Pasolini, delitto di Stato. Come fu per il presidente dell’Eni Enrico Mattei e per il giornalista de L’Ora Mauro De Mauro, per il magistrato Pietro Scaglione e il vicequestore di Palermo Boris Giuliano. Buchi neri nella nostra storia, Servizi fino ad oggi perfetti. Ma qualcosa nella trama potrebbe rompersi.
A 41 anni esatti dal massacro di quel corpo all’Idroscalo di Roma, da quell’estremo sacrificio in nome della Verità, forse si apre uno spiraglio. Il 31 ottobre, infatti, l’avvocato Stefano Maccioni, legale del cugino di Pier Paolo, Guido Mazzon, ha chiesto la riapertura delle indagini perchè con la prova del Dna si ha oggi la certezza di almeno un terzo protagonista sulla scena del delitto: quell’Ignoto 3 fino ad oggi rimasto sempre nell’ombra. Ma dagli accertamenti scientifici potrebbero saltare fuori anche altre presenze: perchè – come viene ricostruito con estrema chiarezza nel film appena uscito “La macchinazione”, protagonista Massimo Ranieri nelle vesti di Pier Paolo – c’erano parecchi malavitosi (con ogni probabilità manovalanza della banda della Magliana) ad affollare quel macabro palcoscenico nella notte del 2 novembre 1975.
L’avvocato Maccioni (il cui studio legale è stato forzato da “ignoti” lo scorso marzo) ha appena consegnato al pm Francesco Minisci della procura di Roma la richiesta di riapertura indagini; e sottolinea come, sulla base di un parere pro veritate della genetista legale Marina Baldi, la sera del delitto oltre a Pier Pasolini e a Giuseppe Pelosi era presente almeno una terza persona. “Abbiamo il profilo biologico di questo ignoto – osserva Maccioni – la Baldi nella sua relazione pone in evidenza alcuni elementi molto importanti. In particolare, riprendendo quanto sostenuto dal RIS, afferma: ‘Sul reperto 7, maglia di lana a maniche lunghe, ci sono altri due DNA, di cui quello del 2° soggetto ignoto è misto al DNA di Pasolini, ed è stato riscontrato anche su altri reperti, ma quello appartenente a ‘3° soggetto ignoto’ è un profilo singolo, estrapolato da una traccia verosimilmente ematica’. Insomma, c’è l’impronta biologica di qualcuno che, nel momento in cui c’è stato il contatto con la vittima, era ferito, con ferita recente perchè perdeva sangue”.
OCCHIO ALLA BANDA DELLA MAGLIANA
Prosegue Maccioni. “Chiediamo alla procura di Roma di procedere alla riapertura delle indagini al fine di individuare a chi appartenga il profilo biologico di ignoto 3, oltre che ovviamente quello degli altri DNA rimasti allo stato ignoti. Riteniamo che la procura potrebbe restringere il campo d’azione utilizzando la tecnica NGS (Next Generation Sequences, ndr), ma soprattutto indagando nell’ambito della criminalità romana dell’epoca, considerando soprattutto coloro che gravitavano intorno alla neonascente Banda della Magliana”. E ancora: “Abbiamo evidenziato un nome tra tutti, quello del professor Aldo Semerari, che ricorre nella memoria presentata dai pm in relazione al processo di Mafia Capitale e che guarda caso era stato anche il consulente di Pino Pelosi nel primo processo innanzi al tribunale per i minorenni. Ci auguriamo che l’aver ancorato la nostra richiesta ad un dato incontrovertibile, come il DNA, induca la procura di Roma, nella quale riponiamo la massima fiducia, a continuare nella ricerca della verità”.
Due incisi. Il criminologo Aldo Semerari venne ammazzato dalla camorra, che lo decapitò; aveva effettuato diverse perizie psichiatriche su malavitosi, compreso il boss del Nco, don Raffaele Cutolo: sono socumentati i rapporti che esistevano tra la declinante NCO e la rampante Banda della Magliana. Fu del giudice minorile Carlo Alfredo Moro – fratello dello statista Dc ucciso dalle Br per volontà di Servizi e di una parte della Dc (Andreotti e Cossiga) – la prima sentenza a carico di Pelosi, il quale – scrisse Carlo Alfredo Moro – “non agì da solo, ma in compagnia di altri soggetti rimasti ignoti”.
Qualche settimana prima Maccioni e Baldi avevano preso parte ad una conferenza stampa indetta alla Camera dei deputati dalla parlamentare Serena Pellegrini di Sel-Sinistra Italiana, per illustrare i nuovi elementi sul caso-Pasolini e la richiesta di dar vita ad una commissione d’inchiesta monocamerale. “La commissione – sottolinea Pellegrino – sia avviata quanto prima, avvalorata dai nuovi inquietanti dati: è un appello che rivolgo ai parlamentari del Pd, inizialmente partecipi del progetto di ricerca delle verità storiche e politiche, ed allo stesso premier Renzi”. Progetto di glasnost – quello sbandierato dal premier e dal Pd – a quanto pare miseramente naufragato, vista la desecretazione di atti spesso e volentieri inutili e incompleti.
Prosegue comunque la parlamentare di Sel-Si: “l’aver reso note, adesso, queste informazioni incontestabili sul piano scientifico e l’aver chiarito che l’identità di una terza persona coinvolta nell’omicidio di Pasolini è ricostruibile, tutto ciò non può essere ignorato dalla magistratura, né tantomeno da coloro che hanno derubricato questo delitto tra quelli a sfondo sessuale e scansato accuratamente la prospettiva del delitto politico. Il delitto Pasolini e l’efferato omicidio di Giulio Regeni sono due anelli della stessa catena, che si è agganciata negli anni ’70 e si allunga fino a oggi: non ci fermeremo nella nostra ricerca, supportati dalla richiesta di migliaia e migliaia di cittadini, perchè la verità su Pier Paolo Pasolini ha un peso politico enorme che abbiamo il dovere di affrontare”.
Per ricostruire moventi e mandanti, partiamo da una frase, pronunciata da un magistrato, Vincenzo Calia, che una quindicina d’anni fa riaprì il caso Mattei, quando era pm alla procura di Pavia. Purtroppo – come in molte altre circostanze – non venne dato corpo giudiziario a una chiara pista griffata, al solito, Servizi & pezzi da novanta (in quel caso Eugenio Cefis, il successore di Mattei sulla poltrona di vertice Eni). Ad un giornalista che chiedeva a Calia se ritenesse mai possibile che uno scrittore, come Pasolini, fosse stato eliminato da certi poteri, lui rispose: “Possibilissimo. E se vuole la mia opinione, io ne sono convinto”. Peccato che, fino ad oggi, la verità giudiziaria sia stata calpestata.
IO LO SO. E ORA HO LE PROVE
Ci vorrebbe un Pasolini, quello degli ultimi anni super “corsari” per dipanare quella matassa. Il Pasolini degli interventi più corrosivi, come ad esempio quello comparso su La Stampa un mese prima di morire, settembre 1975: “gli italiani vogliono sapere chi c’è dietro la strategia della tensione, gli italiani vogliono sapere quanto la mafia incide sulle scelte politiche, gli italiani vogliono sapere chi c’è dietro, cosa fa la Cia in Italia”.
Ed ecco che – incredibilmente – Pasolini compie una sua ‘rivoluzione’ da genio del cinema, della poesia e della scrittura, si trasforma – per una sorta di insopprimibile richiamo civile e morale che preme in lui – in artigiano della notizia, in giornalista investigativo, in acutissima penna d’inchiesta.
Potevano mai passar inosservate, a questo punto, le vulcaniche pagine di Petrolio, quel fuoco che eruttava da ogni paragrafo, in ogni piega di quei fogli che uscivano dalla sua Lettera 43 come pura lava? Un vero magna capace di incenerire anche le presenze più invasive: proprio come quel Cefis, balzato dal vertice della P2 – che aveva lasciato al fidato Licio Gelli – all’accoppiata Eni-Montedison, quel “Troya” che per farsi largo non più certo permettere che un Mattei osi fronteggiare le nostre sette, beneamate sorelle dell’oro nero.
Ed espone il suo “piano”, Pier Paolo, nel corso di una conversazione con l’autore del libro subito scomparso dalle librerie, evaporato, “Questo è Cefis – L’altra faccia dell’onorato presidente”, ossia Giorgio Steimetz, pseudonimo dietro al quale si celava un giornalista dell’Agenzia Milano Informazioni, Corrado Ragozzino (legato all’ex uomo di Mattei all’Eni e nemico giurato di Cefis, Graziano Verzotto). Dice Pier Paolo a Steimetz-Ragozzino: “Ho avuto il suo libro in fotocopia dallo psicoanalista Elvio Facchinelli, che con la sua rivista ‘L’erba voglio’ si occupa parecchio di Cefis. So che adesso non si trova più da nessuna parte, e io intendo con quello che sto scrivendo di utilizzare molto del suo materiale, così difficilmente lo potranno ignorare. E non lo potranno ignorare certo i magistrati, che a questo punto dovranno aprire un’inchiesta”.
Libri spariti. Carte scomparse. Capitoli fantasma. Eccoci, ad esempio, al giallo dell’Appunto 21, quelle 78 pagine di “Lampi sull’Eni”; resta solo il titolo ma i fogli mancano all’appello: e infatti, sul totale dei 600 pagine, il “Petrolio” pubblicato ovviamente postumo (per Einaudi nel 1992) ne conta 522. Cosa avranno mai contenuto?
Scrive a marzo 2010 Carla Benedetti a proposito di “quel capitolo perduto di Petrolio: esisteva davvero. Legava la morte di Mattei a una congiura italiana. Un’intuizione che valeva una condanna a morte. Se quelle pagine esistono, da chi e come sono state prese? Un cugino, Guido Mazzon, sostiene che ci fu un furto. Ne aveva parlato Gianni D’Elia (autore di “L’eresia di Pasolini” e “Il petrolio delle stragi”, ndr). E ora Mazzon lo riconferma a Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera del 4 marzo. ‘Nel ”75, dopo la tragedia di Pier Paolo, Graziella Chiarcossi (altra cugina di Pasolini e moglie delle scrittore Vincenzo Cerami, ndr) chiamò mia madre per dirle di quel furto. Quando mia madre me lo riferì pensai: ‘accidenti, con quel che è capitato ci mancava pure questa’. E pensai anche: ‘strano però, che senso ha andare a trafugare le carte di un poeta?’”.
Così come era sparito, cinque anni prima, un brogliaccio scritto da Mauro De Mauro per il copione che il regista Francesco Rosi stava preparando su “Il caso Mattei”. Ancora: dalla sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise di Palermo a carico di Riina, emerge che “dall’abitazione di Mauro De Mauro sparirono le carte contenute in un faldone dove su scritto vi era la parola ‘Petrolio’”.
Del resto, il magistrato Pietro Scaglione viene ammazzato da Luciano Liggio e Totò Riina proprio il giorno prima di andare in tribunale per verbalizzare sulla morte del giornalista de L’Ora, maggio 1971. Otto anni dopo, luglio 1979, viene ammazzato il vicequestore di Palermo Boris Giugliano, fino a quel momento impegnato nelle indagini sul tragico volo che costò la vita ad Enrico Mattei. E il cerchio si chiude.
DIETRO A QUEL BEFFARDO SORRISO DI TROYA
Per fortuna, invece, si sono salvate non poche carte utilizzate da Pasolini a supporto dalla sua monumentale – ed esplosiva – ricerca, quel magma che avrebbe dovuto portare alla stesura (completa, e non mancante delle 78 pagine certo più bollenti) di “Petrolio”. Scriveva il Corsera a febbraio 2013: “Tra le carte di Pasolini, oggi depositate al Gabinetto Viesseux, ci sono le fotocopie, le carte che lo scrittore utilizzò come fonte (ad esempio quelle del libro firmato da Steimetz, ndr). Tra quei materiali figurano anche altri documenti, sempre procurati da Elvio Facchinelli, animatore della rivista ‘L’Erba Voglio’: si tratta di tre conferenze (una inedita) di Cefis, compreso un discorso pronunciato all’Accademia militare di Modena il 23 febbraio 1972, che Pasolini voleva inserire nel romanzo, come cerniera tra la prima e la seconda parte. E persino l’originale di una conferenza intitolata ‘Un caso interessante: la Montedison’ tenuta l’11 marzo 1973 presso la Scuola di cultura cattolica di Vicenza, con annotazioni a margine dello stesso Cefis, da lui mai pronunciate”.
Tra le carte, anche un prezioso schema riassuntivo titolato “Appunti 20-30. Storia del petrolio e retroscena”. Così scriveva il profetico Pier Paolo: “In questo preciso momento storico (I Blocco politico) Troya (!) sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti)”.
Ed ecco Cefis-Troya nelle sue parole, scolpite come rilucente marmo: “Lui, Troya, è un uomo sui cinquant’anni, ma ne dimostra meno. La prima cosa che colpisce in lui è il sorriso. (…) Il sorriso di Troya è un sorriso di complicità, quasi ammiccante: è decisamente un sorriso colpevole. Con esso Troya pare voler dire a chi lo guarda che lui lo sa bene che chi lo guarda lo considera un uomo abbietto e ambizioso, capace di tutto, assolutamente privo di un punto debole, malgrado quella sua aria da ex collegiale povero e da leccapiedi di sagrestia. (…) Troya, sorridendo furbescamente, voleva far sapere ininterrottamente, senza soluzione di continuità, e a tutti che lui era furbo. Quindi che lo si lasciasse andare, per carità, che lui ‘sapeva certe cose’, ‘aveva certi affari urgenti d’importanza nazionale’ (che un giorno o l’altro si sarebbero saputi), che lui ‘era così abile e diciamo pure strisciante da cavarsela sempre nel migliore dei modi e nell’interesse di tutti. Naturalmente, essendo un sorriso di complicità era anche un sorriso mendico: mendicava cioè compassione, nella sua manifesta colpevolezza. (…) Ecco tutto ciò che si sapeva attualmente sulla sua persona. Il linguaggio con cui egli si esprimeva era la sua attività, perciò io, per interpretarlo, dovrei essere un mercialista, oltre che un detective. Mi sono arrangiato ed ecco cosa sono venuto a sapere”.
Un fiume da 600 pagine meno 78. Quanto basta per essere ammazzato di botte all’Idroscalo.
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Un commento su “DELITTO PASOLINI / IL CASO SI RIAPRE, TROVATO IL DNA DI IGNOTO 3”