GIALLO ALPI / IL GIP DI ROMA SI PRONUNCERA’ IL 23 GENNAIO

Finalmente c’è la data, 23 gennaio 2018. E’ il giorno in cui, al tribunale di Roma, si dovrà pronunciare il giudice per l’udienza preliminare sul caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i giornalisti Rai uccisi 23 anni fa a Mogadiscio.

Il gip, infatti, dovrà decidere se accogliere o meno l’incredibile richiesta avanzata alcuni mesi fa dal pm, Elisabetta Ceniccola, di archiviare la pratica. Quella richiesta è stata controfirmata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone.

Si sono opposti i legali di Luciana Riccardi, la madre di Ilaria, ossia gli avvocati Giuseppe e Giovanni D’Amati, con la consulenza di Carlo Palermo, l’ex magistrato da anni in prima linea sul fronte di verità processuali negate, per fare un solo esempio la tragedia del Moby Prince.

I legali hanno chiesto che ad indagare sul caso e, soprattutto, sul depistaggio di Stato, sia la procura di Perugia. Perchè a Perugia era stata ancor prima scritta una sentenza storica, con la quale è stato prosciolto da ogni accusa il somalo ingiustamente accusato dell’omicidio e che ha scontato 16 anni di galera da innocente.

L’elemento base della sentenza perugina è rappresentato dalle dichiarazioni raccolte due anni fa da Chiara Cazzaniga, inviata di ‘Chi l’ha visto‘, del supertestimone ‘taroccato’ Gelle. Alla Cazzaniga Gelle ha raccontato di essere stato pagato per fornire quella versione finalizzata ad incastrare un innocente.

La sentenza dettaglia l’incredibile vicenda, con un Gelle che neanche verbalizza in dibattimento ma dopo una permanenza di qualche mese a Roma, protetto dalla polizia di Stato, scappa allegramente prima in Germania e poi in Inghilterra. Dove nessuno lo cerca, tanto meno le nostre – sic – istituzioni. Lo trova invece, dopo un breve lavoro investigativo presso la comunità somala di Roma, Chiara Cazzaniga.

La sentenza di Perugia parla espressamente di depistaggio. Per questo ora la famiglia Alpi chiede che sia proprio Perugia – in forza di tutti gli elementi raccolti in un minuzioso lavoro di vera inchiesta – a concludere quelle indagini, in cui sono contenuti fortissimi elementi che come hanno portato a scagionare quell’innocente, ora possono portare ad individuare non solo i killer ma soprattutto i mandanti del duplice omicidio di Mogadiscio.

Un segnale positivo arriva dalla commissione sul ciclo mafioso dei rifiuti, la cosiddetta commissione ‘ecomafie’. I suoi componenti confermano: il caso Alpi-Hrovatin è più che mai aperto. E hanno fatto richiesta di poter ottenere tutti i documenti desecretati per effettuare una nuova contestualizzazione del duplice omicidio.

Come sanno ormai anche le pietre – tranne i giudici che fino ad oggi si sono alternati nel caso, una mezza dozzina – Ilaria stava indagando sui traffici illegali di rifiuti super tossici e quelli di armi, all’ombra dei miliardi stanziati per la cooperazione. Aveva scoperto quei traffici, quei trafficanti, era stata in grado di ricostruire la gigantesca entità economica del maxi business e soprattutto aveva scoperto di quali coperture istituzionali – italiane, somale e con ogni probabilità anche americane – godevano. Nonchè il ruolo giocato da altri pezzi del mosaico: dai serivizi segreti di casa nostra (anche in partnership con la Cia) fino all’ambasciata italiana di Mogadiscio.

Per tutto questo Ilaria e Miran dovevano morire.


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