Scusate, lo so, questo titolo è un po’ forte. Ma è che dopo aver scritto e documentato tante volte la presenza dei clan camorristici tanto nell’affondamento del Concordia quanto nell’omicidio della piccola Yara, non si possono trovare parole diverse. Due notizie che arrivano a poche ore di distanza: lunedì a tarda notte la condanna in appello di Massimo Bossetti, nel pomeriggio di oggi le motivazioni della Cassazione sulla condanna definitiva per Francesco Schettino, il comandante che quella notte non ne voleva sapere di salire a bordo, cazzo!
In entrambi i casi – come ormai in talmente tante vicende giudiziarie che gli italiani ci hanno fatto l’abitudine – manca “naturalmente” il movente. Che importa? Fino a prima di Mani Pulite per un inquirente era impensabile condurre indagini, specie su vicende così clamorose ed efferate, senza riuscire a trovare uno straccio di motivazione alla base dei delitti. A noi tutti lo hanno insegnato uomini come il magistrato Ferdinando Imposimato, che in un suo libro di qualche anno fa, pubblicato a stralci dalla Voce, aveva magistralmente ricostruito casi di cronaca nera rimasti irrisolti partendo proprio dalla ricerca del movente. E ci aveva sempre azzeccato, come dimostrato poi dalle successive indagini, magari venti e passa anni più tardi.
Oggi invece si fa così.
Perché un comandante di lungo corso con enorme esperienza una sera decide di mettere in pericolo la vita di migliaia di persone, giocandosi tutto per andare a sbattere a folle velocità contro scogli che conosce a menadito per aver battuto quella rotta centinaia di volte?
Boh, non si sa. Poi spunta una pista comodissima (per gli investigatori). Ecco, già, il comandante quella sera (notte fonda, isola spenta, tutti a dormire in pieno gennaio) voleva fare “l’inchino”. A chi? A se stesso? Alla sua vita che stava per essere distrutta?
Non interessa. La pista dell’inchino va benissimo. Specie se da qualche parte spuntano giornalisti che non si rassegnano. Come la Voce, che a marzo 2012 portava agli inquirenti su un piatto d’argento un super testimone: l’avvocato spagnolo Jesus Bethencourt, pronto a testimoniare su quelle torce notturne lungo la costa e i possibili trasbordi di “qualcosa” in mare aperto, dove è zona franca, off limits alle autorità, e l’unico dominus è il comandante della nave, tanto che può perfino celebrare matrimoni.
Sono passati cinque e passa anni da quel nostro primo articolo. Ma, come ha confermato pochi mesi fa la brava e giovane collega Simona Zecchi, Bethencourt non è stato mai ascoltato, né tanto meno chiamato, dall’autorità giudiziaria italiana. Il suo racconto avrebbe fatto aprire capitoli che avrebbero rimesso in discussione tutto. Perché nel frattempo altre Procure avevano condotto operazioni che dimostrano come i traffici di stupefacenti a bordo di navi da crociera siano ben altro che un “inchino” qualunque.
Per Massimo Giuseppe Bossetti manca, analogamente, qualsiasi tipo di motivazione. Sono anni che lo diciamo e lo ha ripetuto anche lui in un estremo tentativo di salvarsi, due giorni fa, in aula: quella bambina poteva essere sua figlia, non esiste nessun motivo logico – o almeno, non è mai stato trovato – per il quale avrebbe dovuto orrendamente seviziarla.
C’è invece chi quelle sevizie, impresse sul corpo di innocenti con un coltellino intrecciando croci – vedi la povera Melania Rea – le conosce bene. Perché le pratica come terrificante avvertimento. I clan camorristici del napoletano, a Brembate, erano una presenza fissa ed ingombrante ben prima dei tempi di Yara. Molti conoscevano i luoghi dello spaccio. E frequentavano i party organizzati dai costruttori di riferimento, i Locatelli, cui prendevano parte grosse autorità locali, compreso qualche vertice giudiziario.
Bossetti non aveva nessun motivo? Poco importa. La pista di Ignoto uno è perfetta per evitare di mettere al corda al collo ai notabili della zona, quelli che sapevano, o almeno immaginavano. E tacevano.
Oggi funziona così, movente zero. E nessuno che dica una parola. Fino a quando in questa assurda macelleria non ci finisce in prima persona. Tutti zitti. I clan ringraziano.
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