su una tragedia che brucia ancora e che non ha trovato giustizia”. E aggiunge: “abbiamo consegnato tutti gli elementi, in modo trasparente, alla procura di Livorno che ce li ha chiesti. Non abbiamo secretato nulla”.
Ma, di tutta evidenza, a Livorno non c’è gran voglia di accendere i riflettori. Anche dopo 27 anni di buio. Proprio come nel caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ancora oggi prigioniero di clamorosi depistaggi di Stato.
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