Dicono, dicunt, tradunt…che almeno in questo Paese dei giornalisti che scrivono articoli o libri sui giornalisti o sul giornalismo non freghi niente a nessuno. Non vendono, è una morta gora editoriale probabilmente perché è una categoria così lontana dalla realtà di tutti i giorni e dai bisogni, desideri, valori della gente che il solco è ormai troppo profondo. C’è un buco in mezzo, molto simile a una palude. Ma quello che è successo in queste ultime settimane al settore mi spinge irresistibilmente a parlarne, anche perché dalla questione stampa alla questione Paese (in rovina) il passo è brevissimo. Sento il bisogno di ringraziare tutti coloro i quali per caso, per avventura o per interesse hanno lacerato pubblicamente il velo, o il plaid, di ipocrisia che avvolgeva la situazione così che forse per una volta persino la “ggente” sia stata messa in condizioni di capire: cosa? Che ci stanno prendendo per i fondelli come un branco di zebedei, facendoci ancora credere che di informazione e suoi derivati si tratti, e non invece di una semplice, lineare, evidente corsa speculativo-finanziaria del singolo e del gruppo.
Possiamo cominciare da un’istituzione come Confindustria, da un giornale ritenuto tradizionalmente serio e onesto, nel senso che ne dichiarava valori e scopi, come Il Sole 24 ore, diciamo tra i pareri magari contrastanti una “operazione fiducia”. Bene: tutto in vacca, a cominciare dal suo ex direttore Napoletano, che già fisiognomicamente avrebbe dovuto mettere in sospetto (tralasciando i fuori onda del Messaggero a ruota di Casini…) in confronto-che so- a un De Bortoli. Il ceffo direttoriale ne ha fatte più di Carlo in questo caso in Inghilterra. Risultato: sputtanati giornale, editore, istituzione confindustriale evidentemente correa o cieca.
Poi ci sarebbe quella cosuccia della Rai e del “tetto” ai compensi degli artisti, battaglia contro la quale ha preso coraggiosa e benemerita posizione sopratutto a quel che pare Fabio Fazio, contribuendo utilmente a chiarire il punto di vista suo e presumibilmente di molte star Rai. Trent’anni fa il giovane imitatore, già allora un Marzullo da combattimento, ha cominciato una carriera luminosa e via via sempre meglio pagata ( i miliardi in lire e poi i milioni in euro come è noto hanno a “sinistra”-risate del pubblico-un olezzo diverso che a destra…) calvinianamente da “conduttore inesistente”. Ma sì, quanti giovani sarebbero in grado di fare quello che fa lui da tanti anni solo con il criterio della presenza,della ripetizione e dell’occupazione di suolo pubblico come un tavolino da bar? Mille, diecimila…E’ come per il pilota le ore di volo. Disposto a tutto,a qualunque compromesso o sudditanza politica pur di non mollare. E fa bene a quanto pare,se queste sono le regole del gioco per un talebano del denaro (e la sua illuminata crocchia).
Qui il punto non sono le diatribe tra Anzaldi e il Nostro, ma il principio di realtà, una realtà grottesca. Andatevi a rivedere la puntata di inizio 2016 in cui Checco Zalone lo incenerisce mentre lui, scivolosamente, è costretto a ridere di sé: c’è un prezzo, un cachet sufficiente per questo? Pare di sì…
E infine l’Unità, con l’ennesimo bordello, lancio di stracci già consumati e una vicenda alla moviola. Prima che il giornale di Gramsci (ahia!) riuscisse,ho avuto la fortuna di incontrarmi molte volte su sua richiesta con l’amministratore delegato attuale, il pacioso gigante Guido Stefanelli sempre sul punto di entrare in pasticceria.Ragionando di informazione, che lui e il gruppo Pessina conoscono leggermente meno degli ospedali da costruire…, il punto era: «O si tenta di fare un giornale vero, che conquisti autorevolmente pubblico, e poi lo si dà al Renzi di turno,oppure vai subito col bollettino e amen». La prima, la prima diceva lui tra i bigné… E difatti è andata proprio così… E’ la strategia della greppia, cari lettori….
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