Aristotele definì “apodittica” la verità assunta come tale dall’assoluta ed eterna esigenza della ragione e non solo come risultato di un accertamento contingente. E questa “verità” non riusciamo a conoscerla su molti tragici fatti accaduti nel nostro paese. Che è un paese democratico, con una stampa libera, con una magistratura indipendente, con forze dell’ordine competenti e affidabili, con un Parlamento rappresentativo di tutte le forze politiche, con una Corte Costituzionale particolarmente attenta, un paese dove i cittadini godono dei diritti civili e possono esprimere il loro pensiero e associarsi liberamente senza autorizzazioni e dove le organizzazioni sindacali possono svolgere la loro attività senza condizionamenti e limitazioni, un paese nel quale sono attive istituzioni scientifiche e culturali di livello mondiale.
Ciò nondimeno in questo paese continuiamo a chiedere “la verità” sull’ attentato terroristico del 12 dicembre 1969 alla banca dell’Agricoltura di Milano, noto come la strage di piazza Fontana, che causò 17 morti e 88 feriti ; sull’eccidio del 28 maggio del ’74 compiuta dal terrorismo nero a piazza della Loggia a Brescia in cui morirono 8 persone e 102 rimasero ferite ; sul sequestro di Aldo Moro del 16 marzo del ’78 in via Fani ( col massacro dei cinque poliziotti della scorta) e sulla sua spietata uccisione cinquantacinque giorni dopo nel covo di via Montalcini delle brigate rosse ; sulla bomba che il 2 agosto del 1980 scoppiò alla stazione ferroviaria di Bologna causando la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200 ; sulla terrificante esplosione dell’autobomba che in via Pipitone il 29 luglio del 1983 fece saltare in aria il Procuratore di Palermo Rocco Chinnici, i due genti della scorta e il portiere dello stabile ; sull’attentato dinamitardo al Rapido 904 che il 23 dicembre 1984 causò la morte di 17 persone, tra le quali un bambino di 4 anni e una bambina di 9 anni ; sulla strage di Capaci del 23 maggio del ‘92 in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta e sullo scoppio dell’autobomba che a via D’Amelio il 19 luglio dello stesso anno fece saltare in aria Paolo Borsellino e i cinque uomini della scorta.
Se su questi tragici accadimenti continuiamo a cercare la “verità” in un paese come il nostro mi chiedo come si possa pretende di averla sulla orrenda morte di Giulio Regeni avvenuta in un paese totalitario, antidemocratico, assolutista come l’Egitto del feroce dittatore Abd al-Fattah al-Sisi.
Ha scritto Angelo Panebianco su Sette del 26 febbraio 2016 “la tortura e la uccisione del giovane Giulio Regeni non può essere attribuita a uomini della sicurezza egiziana perché appare sorprendente, strano e incomprensibile che venisse fatto trovare il suo corpo torturato in un paese in cui scompaiono tanti oppositori e i corpi non vengono mai ritrovati, come denunciano le famiglie. I servizi segreti egiziani avrebbero compiuto un omicidio insensato e tale da provocare una crisi diplomatica fra Italia ed Egitto con gravi conseguenze sui rapporti economici tra i due paesi”.
Ma, dato che la responsabilità della barbara fine del ricercatore italiano è senza alcun dubbio dei servizi segreti egiziani, questa “verità” il dittatore AlSisi non la dirà mai. Per le ragioni spiegate da Panebianco.
Facciamocene tutti una ragione.
A cominciare dai genitori.
Piuttosto poniamoci due domande.
Sull’aereo che il 30 aprile 2017 lo riportava a Roma il Papa ha detto ai giornalisti. “La Santa Sede si è mossa per sapere la verità sulla morte del giovane Regeni. Ne ho parlato al presidente AlSisi ma è stato un colloquio privato e per rispetto devo mantenere la riservatezza”. Perché il Papa non dice finalmente cosa gli ha risposto il dittatore egiziano?
L’’Università di Cambridge, dove Giulio stava conseguendo il dottorando, lo ha mandato il 25 gennaio 2016, con una dotazione di 10mila sterline, a studiare le dinamiche del sindacato in un paese come l’Egitto, dove il regime di Al Sisi controlla ogni attività e non tollera dissensi. Perché l’università inglese non spiega la ragione di questa rischiosissima missione ? .
Gerardo Mazziotti, premio internazionale di giornalismo civile 2008
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