TERREMOTI, SPERPERI MILIARDARI & COLLUSIONI / MA TUTTO QUESTO PIETRO GRASSO NON LO SA

Inchieste sui terremoti e poi sulle ricostruzioni. E’ sempre stato un clamoroso flop, dalla Campania 1980 all’Aquila. Errori, orrori, connection & collusioni si sono regolarmente ripetuti, per la gioia di una classe politica che vedeva nel frattempo crescere i suoi ‘fatturati’ in combutta con le mafie, le quali proprio nei terremoti hanno trovato ottime chance per veder lievitare a dismisura i loro business, diversificandoli.

Adesso arriva anche uno studio del Senato a scoprire l’acqua calda, con alcuni decenni di ritardo. E pensare che a presiedere l’Ufficio speciale che l’ha redatto c’è un magistrato, Pietro Grasso: come mai nel ponderoso dossier non è stato dedicato un apposito capitolo ai fallimenti della giustizia di casa nostra, ai clamorosi autogol fatti segnare per il dopo sisma in Campania o per le rovine abruzzesi?

ARRIVA L’UFFICIO DI VALUTAZIONE

Scrive Enrico Marro per il Corriere della Sera. “A fare il punto sui terremoti del Dopoguerra è un dossier dell”Ufficio di valutazione impatto‘, struttura di recente costituzione, voluta e guidata dal presidente Grasso, che ha il compito di analizzare i costi-benefici delle politiche pubbliche. Emergono due costanti nel dossier terremoti: 1) la bassa qualità delle costruzioni, che vengono giù anche quando le scosse non sono irresistibili; 2) i costi della ricostruzione, altissimi e crescenti rispetto alle stime iniziali. Colpa di ritardi, sprechi di ogni tipo, infiltrazioni della criminalità”.

Arcibaldo Miller. In apertura il terremoto dell'Aquila e a destra Piero Grasso

Arcibaldo Miller. In apertura il terremoto dell’Aquila e a destra Piero Grasso

A proposito del terremoto che colpì l’Irpinia e non solo, così viene rilevato: “Lo Stato spese 57 mila miliardi di lire per la ricostruzione con pessimi risultati. L’elenco dei comuni destinatari degli interventi si allungò a dismisura e ci furono infiltrazioni camorristiche”.

Una visione che definire edulcorata è un semplice eufemismo. Perchè il terremoto ’80 e la ricostruzione sono stati una delle più grandi rapine di Stato. Organizzata dai predoni pubblici, un’intera classe politica trasversale anche se in prevalenza di stampo Dc, la quale dopo il riscatto del l’assessore Ciro Cirillo – morto poche settimane fa – scese a patti, anzi trovò un perfetto accordo operativo con la camorra (“chiamale se vuoi infiltrazioni”…) per spartirsi il bottino, che fra l’altro già trent’anni fa superava la cifra di 65 mila miliardi di vecchie lire (e non 57 mila), senza contare le vagonate miliardarie successive, racchiuse tra le pieghe di ogni finanziaria, fino ai giorni nostri.

Come mai la magistratura non ha scoperto un bel niente? Intervenuta con enorme ritardo, la Procura di Napoli ci lavorò per diversi anni, creando un apposito pool di quattro pm, all’epoca capeggiato da Arcibaldo Miller, poi passato al ruolo di capo degli ispettori ministeriali sia con il governo Prodi che con quello Berlusconi.

‘O SISTEMA TERREMOTO 

Perchè niente è emerso in anni di indagini, in quintali di faldoni, di carte processuali, spendendo un bel patrimonio, quando la realtà era sotto gli occhi di tutti, facile da leggere anche per uno studente al primo anno di giurisprudenza?

Paolo Cirino Pomicino

Paolo Cirino Pomicino

Era sotto gli occhi di tutti il sistema scientifico delle concessioni, ‘O sistema ideato grazie alla partecipazione straordinario di ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino, il quale ben prima di diventare titolare del Bilancio, in compagnia del suo fedelissimo Vincenzo Maria Greco, aveva studiato a puntino la strategia: appalti a una sfilza di imprese del mattone, spesso e volentieri scatole vuote, caso mai anche in stato fallimentare, man bassa delle commesse e poi via alla sarabanda dei subappalti alle imprese di camorra. Con tutto il corredo di consulenze agli amici, e agli amici degli amici, i ‘clienti’, i ‘portavoti’, una marea di colletti bianchi e professionisti d’ogni razza, dai geometri ai commercialisti, dagli ingegneri ai notai.

E tutto ‘O sistema condito di revisioni prezzi, varianti in corso d’opera, sorprese geologiche & compagnia bella, come aveva dichiarato davanti agli sbigottiti componenti della Commissione Scalfaro che indagarono nel 1990 su quei maxi sperperi & quelle connection, il titolare dell’Icla, Massimo Buonanno, ovvero dell’impresa-regina del dopo terremoto, tanto cara a Pomicino.

E non sentite parlare, oggi, caso mai in occasione dei Metrò da Roma a Napoli, oppure in tante altre opere pubbliche, di varianti e revisioni, fino alle sorprese, anche archeologiche? Bene, quella del terremoto 1980 fu la palestra più che attrezzata.

Ma ecco la ciliegina sulla torta. A spartirsi il bottino, dunque, politici di riferimento, imprese portappalti, una fettina ai colletti bianchi, ma l’altra bella fetta, pari almeno al 25 per cento, a chi è andata? Alla camorra, of course, che da impresa parafamiliare negli anni ’70, seguendo i canoni della NCO di don Raffaele Cutolo, decide di farsi impresa e – dopo la famigerata trattativa Cirillo – spicca il volo. E pensare che proprio in questi giorni ‘O ministro ha smentito ogni cosa: “ma quale trattativa e trattativa!”, ha sbottato.

Tra movimento terra, calcestruzzo, cemento, subappalti sono balzati a mille i fatturati della Nuova Famiglia e, quindi, dei Casalesi. Nelle tasche di un boss, addirittura, nel corso di un blitz venne trovato il tracciato di una arteria realizzata con i soldi del post sisma, la “Bretella di Sant’Antimo”, che invece di toccare una decina di comuni, alla fine ne toccò quasi il doppio, proprio secondo i voleri delle cosche locali.

LE OPERE CHE “NON CI AZZECCANO”

Non solo allargamento nel numero dei comuni interessati alla cuccagna, per il dopo sisma, ma anche opere che nulla avevano a che vedere con il dopo terremoto, soprattutto localizzate tra Napoli e Caserta, che fra l’altro avevano avuti limitatissimi danni dal sisma, incentrato invece in Irpinia.

Ed è così – per fare un solo esempio – che spunta il grande business dei Regi Lagni, circa 700 miliardi di vecchie lire buttati nel fango, cioè per realizzare opere idriche in un’area del basso casertano, proprio nei feudi casalesi, che niente avevano a che fare con il terremoto e che per di più massacrarono l’ambiente e poi necessitarono di una bonifica affidata, guarda caso, agli stessi massacratori. Il massimo!

Vincenzo Scotti

Vincenzo Scotti

Da uno scempio all’altro eccoci a Monteruscello, la Pozzuoli bis, realizzata nel 1984 sull’onda di una bradisima taroccato, cioè inventato a tavolino, proprio sull’onda del terremoto, per poter metter su un insediamento monstre a pochi chilometri da Pozzuoli, comunque sempre in un’area a pesante rischio sismico, vulcanico e oltretutto densa di reperti archeologici. Progettata dall’urbanista Uberto Siola, all’epoca assessore Pci a Napoli, e fortemente voluta dall’allora ministro per la Protezione civile Vincenzo Scotti, Monteruscello è il simbolo non solo di sperperi e collusioni mafiose, ma anche dello scientifico utilizzo di materiali scadenti per costruire, in fretta e furia, un immenso quartiere dormitorio, una sorta di Zen palermitano. Nel 1986 la Voce pubblica un documento riservato di un dirigente della protezione civile in cui si parla espressamente di opere costruite con i piedi, senza alcun criterio e utilizzando il 40 per cento circa degli importi stanziati. Anche episodi da guinness dei primati: ad esempio molti balconi con la pendenza verso l’interno casa, tali da assicurare allagamenti alle prime piogge.

Nell’85 parte una maxi inchiesta della procura di Napoli, coordinata da tre magistrati di prima linea: Franco Roberti, oggi al vertice della Direzione Nazionale Antimafia, Luigi Gay, capo a Potenza, Paolo Mancuso, numero uno a Nola. Vengono dettagliati i rapporti tra imprese delle camorra e colletti bianchi, come quel Vincenzo Maria Greco che solo un paio d’anni fa viene arrestato per altri appalti targati grandi opere e alta velocità. Ma allora rimase uccel di bosco e potè tranquillamente dettar legge nel mondo degli appalti perchè quella ottima inchiesta – una vera e propria pre Tangentopoli – venne stoppata dai vertici della stessa procura di Napoli, il numero uno Alfredo Sant’Elia e il capo dell’ufficio denunce Armando Cono Lancuba.

UN’ASSOCIAZIONE SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI

Vi chiederete a questo punto: ma che fine avrà mai fatto l’inchiesta sul dopo terremoto a Napoli, che vedeva impegnato il fior fiore dei pm? Un autentico flop. Una sacrosanta prescrizione assolvitutti. E sapete ‘O sistema quale è stato? Accusare tutti di corruzione e concussione, che si prescrivono in appena sette anni e mezzo, e non di associazione a delinquere, con l’aggiunta di un bis, di stampo camorristico, che si prescrive nel doppio degli anni.

Ha avuto più volte modo di commentare Pomicino, con il fortunato pseudonimo di Geronimo: “Ma quale corruzione, quale concussione! Ma quali minacce! Eravano tutti grandi amici, io ero grande amico di Zecchina e di Balsamo, di Chitis e di Cabib”. Per la serie, tutta la crema dei mattonari di Napoli.

Ovvio, quindi, che non ci potesse essere altro che un comodo patto spartitorio tra amici, caso mai stabilito a tavola: tanto a voi, che ci mettere l’impresa, tanto a me che vi sponsorizzo e così finanzio le mie tasche e il mio partito. E tanto alla camorra che ci fa i subappalti. Scientifico, no?

Peccato che i solerti magistrati, impegnati per anni nelle indagini, non siano stati in grado di dimostrare in una sola pagina – 1 di numero – la presenza della camorra nelle arcimilionarie imprese della ricostruzione post sisma. Ne parlano, con dovizia di particolari, i volumoni della Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Oscar Luigi Scalfaro, ne parla a profusione il volume edito dalla VoceGrazie Sisma – Dieci anni di potere e terremoto”, uscito nel 1990. Ma per la procura di Napoli, la camorra nel terremoto non ci azzecca…

Antonio Di Pietro

Antonio Di Pietro

Del resto è finita in una bolla di sapone un’altra maxi inchiesta nata a fine ’90 a Roma, portata avanti da Pietro Saviotti e Otello Lupacchini. Dalle carte processuali emergeva un fittissima rete di rapporti tra politici, faccendieri, camorristi, finanzieri (alcuni vertici dell’allora Banca di Roma), tutti uniti per dar l’assalto ad una serie di maxi affari, dall’Alta velocità agli aeroporti, fino alle più varie infrastrutture a livello nazionale, ma localizzate soprattutto al centro sud. Alla fine? Un flop già in primo grado, con mini condanne a carico di piccoli trasportatori. I pesci grossi, al solito, intoccati e intoccabili.

DAI TERREMOTI ALL’ALTA VELOCITA’, E’ SEMPRE CUCCAGNA

Osserva un funzionario del ministero delle Infrastrutture che ne ha viste di tutti i colori in questi anni. “Si tratta di un vero e proprio sistema sperimentato per una vita. Per le grandi infrastrutture si comincia dalla Salerno-Reggio Calabria, formalmente finita solo adesso, il sistema della concessione, i lotti suddivisi in modo equo tra i clan della camorra nella parte campana e le ‘ndrine nella parte calabrese. Lo stesso è successo per la terza corsia tra Napoli e Roma, dove hanno subito fatto la voce grossa i nascenti Casalesi. Poi il piatto grosso dall’inizio anni ’90, e sul quale avevano acceso i riflettori con le loro inchieste Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è stata l’Alta Velocità, che è partita da 27 mila miliardi di vecchie lire e la solita assicurazione fasulla che allo Stato non costava niente e pagavano i privati. Si è parlato di 100 mila miliardi a fine anni ’90, oggi non si sa quale tetto sia stato sfondato e continuano a volare milioni a palate. Il più grande sperpero di danaro pubblico mai visto in Italia. Nel suo piccolo Napoli fa segnare un primato: l’opera più cara a chilometro, il suo metrò, iniziato addirittura 41 anni fa, primavera del ’76 e ancora lontano dall’essere terminato”.

E nel ’76 le prime ruspe ad accendere i motori, per il movimento terra in quel di Napoli, erano di un certo Michele Zagaria, il futuro boss di Casalesi.

Mai nata un’inchiesta sull’Alta Velocità? Eccome. Ma regolarmente “schiattata”. Ne sa qualcosa Antonio Di Pietro, all’epoca pm di Milano che aveva tra le sue mani una gola che più profonda non si può, quello di Francesco Pacini Battaglia, l’uomo a un passo da Dio. Ma se la lasciò sfuggire dalle mani come un pivellino. Ci hanno scritto su un libro, “Corruzione ad Alta Velocità”, Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato addirittura nel 1999.

Nel frattempo a Napoli sono nate e morte le inchieste sul Metrò, né l’Anac di Raffaele Cantone ha intenzione di metterci il naso. Un autentico crocevia di scempi & sperperi.

Ma tutte queste cose il presidente del Senato ed ex pm Piero Grasso forse non le sa…


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