SANGUE INFETTO / DALLE GALERE DELL’ARKANSAS FINO AGLI STABILIMENTI DEI MARCUCCI A RIETI 

“Già nel 1963 negli Stati Uniti si sapeva bene che dalle carceri dell’Arkansas veniva prelevato sangue infetto, poi distribuito in alcuni paesi europei, come Italia e Spagna. Ho filmato l’intervista con il responsabile di una società che si occupava di raccogliere quel sangue. Poi è venuto in Italia, a Rieti, per illustrare il pericolo del sangue infetto, dopo aver ordinato due richiami di materiale a rischio”.

E’ il momento base della clamorosa verbalizzazione del regista americano Kelly Duda davanti alla seconda sezione penale del tribunale di Napoli, giudice monocratico Antonio Palumbo, dove si sta celebrando il processo, cominciato ad aprile 2016, per la strage del sangue infetto che ha provocato negli anni circa 5 mila morti, tutti ancora senza lo straccio di una giustizia.

Giornalista d’inchiesta e regista, Duda ha filmato e prodotto nel 2006 uno choccante docufilm intitolato “Fattore Ottavo – Lo scandalo del sangue infetto nelle prigioni dell’Arkansas”. Partiamo da un breve estratto della pellicola, mostrata nel corso dell’udienza, per documentare quel passaggio clou.

LA MISSIONE DEL DOTTOR HENDERSON A RIETI

Un'aula del tribunale di Napoli. In alto da sinistra l'avvocato Ermanno Zancla, Kelly Duda e l'avvocato Stefano Bertone.

Un’aula del tribunale di Napoli. In alto da sinistra l’avvocato Ermanno Zancla, Kelly Duda e l’avvocato Stefano Bertone.

Duda intervista il dottor Francis Herderson, il direttore medico e proprietario della HMC, ossia la Health Management Associates, società che si occupava – poi vedremo come – di raccogliere il sangue nelle carceri dell’Arkansas, in particolare qui si parla del penitenziario di Cummings.

“Tre clienti venivano approvvigionati con il nostro plasma, in Canada, in Spagna e in Italia – precisa Herderson – Ci siamo recati in Europa con i rappresentanti della Continental Pharma che si occupava di rifornire i produttori esteri”. La missione era finalizzata a spiegare l’operazione di recall, ossia il richiamo di alcuni lotti infetti.

“Il programma di recall in Canada è fallito, eravano stati a Toronto”, spiega ancora.

“In Spagna siamo stati a Madrid e in Italia a Rieti. Il periodo? Mi faccia vedere… (poi estrae un taccuino o forse il passaporto per esaminare le date, ndr)… ottobre, novembre 1982”.

A questo punto ci sono un anno ben preciso, il 1982, e una località ben identificata, Rieti.

Una vera bomba. Perchè a Rieti, in quel periodo, era ubicato il quartier generale di AIMA Plasma Derivati, il più importante impianto di lavorazione degli emoderivati di proprietà del gruppo Marcucci, a capo il patriarca Guelfo, che non è alla sbarra al processo di Napoli solo perchè deceduto a dicembre 2015, mentre vengono processati ex dirigenti e funzionari del gruppo, anche oggi oligopolista in Italia della distribuzione di emoderivati. Uno dei rampolli di casa Marcucci, il senatore Andrea, approdato nel ’91 in Parlamento con la casacca del Pli di Sua Sanità Franco De Lorenzo, è oggi il braccio destro di Matteo Renzi a palazzo Madama, nonché presidente della settima Commissione Istruzione e Beni culturali.

Matteo Renzi con Andrea Marcucci

Matteo Renzi con Andrea Marcucci

Da ricordare che all’udienza del 2 ottobre aveva testimoniato (potete leggere l’articolo cliccando su uno dei link in basso) un dipendente dell’Aima Plasma di Rieti, Bruno Pagano, che parlò esplicitamente di “segnalazioni postume” a proposito delle sacche infette. Una testimonianza che trova un perfetto riscontro nella ricostruzione firmata e filmata Duda.

Ma torniamo alla lunga e articolata testimonianza resa dal regista a stelle e strisce. Di seguito pubblichiamo le principali risposte fornite nell’arco di una verbalizzazione durata oltre 4 ore e animata soprattutto dagli avvocati della parti civili, Stefano Bertone e Ermanno Zancla, mentre il pm, Lucio Giugliano, si è limitato a poche, scarne domande.

TUTTO DUDA RISPOSTA PER RISPOSTA 

“Ho testimoniato davanti al Parlamento inglese che ha varato una commissione d’inchiesta sui contagi avvenuti negli anni ’70 e ’80. Ho partecipato ai lavori delle commissioni d’inchiesta costituite in Australia e in Nuova Zelanda. Ho collaborato con alcuni comitati di vittime giapponesi, che hanno ottenuto quattro verdetti favorevoli”.

“Il Programma del Sangue varato negli Stati Uniti aveva questa finalità: i detenuti per il loro lavoro non vengono pagati, per cui l’unico modo per fare un po’ di soldi legalmente era quello di donare sangue ricevendo un compenso comunque basso”.

“Nelle carceri dell’Arkansas il fenomeno ha assunto forme particolari. Erano gli stessi detenuti a gestire il programma, c’è stato un dilagare di corruzione, le guardie carcerarie venivano corrotte perchè anche gli infetti potessero donare sangue e quindi fare un po’ di soldi”.

“Hanno donato regolarmente sangue omosessuali e drogati”.

“Lo ho saputo dagli attuali detenuti e dai precedenti, da quelli che hanno donato sangue in questo modo e anche da quei detenuti che organizzavano la raccolta”.

“C’erano lughissime file per donare sangue a Cummings, il principale carcere dell’Arkansas”.

“Succedeva anche questo: che molti detenuti maschi aspettavano il pagamento del sangue donato per prostituirsi con altri detenuti, i quali quindi con quel danaro ricevuto potevano pagare le prestazioni. Quindi c’erano detenuti che donavano sangue e altri che si prostituivano”.

Quello stesso giro di soldi infernale, quello stesso giro di sangue infernale.

“Mi hanno raccontato che una società europea veniva direttamente al carcere di Cummings per rifornirsi di sangue, saltando quindi i passaggi intermedi. Si chiamava BAYER”.

Possibile mai, il colosso tedesco che sta per incorporare il colosso degli Ogm Monsanto? Proseguiamo.

“Per i prelievi non venivano cambiati gli aghi, o meglio li facevano durare fino a che non si spezzavano. Ho visto anche un procedimento per affilarli dopo tanti utilizzi”.

“Mi hanno raccontato di un registro tenuto nascosto, nel quale c’era l’elenco completo dei detenuti che non avrebbero pututo donare, perchè infetti, e invece donavano sangue, perchè corrompevano le guardie carcerarie”.

“In più mi hanno riferito la storia dei 38 lotti richiamati, sono intervenute molte autorità governative, di polizia, la Food and Drug Administration, e anche una commissione costitutuita appositamente nel 1996, la commissione Klever”.

“Le industrie farmaceutiche sapevano bene che c’era una molto più alta percentuale di casi di Epatite B tra i detenuti rispetto ai normali cittadini”.

MA IL SUPER EMATOLOGO TUTTO QUESTO NON LO SA

Eppure non hanno esitato a importare, attraverso la catena CHM e poi Continental Pharma, quei prodotti mortali. Tanto per ingrassare i loro profitti, alla faccia delle migliaia di vittime lasciate sul campo. Uno tsunami, altro che le Torri Gemelle.

E quel sangue infetto è arrivato anche in Italia, come abbiamo visto era localizzato a Rieti l’epicentro della raccolta (e poi lavorazione e distribuzione) di casa nostra.

mont sangueVal la pena di rammentare che il primo teste (voluto dal pm e accettato da difesa e parti civili) al processo partenopeo, l’ematologo Piermannuccio Mannucci, nel corso della prima udienza, ad aprile 2016, ha pronunciato queste precise parole: “I dirigenti delle aziende Marcucci mi dicevano che quel sangue arrivava direttamente dagli Usa, in particolare dai campus degli studenti universitari e dalle massaie americane”. Stop.

Il professor Mannucci, autentico giglio candido, era all’oscuro di quei traffici e di quei commerci nelle carceri dell’Arkansas: quando, negli Usa, tutti sapevano, e fin dagli inizi degli anni ’60!

Un teste, Mannucci, in palese conflitto d’interesse, visto che è stato consulente di Kedrion – l’odierna corazzata di casa Marcucci – ed ha partecipato a svariati meeting nazionali e internazionali (gettonato) organizzati dalla stessa Kedrion.

Finisce in un parapiglia, l’udienza del 4 dicembre al palazzo di giustizia di Napoli. Perchè al termine dei lavori, secondo la ricostruzione fatta in seguito, Duda si avvicina al pm e, tramite l’interprete, gli dice “che negli Stati Uniti un pm così sarebbe una disgrazia”. Apriti cielo. Il pm chiama polizia e carabinieri, mobilita il palazzo di giustizia ormai semichiuso (sono le 17 passate), vuole che Duda sia identificato per poi procedere ad una sua formale denuncia.

Spiega l’interprete che Duda si riferiva al ritardo fatto segnare dal pm, dopo un break dell’udienza, un quarto d’ora circa.

Comunque quisquilie e pinzellacchere, rispetto ad un processo che ormai accusa un ritardo di 23 anni e passa. Quando l’inchiesta cominciò a Trento, quindi l’inizio del processo nel ’99, poi dopo svariate vicissitudini dieci anni fa il passaggio a Napoli dove ha a lungo sonnecchiato e dormito, i fascoli accatastati negli scantinati del centro direzionale, molti persi strada facendo e tempo passando. Quindi, in primavera 2016, il primo vagito. E la sentenza è previsto per marzo.

P.S. Rocambolesca – e degna di un nuovo docufilm – la giornata napoletana di mister Duda. Appena arrivato, la sera prima, in piazza Garibaldi viene scippato del suo telefonino. Per timore di altre aggressioni, lui e la compagna si rifugiano in albergo, neanche il tempo di mangiare un boccone. In albergo – il massimo dell’accoglienza – non hanno neanche una bottiglietta di minerale.

E il dopo udienza si conclude con un quasi arresto.

Pensare che, presentandosi ai giornalisti la mattina della conferenza stampa, Duda aveva esordito con un “I apologize for Trump”,  “Scusatemi per Trump”!

 

 

 


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