Pian piano gli attacchi alla libertà di stampa procedono, senza che nessuno alzi un dito per accennare ad una vaga protesta. Alla fine dell’operazione – manca ormai poco – sul campo non resteranno che pochi brandelli d’informazione, pezzi di carta al vento, reti calpestate: un massacro scientifico.
Un altro atto è appena andato in scena al tribunale civile di Milano, visto che ormai i contenziosi si sono da tempo trasferiti dalla sede penale a quella civile, dove il presunto diffamato può ottenere maxi risarcimenti in tempo quasi reale, alla faccia della giustizia lumaca.
Facendo ricorso allo strumento dell’articolo 700 che innesca una procedura d’urgenza, la mammoletta tirata in ballo potrà d’ora in poi chiedere al giudice civile di correre subito ai ripari, obbligando la pubblicazione della rettifica: e poco importa che l’articolo sia stradocumentato, perfetto in ogni sua parte, inattaccabile e la rettifica invece contenga solo aria fritta. Questa va pubblicata integralmente per evitare guai peggiori e per ripristinare – secondo le toghe lombarde – una sorta di verità perduta, o se preferite di par condicio. “Un aggiornamento della notizia”, viene precisato, in modo tale che venga subito “garantito il diritto di far conoscere al lettore la ‘loro verità’, informandolo dell’esistenza di elementi ulteriori e contrastanti, di ‘voci contrarie’, della ‘verità soggettiva’ della persona, di successivi sviluppi d’indagine”. Boh.
Per la serie: ti senti offeso da quell’articolo, replichi e anche se sostieni cazzate, quelle cazzate vanno per forza pubblicate, tanto per far conoscere ai lettori l’altra ‘verità’, pur se si tratta di una bufala, una pezza a colori, una lamentazione spesso e volentieri non per i fatti, ma solo per il tono usato.
Secondo le toghe lombarde (l’ordinanza è stata firmata dal presidente del tribunale civile in persona, Roberto Bichi, relatrice Martina Flamini e altro giudice Loretta Dorigo) si tratta di imporre subito alle testate online “rimedi di tipo integrativo e correttivo che, peraltro, svolgono un ruolo di promozione del pluralismo”. Se questo è pluralismo…
Sottolineano ancora, i giudici meneghini, “il carattere pervasivo e diffusivo dell’online”, una sorta di virus letale, “e la sua idoneità a causare danni potenzialmente irreparabili”, una vera Chernobyl.
Irreparabili perchè “precludono la tutela effettiva di un diritto fondamentale”: se rimandata, a loro parere, non ha più effetto. Perchè i danni si sono ormai “consolidati irreversibilmente”. Quindi non si possono attendere i tempi della giustizia ordinaria e la sentenza di merito: la museruola va messa e subito, senza se e senza ma. Manca solo il taglio della mano assassina e autrice della lesa maestà.
Ma non si fa prima a chiudere per legge tutti i siti e aprire un gulag per quei pericolosi criminali come neanche i mafiosi?
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